Grazie, 1987

Mattia Polimeni
Crampi Sportivi
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8 min readOct 22, 2017

Con il senno di poi George Orwell avrebbe reso uno dei suoi romanzi più famosi ancora più iconico, se solo l’avesse ambientato tre anni più tardi. Il 1987 non ha visto realizzarsi la maggior parte delle distopie immaginate da Orwell, ma è comunque un anno in cui succede di tutto. In Italia il 1987 è l’anno del sorpasso: il PIL aumenta del 18% e grazie a quello che venne definito da “The Economist” un gioco di prestigio statistico, superiamo la Gran Bretagna e diventiamo la sesta nazione più ricca del mondo. Complicità forse dell’energia partenopea, visto che il 1987 è l’anno del primo sacro e inviolabile scudetto del Napoli e di Maradona.

Nel 1987 debutta della famiglia Simpson su un neonato network FOX, mentre sulla CNN Donald Trump intervistato da Larry King dichiarava di non aver nessun interesse a diventare presidente degli Stati Uniti. Nel 1987 Mikhail Gorbachev presta il faccione al Time Magazine che lo ha appena nominato Man of the year, proprio mentre Michael Douglas sul grande schermo racconta nei panni di Gordon Gekko l’immoralità senza scrupoli del mondo della finanza. Nel 1987 I Lakers di Magic sono campioni NBA mentre Madonna, Naomi Campbell e la principessa Diana iniziano a indossare con agio la corona di icone indiscusse del tempo.

A New York il 1987 è anche l’anno in cui il numero di persone morse da altri esseri umani è superiore a quello delle persone morse da scoiattoli (95). Crazy New Yorkers.

E a proposito di pazzi, durante il tour di Joshua Tree gli U2 aprono i propri concerti con lo pseudonimo “The Dalton Brothers from Galveston, Texas” suonando musica country mascherati dietro costumi e parrucche.

L’universo non gira male nel 1987 ed è la dimensione calcistica a subirne gli effetti benefici migliori, dando il via ad una generazione impressionante. Gli Dei del mondo sembrano divertirsi ed è quasi normale immaginarli, durante la serata di Texas Hold ’Em del giovedì, esagerare con la grappa. Tra una puntata e l’altra, vuoi per scherzo vuoi per sfida, nel pentolone dove sta finendo di bollire la ricetta segreta del 1987 si rovescia più di mezza boccetta di talento calcistico. Una fatalità che il mondo del calcio terreno non ha ancora finito di ringraziare.

Sappiamo per certo che la casualità della grandezza può essere ridimensionata pensando non tanto al dove, ma al quando sono nati i più grandi giocatori ed è per questo che il 1987 si candida fortemente tra gli anni più prolifici e sicuramente più magici.

La lista all’anagrafe è impressionante e ha fatto sognare e sorridere chiunque in tutti gli angoli del globo: Giuseppe Rossi, Samir Nasri, Cesc Fàbregas, John Obi Mikel. Jerèmy Menez, Hatem Ben Arfa, Aaron Lennon, Mark Noble, Kevin Prince Boateng, Gonzalo Castro, Gerard Piquè, Federico Fazio, Sergio Romero, Joe Hart, Leonardo Bonucci, Jan Vertonghen, Arturo Vidal, Blaise Matuidi, Dimitri Payet, Marek Hamsik.

In questa massa, quattro sensazioni particolari si distinguono però con forza rendendo il 1987 un anno di estrema bellezza e di quasi impareggiabile valore. Benzema, Messi, Higuain e Luis Suárez. In ordine sparso attraverso le note del 1987 riviviamo la preghiera, il tempo dell’amore, la grazia e il passato da cui non si scappa. Quattro dipinti di altrettanti temi che rappresentano il viaggio di questi fenomeni.

Lionel Messi feat. Bon Jovi — Livin’ On A Prayer

Lionel Andrés Messi Cuccittini (Rosario, 24 giugno 1987)

Woah, we’re half way there
Woah, livin’ on a prayer
Take my hand, we’ll make it I swear
Woah, livin’ on a prayer

Con Messi in fondo, si è sempre trattato di una preghiera. La prima, forse la più forte di tutte, soffia a Rosario quando Lionel si ferma e le divise dei Newell’s Old Boys sembrano sempre troppo grandi. Pregano mamma Celia e papà Horge, che una cura possa permettere a quel talento inverosimile, infinito e sempre nuovo di superare il limite di un corpicino poco in grado di contenerlo. Prega di fare la scelta giusta il Barcellona, caricandosi i costi dell’assistenza medica. E da 10 anni a questa parte, in modi diversi, tutti hanno pregato quando si sono trovati di fronte Leo Messi. L’hanno fatto i difensori, sperando nella pietà di un signore del calcio come più e più volte l’ha fatto il Camp Nou, in un clima di quasi surreale certezza perché Leo continua ancora senza sosta ad avvicinare di peso la linea che divide possibile e impossibile. Ha pregato Jùlio Cesar, che le sue gambe riuscissero a spingerlo fino a spostare quel pallone calciato così perfettamente nel 2010 come ha pregato tutta l’Argentina nel 2014 toccando un’altra volta (come tante altre) la gioia più pura contro l’Iran.

Messi, give it to him and pray. Oooh, he’s done it!

L’Argentina ha pregato tanto e pregherà ancora il suo Dio, perché ora più che mai Leo sembra di poterlo scorgere solo verso l’alto. Conduce davanti a tutti, dopo aver personalmente flagellato l’Ecuador e timbrato il biglietto per Russia 2018 verso quel mondiale che l’Argentina gli deve, parafrasando Sampaoli. La mano è tesa, fidiamoci di Leo. Take my hand, we’ll make it I swear.

Gonzalo Higuain feat. Whitney Houston — I Wanna Dance with Somebody (who loves me)

Gonzalo Gerardo Higuaín (10 dicembre 1987)

It’s the light of day that shows me how
And when the night falls
Loneliness calls.

Gonzalo Higuaìn trova la sua più grande forza e debolezza nel tempo. Il tempo di esecuzione, sempre perfetto, è l’arma preferita con cui sbeffeggia chiunque provi a contrastare la sua impressionante voglia di segnare. Gonzalo non ha pietà di nessuno, quando calcia è per buttarla dentro. Difficile vedere un suo gol morsicato, fortunoso. La rete si lascia sempre spostare fino in fondo dal pallone. Gonzalo nel tempo ha trovato però anche il suo grande nemico. Non ne ha avuto abbastanza per fare innamorare completamente Madrìd. Lo stesso tempo che a causa della fretta di ottenere subito grandi risultati non gli ha permesso di onorare fino in fondo la sua storia col Napoli, concludendo in tragedia uno degli idilli più romantici degli ultimi anni di serie A.

E adesso, il tempo alla Juventus sembra voler ergere ostacoli ancora più grandi. Perché tutti si aspettano la fame è la crudeltà di sempre e appena queste vacillano o vengono messe in dubbio vorresti che fosse la fortuna a darti una mano a sistemare le cose e non la lentezza del tempo. Gonzalo sta già risollevando la sorte e tra qualche mese saremo ancora qui a maledire la sua sete implacabile e a chiederci quanto sia forte. Il suo rapporto complicato con il tempo e con il sentimento però, lo rendono un po’ triste nell’affannosa e continua alla ricerca conferme e del vero amore. Non esser triste Gonzalo, con te vorrebbero danzare tutti.

Yeah! I wanna dance with somebody
With somebody who loves me.

Luìs Suárez feat. Los Lobos — La Bamba
Luis Alberto Suárez Díaz (24 gennaio 1987)

Para bailar la bamba
se necesita una poca de gracia.

Nel sistema del conejo la grazia assume sfumature irriconoscibili in altri giocatori. Non è come la grazia felpata di Leo Messi, tanto morbida quanto musicale e nemmeno come la grazia della perfezione dei meccanismi di Cristiano Ronaldo. Non ha niente a che vedere con la grazia della mente di Don Andrès Iniesta, con la grazia della parabola di Andrea Pirlo o con la grazia quasi fastidiosa di Neymar da Silva. La grazia del conejo Luis Suárez rifugge le definizioni più classiche e si lascia ammirare nella sua stranezza.

Nell’anno in cui il Liverpool sfiora il sogno della Premier, Suárez gioca una stagione fuori da ogni concetto che diventa l’espressione estrema della sua grazia, perché a Barcellona assieme agli altri due della MSN il più delle volte è il genio stesso a passare inosservato. Il ritmo frenetico dei Los Bobos è il background perfetto per il sorriso irriverente e pungente con cui Suárez ha incantato Anfield nei suoi anni a Liverpool. Reti segnate in equilibrio precario, situazioni risolte da un colpo eseguito alla stessa velocità del pensiero e momenti delicati come un tunnel impossibile dopo aver recuperato la sfera di rabbia. La grazia del conejo è tutta lì, non le daresti un centesimo a guardarlo ma quando esplode è tremendamente (e piacevolmente) efficace.

Karim Benzema feat. Michael Jackson — Bad
Karim Mostafa Benzema (19 dicembre 1987)

And the whole world has to answer right now
Just to tell you once again,
Who’s bad.

Karim Benzema è il sole di due universi. Dentro il campo brilla la luce bianca di una classe sopraffina, da gran lavoratore e intenditore di spazi e tattiche. Fuori dal campo, spesso, la luce più forte è quella del sole scuro e tenebroso delle banlieu di Lione che mai ha allentato gli artigli dall’anima di Karim. Palazzi popolari e giornate pericolose. Karim è cresciuto nelle strade e quando torna col suo jet privato dicono non giri accompagnato da bodyguard, perché sa di essere a casa. Bron-Terrailon è il quartiere fuori dalle connessioni della grande città e dalle sue opportunità, ma Son cerveau est dans ses pieds — il suo cervello è nei piedi e Karim fortunatamente trova una strada da sfruttare. I dirigenti del Barcellona lo scartano con la motivazione: trouble follows Benzema.

Dopo l’esplosione a Lione, però, il Real Madrid ci crede e trova nell’introverso carattere del francese il contro-peso perfetto per l’ego indemoniato di Cristiano Ronaldo. In campo Benzema è un finissimo finalizzatore, fisicamente fastidioso, veloce e in grado di saper leggere poeticamente le situazioni. Chiedere all’Atleti che ci legge in CC. Fuori dal campo è un casino. Multato per eccesso di velocità alla guida (più volte), coinvolto in uno scandalo sessuale assieme a Franck Ribery (poi assolto), si butta col paracadute a Dubai violando il regolamento di sicurezza del Real Madrid, si gioca la convocazione in nazionale facendo da intermediario ai ricattatori di Valbuena, che minacciavano di pubblicare su Internet un video a luci rosse con protagonista il giocatore del Lione.

Il bello di Benzema è sul campo perché pur bombardato da carichi pesantissimi per chiunque, carichi di un passato difficile da slegare, è rimasto sempre lì a fare il suo dovere, con classe e dedizione. Perché il sole bianco, in fin dei conti, è sempre quello che brilla di più.

Il 2017 è l’anno dei 30 per questi ragazzi, quello di uno dei giri di boa più interessanti della vita. Citando Pierre Baillargeon, a trent’anni non si hanno delle pene infinite perché si ha ancora troppa speranza e non si hanno più desideri esagerati, perché si ha già troppa esperienza. Nel 1987 i Whitesnake cantavano “Here I Go Again” e noi siamo ancora qui, consapevoli di quanto hanno fatto sperando che non smettano mai.

I don’t know where I’m going
But, I sure know where I’ve been.

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Mattia Polimeni
Crampi Sportivi

Ho scritto di sport, di viaggi e di musica. Ora vorrei scrivere di