Gioventù bruciata

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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14 min readOct 16, 2015

I Mondiali giovanili sono sempre una buona occasione per scoprire nuovi talenti. Spesso le squadre sguinzagliano i propri osservatori in queste manifestazioni per accalappiare nuove leve da consacrare nel mondo del calcio. Tuttavia, specie se parliamo di ragazzi di 16–17 anni, non è sempre un percorso automatico. Credo che chiunque abbia giocato almeno una volta a Football Manager sappia di cosa stia parlando.

Ci sono giocatori che fanno intravedere qualche sprazzo di talento, ma che poi si perdono. Che lo facciano sul campo o nella vita, poco importa. Fatto sta che il mondo e la sua storia sono pieni di ragazzi che non confermano quanto fatto intravedere da giovani. E a tal proposito, giunge a fagiolo la sedicesima edizione del Mondiale U-17, che domani prende il via in Cile con un sabato niente male, in cui saranno di scena sia i padroni di casa che i campioni uscenti della Nigeria.

Potrei tentare una previsione su quanto avverrà in Cile, dove ci sarà più di una faccia conosciuta tra allenatori e giocatori. Personalmente attendo parecchio un sudcoreano dalle grandi potenzialità, ma penso sia molto più congruo guardare a ciò che è stato. Il tempo è giudice e allora a distanza di anni riusciamo a capire com’è andata per alcuni che a questa rassegna si sono manifestati come grandi promesse e poi, magari, non le hanno mantenute.

I fratelli sbagliati

La prima edizione del Mondiale U-17 si disputa nel 1985 in Cina. In realtà, fino al 1991 la competizione sarà riservata agli U-16 e si vedono casi più che bizzarri. Come quello di Guinea e Nigeria, che portano addirittura dei tredicenni a questa rassegna.

Il primo trofeo se lo aggiudica la Nigeria, vittoriosa in finale contro la Germania Ovest. Ma l’edizione può esser ricordata per altri motivi: è la rassegna dei “fratelli sbagliati”. E di casi ce ne sono almeno un paio.

Il più clamoroso è quello di Hugo Maradona, fratello del più famoso Diez della storia. Hugo si prende la ribalta nella stessa squadra che schiera tra le sue fila un giovanissimo Fernando Redondo. Se Diego incanta a Napoli, Hugo cresce nell’Argentinos Juniors, stesso vivaio del fratello. Lo vedremo solo per un anno ad Ascoli: probabilmente persino al bizzarro presidente Rozzi era bastato quel 1987–88.

L’appellativo “bidone” non è un caso.

Ma non è l’unico caso. Anche il Costa Rica schiera un fratello eccellente: Javier Wanchope, otto anni più vecchio di quel Paulo che poi è diventato il top-scorer e il ct della nazionale maggiore. Javier rimarrà comunque nella storia: quel Costa Rica fu la prima squadra del paese ad apparire in un torneo internazionale di calcio.

L’uomo dei tre passaporti

Nel 1987 è il Canada a ospitare la competizione. Stavolta la Nigeria arriva in finale, ma perde all’ultimo atto contro l’Unione Sovietica, vittoriosa ai calci di rigore. In quella squadra di sconosciuti sarà solo uno di quei ragazzi a vestire la maglia della nazionale. Ma non di una sola, bensì di tre rappresentative diverse.

In quel torneo, Yuri Nikiforov è uno dei migliori giocatori: persino devastante in alcuni casi. Diventa capocannoniere con cinque gol segnati (di cui uno in finale) ed è un giovane virgulto nato a Odessa, poi diventata città ucraina. Sembra un discreto centravanti, ma col tempo la sua posizione in campo cambierà.

Diventato in seguito prima centrale e poi addirittura libero, la carriera di Nikiforov si è dipanata tra l’Ucraina, la Russia, l’Olanda, la Spagna e persino una tappa finale in Giappone. Ma la sua peculiarità è un’altra: credo sia uno dei pochi — se non l’unico — al mondo ad aver vestito la maglia di tre nazionali diverse.

Nel 1992, Nikiforov colleziona quattro presenze con la CSI (Comunità degli Stati Indipendenti), la squadra formatasi in seguito allo scioglimento dell’Unione Sovietica. Sciolta la CSI, il centrale gioca tre partite con l’Ucraina e poi passa alla Russia. In totale 55 presenze e sei gol, nonché due Mondiali e un Europeo giocati con gli ex sovietici.

L’eroe dell’Oman

Questo piccolo paese non ha mai partecipato alla Coppa del Mondo e si è qualificato solo tre volte per la Coppa d’Asia. Meglio ha fatto con le sue giovanili: la sua U-17 riuscì a partecipare al Mondiale di categoria del 1995. A sorpresa, l’Oman riesce a battere la Germania per 3–0 nel gruppo, fino ad arrivare al quarto posto finale.

Se c’è un gol degli asiatici, non manca la firma Mohammed Amar Al-Kathiri. Centrocampista con il numero 5, diventa MVP e capocannoniere della competizione. Un trionfo suggellato dal titolo di miglior giovane giocatore asiatico del 1995. Un prodigio che sarebbe stato in grado di trascinare l’Oman alla fase finale di una Coppa d’Asia.

Così ne parla la FIFA nel suo report sulla competizione: «Sebbene il calcio sia uno sport di squadra e il gruppo è importante in ogni caso, un giocatore deve essere menzionato: senza di lui, il successo dell’Oman non sarebbe stato possibile. Al-Kathiri è stato il cervello dietro a questa squadra, sapendo quando e come servire i compagni. Ha segnato cinque gol (due direttamente da corner). Senza le due traverse colpite contro il Ghana in semifinale, sarebbe anche stato il capocannoniere della competizione».

Invece della stella vista in Ecuador non si sentirà mai più parlare. Non si sa neanche se abbia mai giocato una gara con la nazionale maggiore. Di quanto testimoniato in quelle due settimane rimangono solo qualche foto e il report della FIFA.

Il numero 5, l’MVP.

Il mistero

Il 1999 rimane l’anno dell’Oceania. A ospitare la rassegna è la Nuova Zelanda, mentre l’Australia — allora ancora appartente all’OFC — sfiora il titolo, perdendo solo ai rigori in finale contro il Brasile. È anche l’edizione nella quale Landon Donovan si presenta al mondo, diventando MVP e trascinando gli USA al quarto posto.

Ma non solo. La competizione mostra il talento di uno dei giocatori che più stranamente non sono mai apparsi con la maglia della propria nazionale. Mikel Arteta è un giovane regista nativo di San Sebastián: ha la fortuna di crescere nel Barcellona e si è imposto giusto un anno prima all’Europeo U-16, dove la Spagna ha trionfato.

La cosa incredibile è che le giovani Furie Rosse usciranno subito da quel Mondiale. Arteta non brilla come al solito, forse perché — come dice il report FIFA — «è più impegnato con i compiti difensivi». Nonostante non si sia mai affermato al Barcellona (neanche una gara con la prima squadra), la sua carriera è tutt’altro che da buttare.

Un anno al PSG (non quello stravincente di oggi), tanti bei ricordi a Glasgow sponda Rangers e una stagione giocando a casa con la Real Sociedad. I sei anni trascorsi con l’Everton l’hanno reso un giocatore appetibile e ora Arteta sarebbe il capitano dell’Arsenal, se non fosse che gli infortuni lo stanno rovinando.

Nonostante quest’ottima carriera, nessuno l’ha mai chiamato per giocare con la Spagna: più che strano.

La coppia mai scoppiata

Nel 2001, la Francia trionfa. La rassegna organizzata in Trinidad & Tobago vede un trionfo transalpino. Dopo che la nazionale maggiore si è assicurata Mondiale ed Europeo in due anni, gli U-17 Blues perdono la prima gara e poi travolgono la concorrenza. Battuti Brasile, Argentina e Nigeria, 18 gol fatti e due giocatori a risplendere su tutti gli altri.

Il primo lo conosciamo bene, perché in Italia c’è stato per un decennio. Mourad Meghni è cresciuto nel vivaio di Clairefontaine, quello dove tanti talenti francesi vengono coltivati. E a vent’anni si sperava che potesse esplodere con la maglia del Bologna. La sua carriera, in realtà, è stata una grossa bolla di sapone.

Passato per l’Emilia e per la Lazio, non ha mai espresso il suo vero potenziale. Dopo diverse stagioni in Qatar, sembrava aver preso la strada del ritiro a soli 28 anni. Invece, prima è stato per sei mesi nel futsal, poi a luglio scorso ha firmato con il CS Constantine, squadra algerina. Un modo come un altro per cercare di ripartire a 31 anni.

Lo chiamavano il Petit Zidane.

Ancor più clamorosa è però la storia di Florent Sinama-Pongolle. In fondo Meghni, a quel Mondiale U-17, era una riserva. Diversa la storia dell’attaccante, stella dei francesi: a fine torneo viene eletto MVP ed è capocannoniere. La strada sembra spianata per lui: dal fiorente vivaio del Le Havre finisce addirittura a Liverpool.

Nonostante con i Reds abbia anche vinto una Champions League, Sinama-Pongolle non si ripeterà mai ai livelli di quel Mondiale U-17. La sua prima stagione in doppia cifra arriva solo a 23 anni: per due volte raggiunge la double digit in Liga con il Recreativo Huelva. Addirittura veste la maglia di Atlético Madrid e Sporting Lisbona. Da lì, è tutto in salita.

Qualche presenza con Real Zaragoza e Saint-Etienne, finché il francese non emigra a Rostov, dove segna la bellezza di due gol in due anni. Stessa media anche nel breve periodo in MLS con i Chicago Fire. A 31 anni ha tentato di rilanciarsi con il Losanna, ma si è subito infortunato ed è così tornato a Le Havre.

Un sogno però l’ha realizzato: ha giocato una gara in nazionale, convocato da Domenech. Almeno quello…

I nigeriani

Se si gioca una competizione giovanile, le squadre africane sono quelle da guardare. Negli anni le loro prestazioni sono state spesso messe in dubbio dal fatto che le anagrafi tendevano a falsificare le età di alcuni giocatori (è accaduto anche in Coppa d’Africa recentemente). Se si guarda l’albo d’oro del Mondiale U-17, una squadra africana ha trionfato per ben sei volte ed è giunta in finale in altre cinque occasioni. Basti pensare che due delle tre squadre più vincenti tra le U-17 sono africane: la CAF è quindi la confederazione più forte in questo torneo.

Per medaglie conquistate, la Nigeria è la compagine più vincente: quattro volte vincitrice (e campione uscente), nonché tre volte seconda. Le Super Eagles si portano dietro anche il record di squadra che ha segnato più gol in una sola edizione (26 nel 2013). Proprio per questo una menzione sui talenti nigeriani non è solo dovuta, ma persino fondamentale.

L’ultima edizione del Mondiale U-17, dominata dai nigeriani.

Il primo della lista è Femi Opabunmi. Insieme al duo francese composto da Le Tallec e Sinama-Pongolle, è uno dei talenti che si mette in luce nell’edizione del 2001. Ala mancina, in un anno passa dalla rassegna U-17 alla chiamata per il Mondiale del 2002, dove la Nigeria non vince una gara ed esce al primo turno.

Già eliminati, i ragazzi del ct Onigbinde vanno in campo per l’ultima gara contro l’Inghilterra. Per Opabunmi è l’occasione di giocare una gara del Mondiale, diventando il terzo giocatore più giovane a giocare una partita di un Mondiale (dopo Norman Whiteside e Samuel Eto’o). Sarà solo una delle tre presenze collezionate con la nazionale maggiore.

Nel 2006 si è ritirato a soli 21 anni. Il motivo? Una cecità insanabile. «Nel dicembre 2006 mi stavo allenando e ho sentito un dolore acuto agli occhi. Non riuscivo a vedere più la palla». Gli rivelano che deve operarsi. L’operazione va bene, ma non ha i soldi per pagarla. Inoltre, il problema non è mai stato risolto del tutto e oggi Opabunmi è un uomo povero, più solo che mai.

Diverso il caso di Macauley Chrisantus, stella dell’edizione 2007. In quel Mondiale U-17, la Nigeria vince il terzo titolo e il giovane classe ’90 segna in cinque delle sette gare per il titolo. Capocannoniere della competizione, viene eletto secondo miglior giocatore della rassegna. Davanti un certo Toni Kroos.

Chrisantus comincia così la sua carriera emigrando in Germania. Con l’Amburgo non giocherà mai in prima squadra, ma i prestiti nelle serie minori vanno molto bene. Lo nota il Las Palmas, dove disputa due discrete stagioni in Liga Adelante. Dopo un fallimento con il Sivasspor, il nigeriano sembra aver trovato la sua dimensione in una grande decaduta greca: con i suoi gol, l’AEK Atene è recentemente tornato in prima divisione.

Vediamo se quest’anno si conferma.

Il terzo nome è quello di Sani Emmanuel, forse anche più conosciuto perché passato in Italia. Sani fa parte della Nigeria giunta seconda al Mondiale casalingo, sconfitta solo dalla Svizzera dei fenomeni. Lo nota la Lazio, che tessera Sani nel 2010. Lotito prova a spedirlo alla Salernitana, dove però non gioca.

Meglio il prestito al FC-Biel, dove segna cinque gol in dieci presenze. Sembra la premessa per il salto di qualità. Invece, Sani gira tra Gerusalemme, Oskarshamns e Sarajevo, senza trovare un contratto fisso. A 23 anni non siamo certi alla fine della sua carriera. Ma ci vuole una svolta rapida.

L’ultimo della nidiata nigeriana è Kelechi Iheanacho, cresciuto nella Taye Academy e MVP del 2013. Qualche giorno fa ha segnato il primo gol da professionista con la maglia del Manchester City sul campo del Crystal Palace. Una rete che è valsa i tre punti.

Chissà se lo piangeremo tra qualche anno.

The next Pelé

Siamo abituati a etichettare tutto. Giusto qualche settimana fa, “La Gazzetta dello Sport” ha pensato malauguratamente di paragonare la momentanea ascesa di Calabria con il Milan a quella di Alaba con il Bayern Monaco. Follia pura.

Classe ’89, esplode ben presto con l’U-17 degli Stati Uniti, nella quale gioca quando ha solo 14 anni. Le doti sembrano esserci. Adu diventa il più giovane a firmare un contratto professionistico in qualsiasi sport: la sua nuova squadra è il D.C. United, compagine di Washington. Si pensa che stia per nascere la stella del secolo.

Quando entra in campo il 3 aprile 2004 contro i San José Earthquakes, qualcuno ha l’impressione che si stia assistendo alla nascita di una magia. Due settimane dopo arriva anche il primo gol. La prima stagione è pure positiva: 30 presenze, cinque gol. A 15 anni. Lui continua a crescere e arriva persino un provino con lo United (ovviamente non passato).

In tutto questo, il Mondiale U-17 diventa quasi uno sponsor più per la competizione che per lui. Nonostante l’MVP del torneo sia un certo Francesc Fàbregas Soler, gli occhi sono tutti per Adu. Gli Stati Uniti escono ai quarti e per lui si attende solo la santificazione. Che non arriverà mai.

Non è un fotomontaggio.

La carriera di Freddy Adu ha poi raccontato ben altro. Ha giocato con l’U-20 per sei anni, mentre la sua carriera con l’USMNT si è chiusa presto. Dopo uno score di 17 presenze e due gol, Adu non è stato più chiamato dalla nazionale. A 22 anni, nonostante l’esser stato soprannominato The next Pelé dal Time.

In realtà di O Rei non c’è nulla. Dopo aver lasciato gli USA a 18 anni, la sua carriera di club racconta di tanti viaggi: Portogallo, Montecarlo, ancora Portogallo, Grecia, Turchia, ritorno negli Stati Uniti, Brasile, Serbia, Finlandia. Da luglio scorso, Adu è un nuovo giocatore dei Tampa Bay Rowdies, squadra della North American Soccer League (la seconda divisione americana).

Se c’è qualcuno che rappresenta al meglio il concetto di “gioventù bruciata” è proprio l’uomo nato in Ghana e con il passaporto americano.

Portieri goleador

C’è spazio anche per questo nel Mondiale U-17. E non è un evento risalente alle prime edizioni, bensì piuttosto recente. Quillan Roberts oggi fa parte della nazionale maggiore ed è forse il prospetto più interessante tra i pali del Canada, ma quattro anni fa ha fatto la storia nell’edizione ospitata e vinta dal Messico.

Il Canada non ha fatto molta strada: due pareggi, una sconfitta ed eliminazione immediata. Tuttavia, uno dei due gol realizzato è proprio a firma del portiere del Toronto FC. Alla caccia del pareggio, l’estremo difensore lancia in avanti per i suoi compagni, ma il vento e una traiettoria strana fanno finire il pallone direttamente in porta.

Per l’Inghilterra è una beffa. Per il Canada c’è il primo punto a un Mondiale U-17. Per Roberts è la storia: è stata la prima (e sinora unica) volta nella quale un portiere ha segnato durante una fase finale di qualunque competizione targata FIFA.

E l’Italia?

Non c’è stata finora neanche un po’ d’Italia in questo racconto. Questo perché il record della nostra U-17 è molto povero nel Mondiale di categoria. Se l’Italia può fregiarsi di ben cinque titoli U-21, diversamente sono andate le cose in questa categoria.

Qualificata per sette volte su 16 edizioni, l’Italia ha come miglior risultato il quarto posto ottenuto in Canada nel 1987. L’ultima qualificazione risale al 2013, quando la nazionale guidata dal ct Zoratto superò il girone, ma uscì agli ottavi contro il Messico. Tuttavia, noi vogliamo ricordare alcuni dei talenti passati per questa competizione che si sono poi persi durante gli anni.

Potrei fare tanti nomi: dallo sfortunato Natalino a Cappellini, passando per Eddy Baggio, Francesco De Francesco e Fabio Gallo. Ma due nomi stanno sopra ogni cosa. Perché sono quelli che avresti preso sempre a Football Manager 2005, perché i loro inizi facevano premettere una grande carriera.

Nell’edizione del 2005 in Perù, l’Italia non passerà neanche il girone. Ma non tutti disponevano di una coppia d’attacco come quella composta da Andrea Russotto e Salvatore Foti. Un “10” e un “9”, che si sarebbero dovuti completare alla perfezione. In realtà, la loro carriera — a 27 anni compiuti: sono entrambi dei classe ’88 — dice ben altro.

Salvatore Foti è cresciuto nei vivai di Acireale e Venezia, finché Beppe Marotta non ebbe l’intuizione di portarlo alla Samp. Con la penuria di attaccanti avuta in quegli anni, Walter Novellino lo porta in prima squadra. Dopo aver esordito contro il Livorno, Foti mette dentro il suo primo gol da professionista in un Samp-Messina del 12 febbraio 2006.

Sembra l’inizio di una grande storia d’amore, ma il ritorno a pieno regime dei titolari gli toglie spazio. Il prestito a Vicenza è incoraggiante: lui e Schwoch formano una coppia d’attacco particolare, ma funzionale ai veneti. Il suo cartellino rimarrà in mano blucerchiata per sette stagioni, ma Foti non diventerà mai un protagonista.

Gira molto in B: dopo Vicenza, arrivano altri quattro prestiti. Tuttavia, il centravanti non riesce mai a impressionare per qualche motivo. Il bacio d’addio alla Samp è un gol al Crotone, il secondo e ultimo segnato in blucerchiato.

Foti allora scende ancora di categoria, trasferendosi in Lega Pro a Lecce. Sembra l’anno della sua ripresa: otto gol in 15 gare, ma gli infortuni non lo lasciano in pace. E così si chiude anche l’avventura in giallorosso. Dopo un passaggio a vuoto nel Chiasso, oggi Foti è svincolato, con un futuro tutto da decifrare.

Forse è andata leggermente meglio ad Andrea Russotto, capace di fomentare molti allenatori virtuali negli anni 2000. Cresciuto nelle giovanili della Lazio, viene acquistato dal Bellinzona. Un passaggio strano, spiegato così dal ragazzo: «Quando ero alla Lazio, è venuto un dirigente a dirmi che se non mi fossi legato alla Gea (società di procuratori sportivi, ndr) non avrei potuto avere una carriera importante. Io ho rifiutato e me ne sono andato al Bellinzona».

Dalla Svizzera, Russotto torna comunque in prestito in Italia. Lodato nel report FIFA di quel Mondiale U-17 del 2005, per lui sono fondamentali i tre anni a Treviso, dove esordisce in A e si conquista le attenzioni del Napoli. L’avventura partenopea è deludente e così il viaggio di Russotto continua per tutta l’Italia: da Crotone a Livorno, passando per Carrara e Catanzaro.

Recentemente aveva firmato per la Salernitana neo-promossa in B, ma Russotto è stato subito prestato al Catania. Chissà che non possa diventare un idolo al “Massimino”. La cosa particolare della sua carriera in nazionale è che Russotto ha vestito le maglie di tutte le rappresentative giovanili. E non scherzo se dico “tutte”, compresa anche quella Olimpica.

C’è tutto degli anni 2000: il Treviso, Russotto e “Diventerai una star” dei Finley. Da notare la dicitura del video: “La più grande promessa del calcio italiano”. Nel 2007 non sembravano esserci dubbi.

In questa rassegna cilena, l’Italia non ci sarà. Ma il Cile sarà il centro dell’universo calcistico per qualche giorno. Godetevela, magari ci saranno nuove storie da raccontare.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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