Giampaolo, di’ qualcosa di sinistra

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
Published in
4 min readOct 5, 2016

“Non mi far vedere, non mi far vedere! Che tortura questa conferenza stampa, speriamo che finisca presto. Dai, dai! Giampaolo, rispondi! Non ti far mettere in mezzo sui risultati proprio dai giornalisti! Giampaolo, di’ qualcosa di sinistra! Di’ qualcosa anche non di sinistra, di buon senso, di civiltà! Reagisci Giampaolo, reagisci…”

Siamo nel post-gara di Cagliari-Sampdoria, i blucerchiati sono appena riusciti a mandare all’aria l’ennesima partita in cui avrebbero meritato di agguantare il pareggio e invece si ritrovano a lasciare la Sardegna con zero punti conquistati, così com’è successo in precedenza con Bologna, Milan e Roma. Le due vittorie iniziali contro Empoli ed Atalanta rappresentano invece un ricordo destabilizzante, una vertigine per i tifosi, un’occasione di critica per la stampa.

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=8u96WRbe8sE[/embed]

Davanti ai microfoni Giampaolo dichiara che si tratta di un momento negativo e che occorre “tener botta per superarlo”. Uscita che non ti aspetti da un uomo pragmatico come lui, e che, seppur nell’intento di preservare i suoi uomini dagli effetti pesantissimi di uno scivolone clamoroso, apre una finestra sull’abisso di un mondo spietato, dove la dittatura del risultato schiaccia inesorabilmente la tattica, la strategia, l’interpretazione dei moduli, lo spettacolo, persino le persone. È la realpolitik del pallone: vincere conta più di ogni altro aspetto del gioco, “tutto il resto” è un orpello da compatire piuttosto che apprezzare. Tuttalpiù un bel ricordo da incorniciare.

Ma per chi come Giampaolo è cresciuto a pane e Berlinguer, lui che fa poi della cultura del lavoro il suo credo personale e del collettivismo il suo credo calcistico, tutto questo è inaccettabile; e pertanto suona ancor più strana nello specifico quella dichiarazione, che tradisce la rassegnazione a dover tradire una verità che non è propria ma che gli altri vogliono sentirsi dire. Quel “ci gira male” è chiaramente solo una maschera indossata da chi si è sentito in passato definire (brutalmente) “enfant prodige mai sbocciato” senza veder mai apprezzata le sue idee di gioco, invece elogiate solo dai suoi più blasonati colleghi (vedi Allegri).

Eppure, la fama di hombre vertical Giampaolo se l’è costruita rispondendo picche alla ri-chiamata di Cellino a Cagliari dopo un precedente esonero, stando fermo un anno intero pur di attendere la piazza giusta dove poter esprimersi a pieno, e infine accettando un contratto annuale ad Empoli per dimostrare sul campo di meritare la riconferma in panchina.

La comunicazione e la separazione ideologica

Prendiamo il caso di Sarri, che dopo il pareggio proprio contro la Sampdoria l’anno scorso, non difese il suo lavoro con un “è un momento critico” ma contrattaccò dicendo: “non abbiamo sofferto (…). Ma siamo andati culo a terra, e se vai a terra con Eder poi è dura!”, con ogni riferimento alla prestazione di Albiol causalmente voluto.

Questa era la risposta che sarebbe stata bene in bocca a Giampaolo dopo Cagliari. È mancata invece quella dichiarazione capace di far saltare gli schemi, aprire gli occhi o semplicemente far rizzare i capelli dalla vergogna a chi quegli errori li commette di domenica. Il Napoli iniziò la risalita in campionato da quel match in poi, il rimbrotto si tramutò in uno stimolo positivo. Giampaolo invece si preoccupa paternamente di tutelare la squadra da un baratro del risultato che troppo spesso ha inghiottito tutto e tutti indiscriminatamente.

E in generale l’atteggiamento è comprensibile: Marco Giampaolo, come allenatore, è troppo intelligente e preparato per meritarsi questa empasse. Ma lo scotto che paga sembra quello di chi, testardo e tenace, non ha ancora accettato appieno le regole del gioco o quanto meno abbia imparato a conviverci. Una separazione ideologica, appunto. Da lì l’apparente smarrimento quando i microfoni ti mettono spalle al muro.

Ed è in quello smarrimento che Marco incontra Nanni: in quel momento immediatamente successivo all’alienazione ma nettamente precedente della presa di coscienza, dove nasce quella sensazione di profondo disorientamento che Moretti amava raccontare soprattutto nei film degli esordi.

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=nvWzdO1XRVc[/embed]

Che sia disorientamento politico, generazionale, sociale, il leitmotiv delle sue pellicole era comunque lo stesso: i protagonisti erano sempre impreparati ad affrontare il presente come il loro più immediato futuro perché “sbagliati” erano i valori politici e sociali che sceglievano di seguire. La verità è che erano soli, e puntualmente sbagliavano tutto il possibile, perché la loro intelligenza, il loro sguardo consapevole, la loro capacità di sentire il tempo che cambiava era il loro vantaggio principale rispetto alle bizzarrie della narrazione, ma al contempo anche una sorta di prigione d’aria da cui non riuscivano a trovare la via d’uscita. Il risultato di questa discrasia era l’alienazione dal conformismo.

Questo perché il dubbio che Giampaolo sia un conformista possiamo tutti togliercelo dalla testa, ma l’impressione che si ha sentendolo parlare è ancora quello dello smarrimento; bravissimo e preparatissimo tatticamente, ma ancora manchevole del “thinking about winning”.

Sarà quando prenderà coscienza di dover affontare questo ulteriore step che non si troverà più costretto a “doversi difendere” come Michele Apicella (il suo alter ego morettiano in “Bianca”) e non si troverà nemmeno ad assistere all’alba nella direzione sbagliata (come accade invece in “Ecce bombo”), ma sarà finalmente sbocciato quell’allenatore destinato a fare strada, quello che aspettiamo tutti.

Articolo a cura di Armando Fico

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=2EJLTKoqeak[/embed]

--

--