La croce di Nazário

Mattia Musio
Crampi Sportivi
Published in
4 min readApr 12, 2018

Il termine greco ϕαινόμενον è un participio sostantivato della forma ϕαίνομαι [fàinomai] che sta per: “mostrarsi, apparire”. Nella lingua italiana il suo traducente è “Fenomeno”, che genericamente in filosofia indica “ciò che appare (che quindi può non corrispondere all’oggettività) che si manifesta ed è conoscibile tramite i sensi”. È difficile esprimere diversamente quella che è stata la seconda venuta del figlio di Dio sulla Terra.

Luís Nazário de Lima, per tutti Ronaldo, è sceso tra gli uomini per manifestarsi, apparire e cambiare tutto, per sempre.

Mai prima di quel momento e mai più in seguito si vedrà tanto dislivello su un campo da calcio: una gazzella con un cervello abbastanza grande per capire le regole del calcio, o di contro un uomo (se così esemplificativamente si può etichettare) con delle gambe abbastanza feline per poter correre al doppio dei giocatori più veloci del periodo. Di fatto si può parlare di Ronaldo come il reale spartiacque tra calcio moderno e contemporaneo.

Ronaldo prende tra le mani un calcio di schemi e tatticismi classici degli anni ’90 e lo trasforma nel calcio del 2000, in cui tutte le capacità cognitive dei dieci compagni di squadra sono finalizzate all’individuazione nel campo del numero 9, a cui dare la palla a prescindere dal numero di marcatori.
Uno spot poco conosciuto della Nike ha riassunto perfettamente la svolta.

Prima e dopo Ronaldo, lo spot

Una seconda Navidad che è stata analizzata in tutte le salse e da tutte le penne del giornalismo sportivo mondiale. Alla seconda nascita del bambino però seguì, come secondo le scritture, la seconda Passione. Cerchiamo di contestualizzare quello che fu il Gòlgota.

Roma, Stadio Olimpico: si sta giocando la finale di Coppa Italia 1999/2000 tra Inter e Lazio.

Dopo la precedente flagellazione del rotuleo durante Inter-Lecce, Ronaldo torna in campo mesi dopo per dar da bere agli assetati: Marcello Lippi concede il rientro al Messia, il suo compito è cambiare la partita come solo lui può fare. Il professor Saillant ha già dato l’ok: Ronaldo è clinicamente guarito. Il calcio fa festa, è tornato l’agnello di Dio.

La domenica delle palme però, stavolta, dura solo sei minuti. Una volta presa la palla sulla trequarti, cinque minuti dopo il suo ingresso in campo, Ronaldo decide di puntare la difesa biancoceleste. Di fronte ha Fernando Couto, per l’occasione nelle ingiuste vesti di Barabba, che è stato ammonito poco prima per un calcione al numero 9.

La sequenza dell’infortunio

Il Fenomeno parte con la proverbiale finta di corpo mentre Couto, saggiamente, indietreggia alla velocità della luce con l’espressione di chi ha visto il fantasma di Amleto.

La voglia di rivincita è tanta, troppa per quelle ginocchia da ballerino di tip-tap. Cede il destro, sotto il peso del mondo intero, portando a terra con sé anche il brasiliano. Contemporaneamente al suo crollo, i difensori della Lazio alzano le braccia richiedendo aiuto, così come i compagni nerazzurri: il figlio è caduto per la seconda volta e le urla sono veramente strazianti.

Lippi abbassa la testa in segno di sconfitta, Panucci ha le mani sui capelli. I momenti successivi sono quelli del silenzio assoluto di tutto lo stadio, che osserva la barella arancione venire trasportata in fretta dai soccorritori, “The show must go on” dopotutto. L’inter rimane in inferiorità numerica a causa delle tre sostituzioni: la finale, di fatto, si conclude qui.

Quello del 12 aprile del 2000 è L’Infortunio. È probabilmente l’immagine più famosa del Fenomeno (insieme a quella del 5 maggio, curiosamente ancora Agonizzante) così come quella della croce di Gesù, in un parallelismo che evidenzia la sensibilità umana al dolore e alle sue rappresentazioni.

Nessun tipo di trauma calcistico ha saputo modellare l’immaginario collettivo come quello del 12 aprile: infortunio diventato vicenda, poi dramma, poi mito, a tal punto che se si digitano su YouTube le lettere “infor” il suggerimento di query “Infortunio Ronaldo” è il terzo, a distanza di diciotto anni.

Il motivo è lo stesso per cui quando si sente la parola rotuleo non si può che ricordare quella linea che attraversa metà gamba del Fenomeno, metà cicatrice e metà segnalibro, un tratto di evidenziatore sulla scritta “paura”.

Ronaldo a Parigi per le cure

A rendere così dannatamente romantica la carriera di Ronaldo è appunto la sua componente drammatica: lo schema caduta e trionfo dell’epica che si ripete all’infinito. Un giocatore incontenibile fermato solo dalle proprie gambe, iconico simbolo di potenza e fragilità: il Sansone di Rio de Janeiro. È lecito sbilanciarsi ipotizzando che se quella palla non fosse arrivata sulla trequarti interista adesso Ronaldo avrebbe vinto 8 palloni d’oro, diventando il governatore supremo dell’America Latina. Invece quel pallone sulla trequarti c’è arrivato eccome ed ha segnato per sempre la storia del calcio.

Alla seconda passione però segue, come secondo le scritture, la seconda resurrezione.

Quel che viene dopo è noto: al suo rientro a pieni ritmi, nell’estate del 2002, il Messia vola in Corea del Sud per diffondere il verbo. In totale sono otto gol al mondiale, due in finale a Kahn, ma questa è un’altra storia. Il Brasile è campione del mondo, Ronaldo è Pallone d’Oro.

Il sepolcro è vuoto. Sia, dunque, lode.

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Mattia Musio
Crampi Sportivi

Per sempre grato al serve and volley, al piano sequenza e al doppio passo. Laureato alla UniCa.