Gigi Marulla, un uomo comune diventato immortale

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
Published in
8 min readFeb 13, 2016

26 giugno 1991. Stadio Adriatico di Pescara, spareggio playout. Dopo novanta minuti tesissimi terminati sullo 0 a 0, Cosenza e Salernitana si apprestano a iniziare i tempi supplementari. Chi perde scende in Serie C1.
È il giorno in cui la città di Cosenza s’innamora in modo irreversibile del suo numero nove: Gigi Marulla.

«Cosenza è stata la mia vita, mi ha regalato una moglie e due figli. Ho una scuola calcio qui. Sono un cosentino adottato. Questa città è la mia seconda mamma»

Gigi Marulla, nato a Stilo (Rc) il 20 aprile 1963, è scomparso sette mesi fa, d’estate. Nella sua casa al mare di Cetraro. Colpa di una bibita ghiacciata bevuta troppo in fretta. A 52 anni, in silenzio, come un uomo qualsiasi.
Fisicamente neanche sembrava un calciatore, però in campo aveva l’istinto del gol, li ha sempre fatti. Ad Acireale e Avellino prima, a Genova e soprattutto a Cosenza, dove ha giocato undici stagioni, tre in C1 e otto in B, 330 presenze, 91 gol. Capitano, leader indiscusso, l’unico calciatore che la città di Cosenza ha innalzato a bandiera e guida spirituale.
Per capire l’essenza e il motivo di questo legame tra Marulla e la città di Cosenza, è necessario tornare a Pescara a quel giorno di giugno del 1991. Gli eroi diventano tali grazie alle loro gesta, vero, ma spesso queste possono non bastare.

«Prima della gara contro la Salernitana eravamo delusi per come era finito il campionato. La settimana che precedeva la sfida playout è stata la peggiore della mia carriera. Però sentivamo il calore dei tifosi. Ecco: questa città, quando vuole, sa amarti in modo incondizionato»

C’è un caldo soffocante allo stadio Adriatico, qualcuno sente anche l’odore del mare che invade il campo da gioco. Il vento a tratti asciuga il sudore dalla pelle. Ma è un’illusione passeggera, perché il caldo è un tormento. La partita è trasmessa dalla Rai. Bruno Pizzul è il narratore. Edy Reja, allenatore del Cosenza, non ha molto da dire alla squadra. I giocatori si danno pacche sulle spalle, bevono, hanno il viso tirato, le magliette bagnate. La sensazione è che i tempi supplementari siano una formalità e i rigori inevitabili.

Le squadre hanno esaurito le loro energie. L’arbitro, un certo Lanese di Messina, fischia il calcio d’inizio.
I due difensori della Salernitana non lo vedono subito. Credono che quel pallone lanciato verso la loro aerea di rigore possa essere respinto facilmente. Sono passati sei minuti di gioco dell’extra time. Eppure Gigi Marulla, pur non essendo la classica prima punta alta e grossa, è un attaccante che non passa inosservato. È un attimo. I due centrali si rendono conto di aver sottovalutato le forze fisiche del loro avversario, quel lancio viene stoppato di petto da Marulla che in qualche modo si infila tra i due difensori e prima che la palla tocchi terra, lascia partire un tiro di sinistro che gonfia la rete.
È il gol della salvezza, ovviamente. Il gesto tecnico dell’eroe, dell’uomo comune che diventa idolo. Quel che succede dopo non ha nessuna importanza.

«Per me si è sempre trattato di una missione, scendere in campo e difendere la città e i suoi colori»

Cosenza è una città diffidente. Ha sempre rivendicato la propria identità, non si è mai sottomessa ai sovrani che l’hanno dominata. Longobardi, bizantini, Svevi. Durante il rinascimento fu uno dei comuni più attivi nella lotta allo straniero, i borboni, tanto che i fratelli Bandiera, martiri dell’unità d’Italia, furono fucilati proprio a Cosenza. Durante la seconda guerra mondiale venne colpita da pesanti bombardamenti. È una città che è stata ricostruita più volte e che continua a essere ricostruita, visto che sono in corso pesanti opere di riqualificazione urbana. Nel 2008, la Regione Calabria l’ha nominata città d’arte.

Il calcio, qui, è una cosa seria. In città, grazie anche alla presenza dell’università della Calabria — uno dei campus più grandi d’Europa — ci sono dozzine di campetti. Il settanta per cento in erba sintetica. Durante il fine settimana sono centinaia i cosentini che giocano partite tra amici oppure disputano una delle tante sfide di tornei amatoriali. Anche lo stadio S.Vito — ora intitolato a Gigi Marulla — fa registrare sempre una buona affluenza di pubblico. Nonostante fallimenti e retrocessioni, lo zoccolo duro della tifoseria ha sempre supportato la squadra. Anche agli inizi degli anni 2000, il punto più basso del club, quando per una stagione ci furono addirittura due squadre di Cosenza. Il Football Club e il Cosenza Calcio. Era il 2004. Durante il derby i tifosi invasero il campo in segno di protesta. A Cosenza esiste solo il Cosenza Calcio 1914.
Quest’anno la squadra sta disputando un grande campionato di Lega Pro. È terza nel girone C e può seriamente ambire al ritorno in Serie B, una categoria che tra gli anni Ottanta e Novanta ha visto i lupi sempre protagonisti.
Molti grandi calciatori sono passati da Cosenza, ma poi sono sempre andati via. Marco Negri, Cristiano Lucarelli, Enrico Buonocore, Riccardo Zampagna, Gianluigi Lentini, Michele Padovano, Stefano Fiore, Massimo Margiotta, Antonio Manicone, Tommaso Tatti, Stefano Morrone. Solo Gigi Marulla, tra i calciatori di primissimo livello, è rimasto per sempre a Cosenza. Se ne era andato una volta, in realtà, nel 1985, dopo aver vinto la classifica cannonieri di serie C1 con 18 reti in 27 presenze. Acquistato dal Genoa, giocò 100 gare in serie B segnando 23 gol. Nel 1989, però, tornò in Calabria e rimase per otto anni consecutivi.

«La Cosenza di quegli anni era spettacolare: il calore della gente, lo stadio pieno. Era bellissimo, ti facevano sentire davvero un calciatore. Con i tifosi ho sempre avuto un buon rapporto basato sulla correttezza e sul rispetto anche nei momenti peggiori. È questo che mi ha fatto rimanere a Cosenza rifiutando anche la serie A»

È vero. Perché di offerte ne ha sempre avute. E questo, più dei suoi gol, l’hanno innalzato a idolo della città. Poi c’è anche l’aspetto umano. Un dettaglio, spesso, in un mondo cinico ed egoistico come quello del calcio. Un giorno, quando lavoravo per un giornale regionale, lo andai a intervistare. Era stato nominato allenatore della squadra primavera del Cosenza. Era in campo con i ragazzi. Io gli feci cenno che ero arrivato e mi misi in un angolo a guardare l’allenamento. Lui si avvicinò e disse che potevamo parlare anche subito, che era un piacere fare questa intervista, che non voleva farmi perdere tempo. Rimasi sorpreso da tanta disponibilità. Tu sei Gigi Marulla, pensai, un dio da queste parti e mi vieni a dire che è un piacere parlare con un ragazzino che non conta nulla?
Umiltà, fedeltà e amore.

«Siamo falliti, siamo stati in serie D, siamo stati sempre sfortunati, penalizzati in tante cose. Ma ci siamo sempre rialzati. In diciotto anni i compagni di squadra che reputo i migliori sono sicuramente quelli del nucleo storico del Cosenza: De Rose, Marino, Napolitano. Ci davano sempre per spacciati, ma ogni anno puntualmente ci salvavamo rimanendo nella stessa categoria. Il più forte con cui ho giocato? Sicuramente Lucarelli».

Il giorno dei funerali, l’abbraccio della città

Il giorno dei funerali era presente tutta la città. È stato un momento commovente. Per molti cosentini è ancora difficile riprendersi da quello shock. Ad alcuni, se gli chiedi di Marulla, vengono gli occhi lucidi. Dal fornaio al farmacista, dal tabaccaio al salumiere, chiunque ha un ricordo personale legato a Marulla. Il gol alla Salernitana rimane, però, quello più sentito da tutti.

Marulla ha dato tanto a Cosenza ma anche la città è stata generosa con lui. Quel che resta, a distanza di sei mesi, è la scuola calcio Marca (Marulla Calcio). Una struttura avanzata, con un campo a undici e uno di calcio a 5 in erba sintetica.
E i due murales.

Il primo è di Flavio Favelli, il secondo di Lucamaleonte. Sono uno di fianco all’altro perché la breve storia di questi murales è stata controversa e condita da polemiche.

Favelli aveva dipinto i contorni di una figurina panini ma senza inerire alcuna traccia di Gigi Marulla. Un gesto simbolico ma che nessuno, compreso il Sindaco, ha condiviso. Così, visto che Favelli si è rifiutato di completare l’opera, il sindaco ha contattato Lucamaleonte, autore di un ritratto di Totti a Roma, che ha disegnato Marulla di fianco alla figurina.

Due immagini diverse per ricordare lo stesso uomo. Assenza e presenza. Marulla era così. C’era, anche quando non lo si vedeva. Era un capitano vero, alzava la voce solo quando era necessario. Gli arbitri e gli avversati avevano un profondo rispetto. Era un uomo che amava il calcio come un bambino. Da Reja a Mondonico, da Zaccheroni a Di Marzio, Cosenza è stata spesso una rampa di lancio per questi signori. Per Marulla un punto d’arrivo. Aveva due sogni, anzi due missioni, rimaste incompiute. Arrivare a quota 100 gol e portare il Cosenza in serie A. Ha sfiorato entrambi. Nel 1992 una vittoria al Via del Mare di Lecce avrebbe permesso alla squadra di Edy Reja di disputare lo spareggio promozione contro l’Udinese. In 15.000 da Cosenza andarono a Lecce per incitare la squadra. La città venne colorata di rosso e blu. Fu tutto inutile. A dieci minuti dal termine un gol del leccese Maini decise l’incontro.

«Portare il Cosenza in serie A sarebbe stato bellissimo. Ci credevamo. Avevamo disputato una grande stagione. Peccato. Avessimo giocato altre 100 volte quella partita non avremmo mai perso»

In rete ci sono tanti video con i gol di Marulla. Ognuno diverso, perché lui era un attaccante completo. Di destro, di sinistro, di testa. Veloce e forte fisicamente. Sapeva proteggere la palla e far salire la squadra. In campo si trasformava. L’uomo mite e tranquillo lasciava il posto al capitano, al leader. Forse la sua morte coincide anche con un’epoca che non esiste più, un calcio nostalgico, dove i giocatori erano uomini e non aziende private, dove la squadra, la città e i tifosi avevano la priorità sugli interessi personali. In provincia, ovviamente, ancora oggi ci sono queste eccezioni. Basti pensare a Maccarone ad Empoli o a Di Natale a Udine.
Gigi Marulla manca a tutta la città di Cosenza. Quest’anno che la squadra sembra poter davvero ambire alla promozione in serie B, molti pensano che Gigi, ovunque ora sia, stia dando il suo contributo.
Pochi giorni fa il Sindaco ha presentato il progetto per il nuovo stadio. L’idea è costruire una struttura modernissima, di forma ovale, da 18.000 posti a sedere, con il campo a ridosso delle tribune. Con museo, sala stampa d’avanguardia e parco giochi.
Stadio Gigi Marulla. Sotto la targhetta non ci sarà scritto “calciatore” ma “leggenda”. E ora che non c’è più, il suo nome è diventato immortale.

«Una volta giocavamo per la passione, ci attaccavamo alla maglia, ora si tratta solo di un contratto di lavoro, nessuno rimane per sempre in una squadra solo per amore»

Articolo a cura di Francesco Aquino

--

--