I cinque minuti in cui Buffon ha indossato la maglia della Roma

Crampi Sportivi
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5 min readMay 17, 2016

17 giugno 2001, Roma-Parma, ultima di campionato. Minuto 85, metà dello Stadio Olimpico si riversa in campo, dando il via ad un’invasione pacifica di dieci minuti. Alcuni giocatori della Roma si salvano rientrando negli spogliatoi, altri vengono travolti dall’affetto dei tifosi. Buffon, il più lontano dal tunnel, rimane in campo, sicuro che lo status di avversario lo svincolasse dall’assalto. Nulla di più falso. Viene completamente spogliato di tutto, maglia, pantaloncini e guanti. Passa i successivi dieci minuti in mutande, a non capacitarsi di quanto stesse succedendo, vagando per il campo con un sorriso figlio dei cori e dell’affetto ricevuti per tutta la partita. Maglia giallorossa sulle spalle a mo’ di foulard, battute spiritose con un Capello furente e una partecipazione più che attiva alla festa di una città intera. Terminerà la partita con una maglia della Roma indossata al contrario: gli ultimi, nonché unici cinque minuti di Buffon in giallorosso. Un’illusione, il tempo di un battito di ciglia.

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Breve ma intenso[/caption]

L’estate del 2001 è il momento Sliding Doors della porta della Roma. Antonioli aveva vinto lo scudetto da titolare, ma la Roma voleva investire sul portiere del futuro. Buffon era il prescelto e tutti lo sapevano. I tifosi, con i cori, l’affetto e gli striscioni di quel Roma — Parma, ma anche lo stesso giocatore che anni dopo dichiarò: “In quel periodo dovevo scegliere tra Roma, Barcellona e Juve. La mia grande amicizia con Totti e Vito Scala mi aveva fatto propendere per Roma, dove c’era Capello e sembrava fosse cominciato il ciclo di una squadra invincibile. Mi ricordo che Silvano Martina e mio padre erano andati a parlare con Sensi, poi per ragioni economiche il presidente della Roma fece un passo indietro e preferì prendere Pelizzoli”. Col senno di poi mai scelta fu più sbagliata, non tanto per quello che diede il portiere dell’Atalanta in maglia giallorossa, ma per gli effetti che ne scaturirono.

Buffon quest’anno ha concluso la quindicesima stagione in bianconero e nessuno potrà mai sapere cosa sarebbe accaduto se la Roma avesse comprato lui e non Pelizzoli. Forse per qualche stagione avrebbe vestito la maglia giallorossa, alzando qualche trofeo in più oltre alla Supercoppa Italiana. Più probabilmente l’approdo alla Juventus sarebbe comunque arrivato, insieme a Capello, Zebina ed Emerson. Quel che è certo è che gli ultimi quindici anni della porta giallorossa sono stati segnati da un turnover più patologico che fisiologico. Pelizzoli, Doni, Julio Sergio, Stekelenburg, De Sanctis e Szczesny sono riusciti a mantenere il posto per un periodo abbastanza lungo da ritenerli i titolari della Roma. In mezzo gli avvicendamenti isterici dei vari Curci, Zotti, Artur, Lobont, Goicoechea e Skorupski. Dodici portieri in quindici anni hanno reso i pali giallorossi più simili al portierato di un albergo che a una zona di stabilità e continuità nel tempo.

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Ogni portiere preso in esame ha avuto i suoi momenti di flessione, molto spesso coincidenti con un calo tecnico della squadra, ma una scelta in continuità per l’estremo difensore, ha sempre premiato il suo rendimento sul lungo periodo. La continua giostra tra i pali messa in atto dalla Roma invece, ha prodotto più insicurezze che certezze. Non è un caso che i numeri migliori escano fuori da quei pochi portieri ai quali sia stata data una fiducia più a lungo termine. Anche prendendo un dato superfluo come i numeri di maglia dei “titolari” degli ultimi quindici anni, il risultato è sconcertante: nessuno ha mai avuto il coraggio di scegliere il numero 1. Certo, nel calcio di oggi la numerazione ordinata dall’1 all’11 è superata, ma alcune maglie mantengono intatto il loro valore simbolico. E la 1, da sempre, rappresenta il portiere titolare di una squadra. Ma alla Roma no. Da Pelizzoli a Szczesny i portieri giallorossi, quasi scientemente, si sono sempre svincolati dalla responsabilità della prima maglia. Da anni ormai la numero 1 appartiene al terzo portiere e prima dell’arrivo di Lobont, per una stagione non è stata nemmeno assegnata. Parlare di “maledizione Buffon” forse è esagerato, ma chi l’ha indossata non ha avuto fortuna. Di Curci si ricordano pochi acuti e molti errori, mentre di Lobont si ricorda la sua importanza come uomo spogliatoio ma anche le stimmate di esser stato il portiere dell’ormai famoso derby del 26 maggio.

Questo non vuol dire che la Roma in porta non abbia mai avuto un portiere forte, o che il continuo avvicendamento tra i pali abbia tolto qualcosa alla squadra — anche se su questo si potrebbe discutere. Quella che è sempre mancata è stata una scelta forte per il ruolo. O meglio, quando è stata fatta, soprattutto a livello economico, si è rivelata un flop. I 27 miliardi di lire spesi allora da Franco Sensi per Pelizzoli furono una scelta azzardata, come i quasi 10 milioni di euro sborsati per Stekelenburg. Dal 2001 ad oggi solo loro due sono stati “pagati” dalla Roma ed entrambi non vengono certo ricordati come i migliori portieri degli ultimi anni. Come se il fardello del costo del loro cartellino avesse influito negativamente sulle prestazioni in campo. Una maledizione che, al contrario, non ha travolto i portieri “non pagati”, rivelatisi i migliori acquisti per difendere i pali giallorossi.

“Doni, a parte Buffon, è il più grande portiere con cui ho giocato”, parola di chi ha vissuto in prima persona questi quindici anni di portierato giallorosso, Daniele De Rossi. Il brasiliano è il primo della lista dei “portieri gratis” che la Roma ha avuto negli ultimi anni. Pagò di tasca propria i 18 mila euro della clausola rescissoria con la Juventude, proponendosi personalmente alla Roma e diventando uno dei pilastri del primo ciclo spallettiano. Anche il suo successore Julio Sergio giunse a Roma un po’ casualmente, grazie ad un dvd portato a Trigoria dal procuratore Alessandro Lucci, su consiglio di Zago. La Roma, più per i buoni rapporti con Lucci che per un reale interesse per un portiere sconosciuto, invitò Julio Sergio per un provino. Il provino andò bene e nel corso del triennio il brasiliano passò da “miglior terzo portiere del mondo” a quasi Campione d’Italia con Claudio Ranieri. Allo stesso modo l’ingaggio gratuito di De Sanctis e il prestito di Szczesny hanno confermato l’assurdo paradosso che, minore è il costo del cartellino, maggiore sarà il suo rendimento in campo.

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Bello e spavaldo[/caption]

Quest’estate la Roma si ritroverà nella stessa situazione di quindici anni fa. Con Spalletti partirà un nuovo progetto tecnico, Szczesny probabilmente tornerà all’Arsenal, De Sanctis avrà 39 anni, Lobont rimarrà uomo spogliatoio e la porta della Roma dovrà trovare un nuovo titolare. La scelta già da diversi mesi è ricaduta sul brasiliano Alisson Becker, capitano dell’Internacional di Porto Alegre. I giallorossi lo hanno acquistato a gennaio scorso sborsando circa cinque milioni di euro per il suo cartellino. Ecco, senza volersi sbilanciare troppo perché in passato non ha pagato, però, dalla distanza da cui lo abbiamo osservato, Alisson sembra davvero forte forte.

Stiamo a vedere.

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