Gazprom: the light of football

Crampi Sportivi
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7 min readJan 23, 2015

Sui cartelloni pubblicitari delle partite del massimo campionato inglese è impossibile non leggere “Barclays Premier League”, dal nome della banca internazionale britannica. Il calcio di Inghilterra ha cambiato il calcio d’Europa: le società sono sponsorizzate in ogni aspetto e riescono ad incassare molto denaro da ogni marchio offerente.

La più importante competizione europea (UEFA) è la Champions League. Questa conta un audience mondiale di 4,2 miliardi di spettatori e uno dei suoi partner ufficiali è Gazprom, il gigante russo dei combustibili fossili. Circa la provenienza, l’obiettivo e la pratica commerciale della sponsorizzazione, si discute molto e si continuerà a discutere, maggiormente da quando la Russia ha interrotto il gasdotto verso il nostro continente.

La UCL (University College London) è una della più prestigiose università del Regno Unito e nell’ottobre scorso ha ricevuto forti pressioni da parte dei suoi studenti: questi vogliono che l’istituto non si avvalga della collaborazione e soprattutto degli investimenti (6 milioni di sterline) di BHP Billiton, la maggiore società mineraria del mondo. In poche parole, i ragazzi protestano contro i capitali ricevuti da chi è responsabile di danni all’ambiente. La BHP è una delle prime compagnie al mondo per combustione fossile, che da accordi internazionali deve essere gradualmente eliminata nel decennio in corso, ed è una delle principali cause del cambiamento climatico. Un ricercatore della UCL, Simon Lewis, dichiara:

Quando ho appreso che BHP finanzia la Fondazione per le Risorse sostenibili di UCL, stentavo a credere. È come se un grande produttore di tabacco sponsorizzi un istituto per la ricerca sul cancro.

Ecco, nel calcio questo tipo di sollevazione mai è avvenuta ed è improbabile avvenga. Perché? Per molti motivi, ma quel che si analizza qui è Gazprom: il più grande estrattore e venditore di gas naturale al mondo e il terzo possessore di petrolio è roba russa, dopo Arabia Saudita e Iran. E molto altro.

Nel novembre del 2010, Gazprom firmò un protocollo di cooperazione con Shell (grande compagnia petrolifera anglo-olandese): nell’interazione-strategia globale, rientrano anche l’esplorazione, la produzione, la trasformazione e la distribuzione di idrocarburi nei mercati russi ed internazionali; un anno e mezzo dopo, Gazprom Neft (produzione e raffinazione del petrolio) e Shell hanno detto sì a una joint venture (società mista, indipendente dalle formanti) col fine di progetti comuni nella parte Ovest della Siberia, in alcune regioni della Russia e in altri Paesi. Una delle esplorazioni avviene nell’Oceano Artico e, accertata la presenza di giacimenti, gli obiettivi diventano la perforazione e l’estrazione del petrolio. La Arctic Sunrise, imbarcazione con trenta attivisti di Greenpeace, documenta la protesta dell’associazione ambientalista contro la trivellazione.

Le autorità russe, a tutela (o meglio, per conto) di Gazprom, arrestano gli attivisti che tentavano di stoppare la piattaforma petrolifera; gli ambientalisti sono costretti a tre mesi di detenzione, benché questa disposizione sia illegale secondo il Tribunale internazionale del diritto del mare.

Il legame tra il calcio e i grandi proprietari del petrolio è datato: Farhad Moshiri, iraniano di Londra, possiede il 30 per cento dell’Arsenal; lo sceicco di Abu Dhabi, Mansour bin Zayed Al Nahyān, è proprietario del Manchester City dal 2008; il più famoso, il russo Roman Abramovič, è il numero uno del Chelsea da undici anni. Questi ed altri hanno fatto fortuna attraverso l’industria estrattiva. Al sistema calcio interessano i nomi, le firme e i trofei; le sponsorizzazioni e le origini della ricchezza di chi investe non sono soggette a controlli serrati, la ricerca in merito è minima. Perché? Semplice, per il denaro. A proposito di Chelsea ed Arsenal: a causa della crisi economica russa, non esiste ancora una stima ufficiale della perdita che subiranno i due club di Premier League; per lo Stato è logico e corretto tagliare i finanziamenti meno “necessari”, quali quelli destinati alle società di calcio.

I ventidue giocatori in campo sono il top del menù, tuttavia è il business il piatto preferito da aziende e loro titolari: Gazprom vale l’otto per cento del PIL della Russia e la sua discriminante tocca la sfera politico-affaristica. Sebbene venga alla luce nel 1989, Gazprom ha antenati nella metà degli anni ’60. In Unione Sovietica nacque un ministero per la produzione e il consumo del gas, da coniugare a un forte sviluppo industriale sotto il regime comunista. Negli anni ’90, in seguito alla dissoluzione dell’URSS, Gazprom continua a essere influenzato dallo Stato russo per il 51 per cento, il resto è aperto agli investitori esteri (di fatto è un “monopolio legale” di gas esportabile). Il simbolo del collegamento Gazprom-politica è Dmitrij Medvedev: ex presidente della Federazione russa e ora Primo Ministro della stessa, dal 2000 al 2008 è nel CDA di Gazprom. Se l’azienda tipo cerca di massimizzare i profitti del “padrone” azionista, Gazprom ha anche un altro “referente”; lo Stato russo e Vladimir Putin, attuale presidente della Federazione, hanno utilizzato l’azienda come palese strumento di politica estera. L’effetto più recente e rilevante di questa azione lo possiamo ritrovare nei recenti avvenimenti in Crimea ed Ucraina.

La Repubblica autonoma di Crimea ha fatto parte dell’Ucraina fino al 18 marzo scorso, quando con la Federazione russa ha firmato il Trattato che l’annette allo Stato del Cremlino; in seguito a questa adesione storica e politica, tra le altre e più importanti cose, la Russia si ritrova con due nuovi club nel campionato nazionale di calcio: il Tavrija di Simferopoli e il Sevastopol’ che, rimasti fuori dalla Prem’er-Liha ucraina, hanno richiesto all’UEFA di passare (dalla prossima stagione) alla Prem’er Liga russa. Ad agosto Tavrija e Sevastopol’ sono scomparsi, altresì sono nati e iscritti alla terza divisione del campionato della Russia tre nuovi club: l’SK di Simferopoli, SKChF di Sevastopoli and lo Zhemchuzhina di Yalta.

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Un momento storico in cui il Tavriya Simferopol non è stato molto fortunato

La decisione è stata presa dallo stato della Russia

Sono le parole del ministro dello sport russo, Vitaly Mutko. Logico pensare alla reazione da parte ucraina: il presidente della Federazione, Anatoly Konkov, scrive a FIFA e UEFA:

Vi prego di adottare ogni azione necessaria per affrontare la situazione in essere

La politica dell’Ucraina porta avanti un atteggiamento di sfida nei confronti della Russia, ad esempio cerca di persuadere i propri rappresentanti all’interno di FIFA e UEFA affinché cambino sede dei Mondiali 2018 (assegnati alla Russia). Il presidente FIFA, Josep Blatter, risponde che “La coppa del mondo ha niente a che fare con la politica tra Russia ed Ucraina e sarà giocata dove è prevista da tempo”. FIFA e UEFA incuranti della politica? Non esattamente.Qualsiasi incontro disputato da club di Crimea organizzato dalla Federazione russa non sarà riconosciuto dall’UEFA fino a nuovo ordine e se le istituzioni calcistiche non scoppiano di gioia per i nuovi club “scagliati” nella Russia, le società temono per il proprio patrimonio. Molti giocatori stranieri perdono appeal entro i confini nazionali e non negano di preferire un altro campionato, piuttosto che la permanenza in acque incerte. Poco si può fare, perché la decisione è presa in alto.

Dall’inizio dell’anno, la moneta russa ha perso il 38 per cento del suo valore rispetto al dollaro USA; la Banca centrale dello Stato ha interrotto il tasso di cambio, perché la valuta del rublo è estremamente bassa nel mercato internazionale. Sono state colpite in negativo tutte le aziende estere connesse, incluse le società di calcio: la maggior parte dei giocatori russi e tutti gli stranieri acquistati sono pagati con valuta estera; il crollo della moneta rende i loro salari più onerosi e difficili da saldare. Se il 1° gennaio 2014 un euro valeva circa 45 rubli, oggi per l’equivalenza ne sono necessari circa 56: l’ingaggio del calciatore, senza alcuna rinegoziazione di contratto, aumenta del 25% in un anno solare. Due squadre della Prem’er Liga russa, Amkar e Rostov, hanno dichiarato che i dipendenti non hanno ricevuto lo stipendio dai due ai cinque mesi; lo scorso novembre, i calciatori del Rostov hanno scioperato e hanno ottenuto tutti gli arretrati.

Questi sono due esempi di piccoli club con piccoli budget, spesso finanziati dai governi regionali; d’altra parte, grandi team come lo Zenit di San Pietroburgo, il Lokomotiv e la Dinamo di Mosca, sono connessi a società controllate dallo Stato russo. Il presidente del CSKA Mosca, Evgeni Giner, ha moltissime attività in Ucraina e ammette che la situazione nel luogo e la contrazione del rublo fanno e faranno soffrire finanziariamente il suo club.
Gazprom non è solo un’impresa energetica. La sua politica di espansione tocca anche l’informazione: possiede emittenti radio-televisive russe, oltre al popolare web-streaming RuTube; al contempo e non a caso, lo Stato ha limitato la proprietà straniera dei mass-media, così da aprire il campo al nazionale Gazprom Media Group.

Il calcio è il settore marchiato più noto al pubblico. Oltre la UEFA Champions League e la Coppa del Mondo FIFA, in Europa il Chelsea, lo Schalke 04 e la Stella Rossa sono sponsorizzate dal gigante petrolifero. Per quanto riguarda lo Zenit, come accennato, Gazprom è sia sponsor che proprietario. Il rapporto Zenit-Gazprom inizia nel 1999, con la sponsorizzazione ufficiale. Da lì ad oggi, il club ha vinto tre titoli nazionali e la coppa UEFA nel 2008, contro i Glasgow Rangers a Manchester.

https://www.youtube.com/watch?v=gKX27YDzyG8

Prima dei Mondiali 2018 sarà pronto anche il nuovo stadio di San Pietroburgo: a spese di Gazprom (già): procede a rilento, ma si farà al costo mostruoso di un miliardo di euro. Se non bastasse il collegamento con lo Stato, la politica e tutti i suoi derivati, lo Zenit ha subìto una nota di “colore”: Vladimir Putin è nativo di San Pietroburgo e (pare) tifoso del club; la Federazione russa lo ha persuaso nel difendere pubblicamente le enormi spese (oltre 90 milioni di euro) dello Zenit per l’acquisizione dell’attaccante brasiliano Hulk e del centrocampista belga Witsel nel 2012.

di Giacomo Scutiero (@SCUtweet) Pensa che il giornalista giovane sia un eletto, eletto dal giornalista parente del giovane. Cura la rassegna stampa b/n più minuziosa delle reti interconnesse.

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