Hotline Bowl

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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4 min readFeb 5, 2016

Bowl in inglese ha comunemente il significato di scodella, insalatiera, tazza. Ci sono scodelle che nel corso degli anni hanno avuto maggiore prestigio rispetto ad altre; chiunque, con un casco in testa e una palla ovale tra le mani, si stia giocando una partita valida per un “Bowl”, sa di essere parte della storia del football americano.
Dal Rose Bowl, all’Orange e il Cotton Bowl, passando per decine di altri Bowl che si disputano annualmente nella NCAA, fino ad arrivare al leggendario Ice Bowl del 31 dicembre 1967, nessuna di queste scodelle sarà mai paragonabile al Super Bowl.
Quello che si disputerà domenica 7 febbraio alla Bay Arena di San Francisco, tra i Carolina Panthers e i Denver Broncos, sarà il Super Bowl numero 50.
Un evento planetario e storico, come tutti gli atti conclusivi del campionato NFL, ma con contorni ancora più unici rispetto al solito.

Nel corso degli anni, per indicare le varie edizioni dei Super Bowl si sono sempre utilizzati i numeri romani; la cinquantesima edizione sarà per la prima volta indicata e ricordata negli annali con il classico sistema di numerazione arabo. Ai tempi di Giulio Cesare il 50 era indicato con la lettera L, che negli Stati Uniti è la quintessenza dell’epiteto Loser: per evitare gaffe e misunderstanding di ogni genere, si è deciso di optare per un più tondo e politically correct numero arabo.
Sarà inoltre l’edizione più social di sempre, la prima che ha portato i tweet letteralmente sulla linea di scrimmage. Letteralmente.

Peyton Manning sbarcò nei pro, poco meno di diciott’anni fa, nel settembre del ’98. A quel tempo chi usava internet doveva essere inevitabilmente una persona paziente e flemmatica, Lycos era il principale motore di ricerca (Google stava emettendo i primi flebili vagiti), dei siti web dinamici neanche l’ombra e i social network erano una totale utopia.
Se il giorno del Draft avessimo detto all’allora futuro QB dei Indianapolis Colts che una cosa non ancora creata, tramite tecnologie aliene per il tempo, gli avrebbe consentito di giocarsi un Super Bowl a quarant’anni, ci avrebbe preso per matti. Si sarebbe sbagliato.

A scombinare i piani del numero 18 dei Denver Broncos ci hanno pensato un giocatore senza contratto, sua moglie, il defensive coordinator della franchigia del Colorado e un uccellino azzurro che ama cinguettare milioni di volte al giorno.
Tutto ha inizio il primo dicembre 2015. Denver sta volando in regular season ma un’inesorabile morìa di defensive back costringe Wade Phillips, coach della difesa, a tornare sul mercato in vista anche delle sfide di playoff. Viene contattato Josh Bush.
Alla finestra, in attesa della chiamata del possibile riscatto c’è anche Shiloh Keo.

Il safety statunitense è tristemente disoccupato. La sua carriera NFL, iniziata nel 2011, è caratterizzata da infortuni, delusioni ed insuccessi uno dopo l’altro: gli Houston Texans lo tagliano senza colpo ferire e i Cincinnati Bengals lo scaricano dopo pochi mesi dall’acquisto. Nessuno sembra vedere nulla di buono in lui. La depressione è dietro l’angolo.
E’ la moglie di Keo, Kenna, a voler rilanciare la carriera del marito. Lo costringe a contattare Phillips, tramite un tweet scherzoso ma non troppo, che posso attirare la sua attenzione, sperando di poter ottenere una corsia preferenziale, memore dell’esperienza ai Texans in cui Keo e Phillips avevano lavorato insieme.

I wanted to text (Phillips) but I didn’t have his cell phone. I knew he was a big Twitter guy so we decided on doing it that way. I wasn’t really sure about it but my wife was sure it was the right thing to do. She usually gets her own way on things like that — and she is usually right.”

Seguono scambi di battute a cui parallelamente vanno aggiunti ulteriori acciacchi nella ormai decimata difesa dei Broncos. Un po’ per necessità, un po’ per fortuna, un po’ perché negli Stati Uniti senza storie da film proprio non riescono a starci, arriva il momento di Shiloh Keo. Nel frattempo si tiene allenato e studia gli schemi difensivi di Denver, consapevole che un treno con possibile destinazione San Francisco sarebbe potuto passare da un momento all’altro.
Ad una settimana dal primo tweet, ecco l’opportunità della vita. Messo sotto contratto da Denver, viene in fretta e furia spedito nella mischia con la 33 fresca di stampa. Più che un film sembra uno scherzo.
Stecca l’esordio contro i Raiders ma ben presto si riscatta. Nell’ultima partita di regular season è suo l’intercetto decisivo contro San Diego che consente a Denver di poter sfruttare il fattore campo durante tutti playoff. Quello che sembrava uno scherzo si sta tramutando inaspettatamente in un sogno.

Si sa che dai sogni, se sono belli, intensi, reali, non ci si vorrebbe mai svegliare.
La pensa così anche Keo.
A Denver, per la finale di AFC, arrivano i campioni in carica dei New England Patriots. L’incubo per ogni secondaria della lega in due parole: Brady — Gronkowski. La prova definitiva per il numero 33 dei Broncos. Gioca oltre 40 snap nella classica linea difensiva e oltre 30 snap nello special team. Impedisce una conversione da due punti coprendo perfettamente su Gronkowski e disturba un importante field goal di Gostkowki, costretto a sbagliare un calcio nel prima metà di gioco dopo 524 tentativi andati a buon fine.
Il vero capolavoro arriva a dodici secondi dal termine quando ricopre il disperato on-side kick dei Patriots, annullando l’Hail Mary pass di Brady e regalando a Manning e soci il biglietto per il Super Bowl.
In meno di due mesi, da disoccupato sull’orlo della depressione a campione AFC con vista al Super Bowl, grazie ad un tweet.

“When I think about it, I get emotional” “They believed in me, that’s why they brought me here” “They trust everybody in this locker room. I just hope I can continue to come through and bring home a championship.”

A San Francisco tutti i riflettori saranno giustamente puntati sul duello Newton — Manning, un confronto generazionale, di stili di gioco e di vita.
Carolina parte con i favori del pronostico e se gioca come sa fare, per Denver potrebbe essere notte fonda.
Se la vita fosse un film, il finale sarebbe già scritto, ma vada come vada, questo cinquantesimo Super Bowl per noi sarà comunque ricordato come il Twitter Bowl.

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