I tesori nascosti della vecchia Serie C

Crampi Sportivi
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39 min readDec 14, 2016

La Serie A ha le migliori star, la cadetteria ha forse oggi la miglior struttura organizzativa. Cosa rimane alla terza divisione italiana? Per anni c’è stata confusione persino sul nome: da Serie C1+C2 alla Lega Pro (poi divisa in Prima e Seconda Divisione) per arrivare finalmente all’attuale formato che ricorda la Serie C da tre gironi da venti squadre già attiva tra il 1935 e il 1978, che speriamo sia la forma definitiva di un parto durato decenni.

Eppure la difficile situazione economica di questi club, la facile intercambiabilità tra le società e la possibilità di scalare la gerarchia del calcio italiano con un filo di risorse ha fatto scomparire dalla nostra memoria diverse realtà che negli anni ’90 hanno fatto la storia del nostro pallone. Ed è proprio quello che vogliamo celebrare (quindi no, la Fidelis Andria — per quanto sia un ricordo storico con i gol di Florjancic e Amoruso — non vale, perché oggi milita serenamente in Lega Pro con un kit notevole).

Abbiamo creato una top 20 di club che ai giorni nostri non sono più nel calcio professionistico. Anzi, in realtà non lo sono da almeno un decennio e hanno avuto alcuni dei migliori anni della loro storia ormai un ventennio fa. Per creare questa speciale graduatoria, ci siamo affidati a un indice che è tanto scientifico quanto dannatamente complicato.

Il “Serie C Index” è composto da tre micro-statistiche qui elencate:

  • Hype + Grado di nostomania: equivalgono ai risultati sportivi (tra cui la miglior annata di sempre nel periodo considerato), alla presenza e alla storia di questi club negli anni ’90, nonché il ricordo che hanno lasciato negli appassionati di quell’epoca. Ovviamente quei risultati vanno comparati con il centro di questo pezzo, ovvero il terzo/quarto livello della gerarchia del pallone nostrano. Il grado di nostomania si lega al periodo di assenza dello specifico club dal professionismo italiano dopo il periodo esaminato;
  • Tasso di notorietà: si riferisce ai giocatori, presidenti e allenatori che hanno fatto parte di quel club;
  • Coefficiente di entertaninment: logo e maglia, nonché stadio e possibile inno della squadra.

Dalla media di queste componenti, nasce la classifica che andrete a leggere. E ci sono dati e rivelazioni che probabilmente nemmeno pensavate possibili. Se due o più squadre dovessero avere un pari valori nel “Serie C Index”, allora sarà la prima micro-componente a determinare l’ordine in graduatoria.

20° Trento

Hype + Grado di nostomania: 6 / Tasso di notorietà: 6.5 / Coefficiente di entertaninment: 6+ → Serie C Index = 6,25

Nonostante una storia lunga, forse è una delle poche società menzionate in questa speciale graduatoria che non hanno subito un fallimento traumatico lungo il periodo trascorso nel professionismo. A lungo militante nelle serie minori, il Trento ha raggiunto la Serie C negli anni ’60, vivendo una sorta di ascensore tra C1 e C2 fino al 1995. Tuttavia, la società trentina ha provato a ripetersi negli anni 2000, raggiungendo nuovamente la C2 nel 2001.

La stagione migliore degli anni ’90 è certamente l’unica trascorsa in C1, ma il fatto di aver raggiunto risultati minori in quella fascia di tempo e l’aver rivisto i gialloblu in C anche nel 2000 fa diminuire sia l’hype che la nostomania.

Quest’estate amichevole di prestigio contro il Napoli.

Se tra gli allenatori conosciuti del Trento negli anni ’90 c’è il volto puntiglioso di Sergio Buso, sono i giocatori a esser transitati vicino le Alpi a colpire. Nonostante la parte migliore della propria storia sembrasse alle spalle, il Trento ha ospitato Bia, Villa, Taibi, ma soprattutto i prestiti di Francesco Toldo e Giuseppe Signori.

Sul lato entertainment, a parte i possibili derby con il Bolzano, c’è da segnalare un inno per i tridentini composto addirittura negli anni ’70, che però ha degli elementi un filo montanari e rimandanti a epoche persino più lontane nel tempo.

Dopo una spola continua tra Serie D, Eccellenza e Promozione, il Trento ha un suo canale YouTube e tenta di nuovo la scalata al calcio che conta.

19° Nola

Hype + Grado di nostomania: 6.5 / Tasso di notorietà: 6+ / Coefficiente di entertaninment: 6 → Serie C Index = 6,25

Nato nel 1925, il Nola ha dovuto attendere per consacrarsi sui palcoscenici della Serie C. I campani avevano militato nella categoria nel 1946–47, ma era stata una breve apparizione. Invece, a metà degli anni ’80, arriva la prima promozione in C2 a seguito della squalifica del Giugliano. Nel 1990, c’è l’ulteriore salto in C1.

L’avventura alle porte della B durerà sei anni, con in mezzo una retrocessione (poi annullata per ripescaggio) e la splendida cavalcata del 1994–95, quando il Nola arriva sesto e a un passo dai play-off. La fine di quell’era in C1 si chiude forse nel modo peggiore, con la retrocessione ai play-out contro gli acerrimi rivali della Juve Stabia.

La beffa sarà ancora più forte per due motivi. Il primo è che il Nola vince l’andata dei play-out 2–0, salvo crollare a Castellamare di Stabia per 3–0. Il secondo si trova nel futuro del club, perché nel 2002 la Juve Stabia compra il titolo sportivo dal Nola, costringendo i tifosi a ripartire dallo Sporting Nola, dopo anni di continui cambi di denominazione e delusioni.

Se l’allenatore-simbolo si può indicare forse in Salvatore Esposito (l’uomo che condusse il Nola a un passo dai play-off), tra i giocatori significativi troviamo Felice Centofanti e soprattutto alcuni prodotti del vivaio che così bene ha fatto a metà degli anni ’90, vincendo persino titoli Allievi e Beretti. Tra di loro, Antonio Bocchetti e soprattutto Francesco Tavano, che sono cresciuti nel vivaio del club.

La casa del Nola ha cambiato spesso ubicazione negli ultimi anni, ma in realtà nel periodo d’oro il “Comunale di Piazza d’Armi” ha ospitato sia gli allenamenti che le partite del club. Accompagnato dai classici colori bianco e nero, il logo del club è molto semplice. Inoltre, il Nola aveva un suo inno, poi cambiato nel 2014 dopo la rifondazione.

Oggi il Nola milita in Eccellenza dopo aver riacquistato il titolo societario perso nel fallimento del 1996.

18° Turris

Hype + Grado di nostomania: 6.5 / Tasso di notorietà: 6- / Coefficiente di entertaninment: 6.5 → Serie C Index = 6,25

Nonostante il Napoli sembra aver monopolizzato la Campania calcistica negli ultimi dieci anni, gli anni a cavallo tra i ’90 e il 2000 han raccontato una parabola diversa. Diverse realtà di quella regione sono salite all’onore delle cronache: nell’ambito della vecchia Serie C, c’è stata anche la Turris, originaria di Torre del Greco.

Nato nel 1944, in realtà il club ha raggiunto la terza categoria del calcio italiano già nel 1971, rimanendo in Serie C per trent’anni. Tuttavia, due ripescaggi sono stati fondamentali per la Torres: il primo per raggiungere la C1, la seconda per mantenerla nonostante il play-out perso con il Casarano. Per cinque annate di fila — dal 1993 al 1998 — la Turris cambia categoria, con la miglior stagione che arriva nel 1997–98, nonostante la retrocessione.

Da quel momento in poi, la Turris rimane poco tempo in C2, prima di un triplo salto all’indietro che porta il club in Promozione.

Meglio il Mondiale o la Turris in C1? No doubt in Torre del Greco.

Se tra gli allenatori il più citabile sembra quel Salvatore Esposito che ha condotto la squadra alla vittoria del campionato in C2, tra i giocatori si trovano diversi volti che hanno poi popolato le chiamate a 1 di un Fantacalcio a 14 partecipanti: Belardi, De Cesare, Felice Evacuo, Grava, Sullo, Savino, Matrecano. Il più famoso è però Carmine Gautieri, pupillo di Zeman a Roma, lanciato proprio dalla Turris. Se lo stadio è come solito intitolato alla memoria di qualcuno vitale per la creazione del club — in questo caso, Amerigo Liguori, ex sindaco della città e tra i fondatori della Turris — i due tratti distintivi sono nella rivalità principe e nel colore della squadra.

Il derby con il Savoia — soprannominato “Derby delle due Torri” (Torre del Greco vs. Torre Annuniziata) — è uno dei più infuocati in provincia, i classici “cugini”. Inoltre, la Turris sembra caratterizzata nella maglia non da un rosso generico, ma da una cromatura “corallo” (anche i tifosi sono “corallini”), dovuta alla storia che la città di Torre del Greco ha nella lavorazione di questo materiale. Anche il logo — con il rosso corallo, una sorta di pallone e la torre cittadina — ha una sua coerenza.

Oggi la Turris milita in Serie D dopo un’ulteriore cambio di nome e un altro breve passaggio in Eccellenza.

17° Montevarchi

Hype + Grado di nostomania: 7 / Tasso di notorietà: 6+ / Coefficiente di entertaninment: 6- → Serie C Index = 6,33

La provincia toscana è un serbatoio rilevante per la Serie C e non fa eccezione il Montevarchi, che ha avuto il suo periodo migliore negli anni ’30, sfiorando addirittura la promozione in B. Ciò nonostante, gli anni ’90 hanno rappresentato un buon punto di riferimento per la società toscana.

Situata sulla riva dell’Arno, Montevarchi può esser soddisfatta per i risultati di quegli anni. Nel 1990 perde la C1, rischiando anche la D nel ’91, salvo esser ripescata. Il 1995 è l’anno giusto per tornare in C1, dove il Montevarchi disputerà altre cinque stagioni prima di tornare in C2. Ci sarà tempo per rimanere nel professionismo, lasciando la Serie C e la ribalta solo nel 2006.

La miglior annata di quegli anni è il 1998–99, quando il Montevarchi raggiunge un prestigioso settimo posto a pari merito con la SPAL. Il tutto nonostante il club toscano non segni neanche un gol nelle prime sette giornate, raccogliendo solo quattro punti. In realtà, il Montevarchi rimane nella storia in quella stagione per i pochi gol segnati (24) e i numerosi pareggi per 0–0 (15!), ma anche per una difesa di ferro (solo 15 reti subite in 34 partite).

Nel 2002, si toglieranno anche la soddisfazione di battere la Florentia Viola al “Franchi”.

Tra gli allenatori, forse è proprio il condottiero di quella stagione così strana il simbolo del Montevarchi: Daniele Arrigoni ha smesso di giocare da poco e ha condotto per due volte il Castel San Pietro prima di arrivare a Montevarchi. L’esperienza con i rossoblu si conclude prima del previsto, ma gli aprirà le porte per occasioni più grandi, fino a guidare il Cagliari nel 2004–05 e rimanere in orbita A per almeno un decennio.

Diverse le facce conosciute tra i giocatori, ma ci sono tre profili da citare: Marco Storari, che ha passato qualche mese in Toscana in prestito dal Perugia; Gianni Comandini, che a Montevarchi ha segnato i suoi primi gol da professionista; Bernardo Corradi, infine, ha fatto il giro della Toscana, ma il Cagliari lo ha rimandato in Serie C all’epoca per testarlo meglio.

Oggi il Montevarchi è situato in Eccellenza dopo aver sfiorato la quarta promozione di fila: in questi anni il club ha ospitato le ultime giocate di Christian Riganò e continua la risalita verso il professionismo.

16° Sora

Hype + Grado di nostomania: 7+ / Tasso di notorietà: 7- / Coefficiente di entertaninment: 6- → Serie C Index = 6,50

Qui tocchiamo una pagina più triste di questo lungo racconto: Sora ha dovuto superare una marea di ostacoli per avere una squadra di calcio. Nonostante il club fosse nato nel 1907, le difficoltà sono state numerose: il terreno di gioco, il terremoto del 1915, la Prima Guerra Mondiale. Certo, più avanti ci sono state anche notizie positive, come l’arrivo in panchina di Alcide Ghiggia.

Il 1986 rappresenta un punto molto basso della storia del club, ma si può solo risalire dalla Prima Categoria. E il Sora lo fa, cambiando denominazione e centrando tre promozioni in cinque anni: finalmente arriva l’ingresso nel calcio professionistico. Nel ’94 c’è persino l’ascesa in C1: il Sora giocherà solo tre stagioni in quella categoria, ma in due di quel triennio otterrà un settimo e un sesto posto.

Il giorno della promozione in C1.

La retrocessione del ’97 non è un addio, ma un arrivederci: il Sora torna in C1 nel 2001 e ci rimane per altre quattro stagioni prima di un fallimento societario che ha rispedito il club in Prima Categoria. Ciò nonostante, la storia non si può cancellare.

E la storia a Sora l’ha fatta Claudio Di Pucchio, che è stato anima e simbolo del club per quarant’anni. Lui, figlio della città, ha giocato nelle giovanili, ha esordito in prima squadra prima di girare l’Italia. Una volta appesi gli scarpini al chiedo, è tornato a Sora già negli anni ’80, salvo guidare il club bianconero per altri cinque stint, tra cui quattro annate in C1. Il suo nome non sarà mai dimenticato dai Volsci.

Tra i giocatori visti in bianconero, ci sono stati Morleo, Capparella, Sestu e Zoboli. Zappacosta oggi è in nazionale, ma è cresciuto nel vivaio del club per dieci anni, oltre a esser nato lì. Il 1995–96 ha visto la contemporanea presenza di Giuliano Giannichedda e Denis Godeas in squadra. Tuttavia, uno su tutti è rimasto nella mente dei tifosi, quel Pasquale Luiso che non per niente chiamavano il Toro di Sora.

Luiso è stato il trascinatore del club con i suoi gol tra il 1990 e il 1994, salvo tornare nel 2007–08 e poi allenare i Volsci nel 2010–11. Un legame lungo vent’anni.

Se dal punto di vista grafico tutto sembra comune (anche se il logo, nella sua semplicità bianconera, ha un suo perché), il grado di nostomania aumenta a dismisura sapendo la fine che il Sora ha fatto. Dal 2015, infatti, la società non esiste più: troppi cambi di proprietà e difficoltà economiche ne hanno determinato la sparizione, nonostante il club avesse riconquistato la Serie D.

15° Avezzano

Hype + Grado di nostomania: 6+ / Tasso di notorietà: 6.5 / Coefficiente di entertaninment: 7 → Serie C Index = 6,58

Una lancia a favore dell’Avezzano va spezzata subito: il “Forza e Coraggio Avezzano Football Club” ha avuto il merito di rilanciare il calcio in un’area segnata dal terribile terremoto del 1915. Per anni il club ha vivacchiato nelle categorie inferiori, fino a raggiungere la C1 nel 1996. Un’esperienza durata solo un anno, ma la cavalcata degli anni ’90 ha riportato Avezzano agli onori delle cronache del calcio professionistico.

L’Avezzano ha anche subito uno strano destino dopo l’addio al professionismo: rifondata due volte, nel 2007 la città non ha avuto nessun club iscritto ai campionati. Al suo posto si era insediato un nuovo consorzio — un legame tra altri due comuni della Marsica, Aielli e Pescina — sotto forma del Pescina Valle del Giovenco, giocando nello storico impianto dell’Avezzano e prendendo in prestito il lupo. Un’avventura durata appena cinque anni, ma che era arrivata persino in Lega Pro.

Tra coloro che hanno partecipato a quest’esperienza: Birindelli, Gianluca Sansone, Lampros Choutos e soprattutto César.

L’allenatore-simbolo dell’Avezzano è certamente Pino Petrelli, che ha fatto sia l’allenatore che il direttore tecnico del club. Inoltre, Petrelli è stato l’artefice di due promozioni negli anni ’90, dalla D alla C1. Tra i giocatori, invece, c’è qualche rappresentante più conosciuto: da Giuseppe Pancaro a Sergio Floccari, passando per Del Grosso e Christian Manfredini.

Ma il vero tratto di unicità dell’Avezzano è nel contorno. A partire dall’impianto, lo stadio dei Marsi, che a dispetto dei quasi 3700 spettatori sembra essere un impianto di un certo livello all’interno. Il club ha sempre visto come protagonista il lupo marsicano, che è la mascotte della società ed è stato adottato anche nel logo nel 1997–98: è un’ulteriore segnale di identificazione con l’ambiente locale. E non manca l’inno, composto da Antonello Ciani, anch’egli musicista della zona.

Oggi l’Avezzano sembra avere un futuro più luminoso rispetto agli anni ’90: tre promozioni (dalla Prima Categoria ai Dilettanti) in cinque anni, uno stemma ancora più cool e una comunicazione all’avanguardia per essere in Serie D.

14° Baracca Lugo

Hype + Grado di nostomania: 7- / Tasso di notorietà: 6.5 / Coefficiente di entertaninment: 6.5 → Serie C Index = 6,58

Si possono avere cent’anni di storia e avere il proprio piccolo nell’arco di due periodi: è il caso del Baracca Lugo, giunto al massimo in Serie C già una prima volta negli anni ’70, salvo ripetersi vent’anni più tardi. Dal 1989 al 1999, il club bianconero si è ritrovato nel mondo dei professionisti.

Le annate in C1 sono state solo due, con una salvezza nel 1990–91 e la retrocessione netta dell’annata successiva. Dopo esser sopravvissuti discretamente in C2, la discesa in D del ’99 non è stata seguita da un ritorno nei pro. E qui il grado di nostomania inevitabilmente si alza, perché gli anni ’90 sono stati gli anni d’oro dei bianconeri.

Sei anni prima che il Vicenza vincesse la Coppa Italia e volasse in Coppa delle Coppe, il Baracca Lugo lo fermava sul pareggio.

L’allenatore-simbolo è l’uomo che non ti aspetti. Prima di viaggiare in Giappone, Cina e guidare Milan, Lazio, Juventus e Inter, Alberto Zaccheroni è partito da Cesenatico, prima di passare per Riccione e Boca San Lazzaro. Alla fine degli anni ’80, è Zac a portare il Baracca Lugo prima in C2, poi in C1 con una doppia promozione. Il suo mito nasce lì, spiccando il volo verso Venezia.

Tra i giocatori, c’è qualche giocatore noto — Mastronunzio, Buscè, Dall’Igna — ma il nome che svetta è quello di Stefano Bettarini, uscito dal vivaio dell’Inter e che ha avuto la sua prima esperienza da calciatore professionista in Romagna.

Se lo stadio è dedicato alla memoria di Ermes Muccinelli (attaccante da 89 gol in Serie A e nato a Lugo), il nome stesso del Baracca Lugo ha una storia particolare. Infatti, la denominazione vuole ricordare Francesco Baracca, aviatore dalle straordinarie doti e medaglia d’oro al valor militare per quanto realizzato nella Prima Guerra Mondiale.

Morto nel 1918 mentre sorvolava le trincee austro-ungariche, Baracca è nato proprio a Lugo. Le sue capacità erano talmente note che persino Hayao Miyazaki l’ha inserito nel film “Porco Rosso” tra gli aviatori italiani citati nella pellicola. Difficile dimenticare anche il logo del club, con quel cavallino sempre presente di fronte allo scudetto.

La tristezza subentra sapendo la fine che ha fatto il club ai giorni nostri. Dopo aver bazzicato tra Eccellenza e Prima Categoria emiliana, il Baracca Lugo non si è iscritto a nessun campionato per il 2015–16, di fatto cessando la sua esistenza.

13° Battipagliese

Hype + Grado di nostomania: 7 / Tasso di notorietà: 6+ / Coefficiente di entertaninment: 6.5 → Serie C Index = 6,58

Una storia curiosa da narrare è quella dell’Unione Sportiva Battipagliese, nata nel 1929 e che ha avuto 76 anni di eventi da raccontare. Gli anni ’90 sono però il punto più alto e al tempo stesso un rollercoaster emozionale, fatto di quattro promozioni e altrettante retrocessioni nel giro di 15 anni.

La Battipagliese raggiunge la C2 nel 1988, scalando in C1 nel 1990. Il biennio successivo è terribile, con una doppia retrocessione che fa ripiombare le Zebre in Serie D. Tuttavia, il club si riprende immediatamente il professionismo e torna in C1 nel ’97, stavolta restandoci per due anni, nonostante profonde sofferenze. La miglior annata rimane il 1997–98, con la Battipagliese che si salva nell’infuocato spareggio contro il Palermo.

Un’altra doppia retrocessione di fila spinge il club nuovamente in D, ma stavolta non ci sarà nessun ritorno in Serie C. Anzi, un fallimento farà ripartire tutto da capo.

La vittoria nel play-out d’andata. Un eroico 0–0 al “Barbera” sarà la beffa rosanero.

L’allenatore-simbolo è senza dubbio Roberto Chiancone, capace di riportare Battipaglia in C1 e mantenerla per una stagione nella categoria con una salvezza. Tra i giocatori, invece, Simone Loria e Giuseppe Mascara saranno compagni di squadra per due stagioni in C1. Non solo: prima di segnare in rovesciata un po’ ovunque, Loria è l’autore della rete-salvezza nello spareggio contro il Palermo.

Sul lato entertainment, la Battipagliese si dota di uno stadio più che discreto, il “Luigi Pastena”, impianto da 10mila posti inaugurato nel 1988 e dedicato all’ex presidente del club. In realtà, ci sarebbe anche il “Sant’Anna”, che è stato usato precedentemente e riutilizzato dal 2010 al 2012 per la ristrutturazione dell’impianto principale, ma non c’è dubbio che il “Pastena” sia la casa della Battipagliese.

La maglia bianconera e l’adozione di una zebra come simbolo del club sembrano un chiaro rimando alla Juventus, ma a essi si aggiunge il riferimento al Castelluccio di Battipaglia. Insieme a questi elementi, possiamo notare l’inno, “Il cuore ti darò” di Giovanni Coscia, in arte Gico.

Oggi la Battipagliese è rinata nuovamente nel 2016, dotandosi di un proprio canale YouTube e ripartendo dall’Eccellenza dopo un anno d’inattività.

12° Casarano

Hype + Grado di nostomania: 6.5 / Tasso di notorietà: 7+ / Coefficiente di entertaninment: 6.5 → Serie C Index = 6,75

A un passo dal Mar Ionio, l’avventura del Casarano parte nel 1927, ma ci vuole l’arrivo di un uomo al comando che cambi il destino del club: quella personalità è Antonio Filograna, profondamente legato al tessuto della città pugliese, tanto da fondarci la Filanto, un’azienda di calzature. Da lì, è arrivata la proprietà del Casarano Calcio, inframezzato anche da un terribile episodio di cronaca riguardante Filograna (un sequestro di persona durato otto mesi).

Dopo una tripla promozione arrivata nei primi anni della gestione Filograna, il Casarano ha toccato il suo picco negli anni ’90. Croce e delizia, il club ha avuto in un terzo posto del 1990–91 il risultato più alto della sua storia, ma nel ’99 ha dovuto dire addio al professionismo dopo una doppia retrocessione dalla C1 alla D, dovuta anche al disimpegno di Filograna dopo vent’anni.

Filograna è stato la base senza la quale il calcio a Casarano non sarebbe arrivato così in alto, ma è anche vero che ci sono stati diversi protagonisti da menzionare. Pantaleo Corvino, ad esempio, ha iniziato a scalare le gerarchie del calcio italiano proprio da Casarano, del quale è stato d.s. tra anni ’80 e ’90. Proprio sotto la sua gestione passano diversi giocatori che hanno poi raggiunto serie più alte: Francioso, Mazzeo, Passoni e Orlandoni.

L’intuizione più preziosa, però, arriva nel ’92: il Milan deve mandare a casa un ragazzino di 13 anni, a cui manca la sua Lecce. Tuttavia, in giallorosso dicono di non aver spazio per lui. E allora Corvino ne approfitta: la scelta è quella giusta, perché il ragazzino esordisce in C1 a 16 anni e gioca due stagioni guidando la squadra con i suoi 19 gol.

Quel ragazzino è Fabrizio Miccoli.

A questo dobbiamo aggiungere l’allenatore-simbolo: se da una parte andrebbe premiato il lavoro di chi ha portato il Casarano in C1, non c’è dubbio che associare Mario Kempes ai rossoazzurri sia bizzarro. Eppure il campione del Mondo ed ex bomber argentino ha effettivamente guidato il Casarano dopo un giro del mondo infinito: l’esperienza è durata appena un mese, ma rimane comunque un accostamento unico.

Lo stadio Giuseppe Capozza — 6500 posti, dedicato all’industriale che aveva portato il calcio a Casarano — non presenta particolarità straordinarie, mentre il club può vantare un suo inno e soprattutto un discreto stemma, che negli anni ha subito una sua evoluzione, ma che rimane legato alla figura del serpente, già presente nello stemma comunale.

Oggi il Casarano Calcio milita in Eccellenza, dove cerca la risalita contro altre eccellenti decadute del professionismo italiano (Bisceglie, Barletta, Altamura e Gallipoli).

11° Gualdo

Hype + Grado di nostomania: 7.5 / Tasso di notorietà: 6.5 / Coefficiente di entertaninment: 6+ → Serie C Index = 6,75

Nato nel 1920, il Gualdo Tadino è inizialmente una polisportiva, che arriva persino ad avere un suo dipartimento di motociclismo. La svolta arriva negli anni ’80, quando Angelo Barberini — a.d. della Tagina, un’azienda di ceramiche — s’impegna a investire nel club. Dal 1990 ne è il presidente e il Gualdo comincia un’escalation notevole.

Nel ’92 arriva la promozione in C2, mentre due anni più tardi si sale in C1. Il tratto impressionante nella storia del Gualdo è che nelle sue sei annate in C1 sarà una compagine molto competitiva. Il club umbro raggiunge infatti per tre volte i play-off: per due volte viene eliminato in semifinale, ma la chance migliore è la prima, quando il Gualdo gioca sul neutro di Pescara la finale contro l’Avellino.

La tradizione pende dalla parte dei campani, ma il Gualdo è reduce da un ottimo campionato nel Girone B e impensierisce i Lupi fino alla fine dei supplementari, nonostante lo stadio Adriatico sia a maggioranza verde. Solo i rigori e un super Landucci negheranno al Gualdo l’accesso alla cadetteria.

Nel 2000, il Gualdo torna in C2 e la morte di Barberini complica il futuro del club. Ci vorranno altri sei anni perché la compagine umbra saluti il professionismo a causa di documenti mancanti. Da lì, non solo il Gualdo non è più tornato in Lega Pro, ma non esiste più nella forma di vent’anni fa. Ma ci torneremo più avanti.

L’allenatore-simbolo della piccola realtà umbra è colui che invece nella sua prima esperienza aveva subito l’onta del licenziamento. Walter Novellino ormai lo conosciamo come uno specialista in promozioni dalla B alla A, ma tutti devono iniziare da qualche parte: Gualdo è stato il suo primo esperimento (riuscito). Tra i giocatori, tra un Conticchio e un Marco Giampaolo a fine carriera, in biancorosso è stato soprattutto Arturo Di Napoli ad avere la prima stagione di una certa rilevanza.

Due le particolarità grafiche. La prima riguarda la maglia, che è sembrata più da rugby che da calcio, con il sponsor Tagina in bella vista; in realtà a lungo il Gualdo ha optato anche per la franja roja. La seconda concerne il logo della società, che metteva in bella vista un riferimento a San Michele Archangelo.

Oggi il Gualdo Tadino non esiste più. O quanto meno, non è più una sola entità: nel 2013 si è optato per la fusione con il Casacastalda, piccola realtà poco lontana da Gualdo. Un’operazione che sembra aver garantito un futuro migliore alla società e più stabilità a lungo termine al club, che oggi milita in Eccellenza.

10° Marsala

Hype + Grado di nostomania: 7- / Tasso di notorietà: 6.5 / Coefficiente di entertaninment: 7+ → Serie C Index = 6,83

Patria del famigerato vino, in realtà Marsala deve la nascita del calcio in città a un inglese. Sul finire dell’Ottocento, John Woodhouse — gentiluomo di Liverpool — viene a conoscenza della produzione marsalese e decide di stabilire lì una propria industria. Ma se sei un britannico in trasferta, il football deve rimanere con te. E quindi i siciliani trovano un nuovo passatempo.

Il Marsala Football Club nasce nel 1912 e vive anche alcuni anni facendo l’ascensore tra la C2 e la D, prima di crollare in Prima Categoria a metà degli anni ’80. La risalita si spalma su una decade e ha bisogno di un ripescaggio in Interregionale per progredire, ma alla fine il Marsala raggiunge la C1 nel 1998.

L’avventura alle porte della B dura appena un biennio, nel quale ci sono una salvezza sofferta (ai play-out contro la Battipagliese), una retrocessione diretta e un derby con il Palermo. La conseguenza più brutta è che — proprio come gli anni ’90 — il Marsala finisce nel 2000: il fallimento economico è dietro l’angolo, con il presidente del club truffato dalla camorra. Fino al 2006 la città rimarrà senza una squadra di calcio (ciò fa schizzare il grado di nostomania alle stelle).

Nonostante il punto massimo del club sia stato un biennio in C1 (per l’allenatore-simbolo andiamo su Mario Buccilli, l’uomo che ha riportato al città nei professionisti), a Marsala sono passati diverse facce eccellenti del calcio nostrano.

Marco Materazzi ha fatto parte della squadra che ha centrato la promozione in C2 nel 1994, mentre Patrice Evra — all’epoca un giovane scartato dal vivaio del PSG — vive la sua prima stagione da pro in Sicilia. E il ricordo è eccellente:

«Mi hanno offerto la chance che volevo: avrei anche avuto una casa tutta mia. Mi sembrava il paradiso: arrivare a Marsala è stata la miglior sensazione della mia carriera».

Il Marsala, però, ha diversi pregi nel reparto entertainment: prima di tutto lo stadio. L’Antonio Lombardo Agnotta — dedicato all’ex presidente del club — è un impianto da 13,500 persone, che sono una marea per la D, nonché una gran capienza per la Serie C. Inaugurato nel ’56, lo stadio ha permesso anche l’espansione della città.

Le due curiosità sono per due eventi ospitati a distanza di cinque anni: nel ’93 Sting si esibisce a Marsala, mentre nel ’98 viene disputato il “Trofeo Marsala — Città del Vino”, che per qualche motivo vede il club locale opposto a Feyenoord e Amburgo. E gli azzurri hanno vinto quel triangolare!

Di notevole impatto anche la maglia del Marsala, che negli anni ’90 utilizzava una banda stile River, ma di colore blu per le trasferte. Inoltre, il Marsala ha anche un proprio inno, composto alla rinascita del club: “Marsala siamo noi 1912”. Il logo societario, invece, ricalca quello cittadino, ricordando come la città sorga sulle rovine dell’antica Lilibeo, città punica che ebbe Cicerone tra i suoi questori.

Dopo la rinascita del 2006, oggi il Marsala ha provato a scalare la piramide del calcio italiano un’altra volta. Nel 2015 è tornato in Serie D, salvo retrocedere immediatamente in Eccellenza. Attualmente la situazione non sembra delle migliori, ma si spera che una delle piazze più importanti della Sicilia abbia la sua chance.

9° Fiorenzuola

Hype + Grado di nostomania: 6.5 / Tasso di notorietà: 8 / Coefficiente di entertaninment: 6 → Serie C Index = 6,84

L’Emilia è forse la provincia più florida del calcio italiano: basti pensare a quante squadre sono transitate nei pro da quelle parti e quante ancora oggi ne fanno parte. Il Fiorenzuola aveva già all’attivo alcuni vagiti in terza divisione tra anni ’30 e ’40, ma è negli anni ’90 — sotto la presidenza di Antonio Villa — che il club decolla. Dal 1990 al 2002, i rossoneri hanno fatto parte della grande giostra della Serie C.

Il punto più alto del Fiurinsöla è il 1994–95, quando il club giunge terzo in un Girone A dominato dal Bologna. I ragazzi guidati da D’Astoli si giocano tutto ai play-off, vincendo la semifinale con il Monza e arrivando fino ai rigori nella finale sul neutro di Bologna. Per loro sfortuna, la Pistoiese di Clagluna deve ringraziare Angelo Pagotto — sì, all’epoca era un portiere in super-ascesa — e il Fiorenzuola abdica sulla traversa di Bottazzi.

Ci sarebbe anche la sfida in Coppa Italia contro l’Inter di Hogdson, ma il 2–1 finale credo che faccia meno male del legno in quel tramonto pomeridiano al Dall’Ara.

Ma è Compagnoni il commentatore? Davvero?

Purtroppo, l’allenatore simbolo dei rossoneri non può esser D’Astoli — già usato altrove — e quindi andiamo con Alberto Cavasin, che magari non ha lasciato un ricordo straordinario nel suo anno e mezzo al Comunale, ma è certamente il più conosciuto. Inoltre, da Fiorenzuola Cavasin è poi volato a Lecce e Firenze; insomma, non c’è solo il «non sono un fenomeno, di più!» da raccontare.

Va detto che sul finire della sua avventura nei pro il Fiorenzuola poteva contare su Massimo Ficcadenti in panchina e Devis Mangia allenatore delle giovanili, ma i problemi della società al tempo sono stati una difficoltà troppo grande da superare.

Per quanto riguarda i giocatori, in Emilia sono passati più talenti di quanti se ne possano immaginare. Claudio Bellucci ha passato qualche mese in prestito in rossonero, così come Micha Djorkaeff (fratello di Youri), Flavio Roma, Omar Milanetto e Stefano Vecchi, tecnico ad interim dell’Inter. A questi, si aggiungono altri tre nomi eccellenti.

Il primo è quello di Fabio Paratici, attuale dirigente della Juventus, per due anni al Fiorenzuola. Tra i Valdardesi, però, ci sono stati anche due campioni del Mondo come Massimo Oddo e Luca Toni: la curiosità è che il centravanti in realtà ricorda il periodo in rossonero come negativo, perché Cavasin all’epoca l’aveva spedito in panchina e lui aveva persino meditato di ritirarsi.

Anche lo stadio ha un suo perché, visto che in realtà è anche un velodromo, intitolato alla memoria di Attilio Pavesi, medaglia d’oro per l’Italia nella prova su strada del ciclismo maschile alle Olimpiadi di Los Angeles ’34.

Se il logo ricalca quello cittadino e la maglia si è sempre intestata su un classico rossonero, quel che può attenere al mondo dello spettacolo è che Gene Gnocchi — prima di diventare una personalità televisiva e teatrale — si alternava tra la carriera di avvocato e la carriera calcistica.

Oggi il Fiorenzuola può vantare diverse stagioni in Serie D, a differenza di altre realtà che sono sparite dal radar. Ci sono state alcune discese in Eccellenza (tra cui quella dell’anno scorso, poi annullata per ripescaggio), ma tutto sommato il club rimane alle porte del professionismo.

8° Atletico Catania

Hype + Grado di nostomania: 8.5 / Tasso di notorietà: 6- / Coefficiente di entertaninment: 6.5 → Serie C Index = 6,92

Quand’ero piccolo, pensare a Catania di nuovo nel calcio che conta sembrava fantasia. La squadra più famosa della città mancava in A dal 1984 ed era crollata fino in Eccellenza. Eppure il capoluogo siciliano avrebbe avuto un’altra chance tra le proprie mura, perché il club principale di Catania negli anni ’90 è un altro. E il grado di nostomania si alza a livelli irraggiungibili.

L’Atletico Catania è nato solo nel 1986, trascinandosi dietro la storia del SC Mascalucia (piccolo paese alle porte della città), ma a metà degli anni ’90 — mentre il Catania annaspa in C2 — gli Atletisti sono i padroni della casa di Sant’Agata. Il club è in C1 e sfiora per due volte la promozione, visto che nel biennio 1996–98 centra i playoff e ne perde le semifinali (prima contro il Savoia, poi contro la Ternana).

I risultati sono buoni, finché il Catania non torna in C1. La storia del club principale della città piega l’Atletico: bisogna cambiare stemma (rinunciando allo storico elefante) e i colori sociali (diventando i giallo-grigi, un accostamento “caco-cromatico”). Non solo: il Derby dell’Elefante — la sfida tra i due club della città — non va come sperato.

Se l’Atletico Catania aveva stravinto due scontri su tre nella Coppa Italia di Serie C, ben diverso è l’esito delle sfide in Serie C1: quattro partite, due vittorie per il Catania e due pareggi. Nel 2001 arriva la retrocessione e il conseguente fallimento: da quel momento, l’Atletico Catania non è più riuscito a tornare nel mondo della Serie C.

L’allenatore più importante è certamente Paolo Lombardo, che ha legato la sua carriera a Siracusa (record di panchine) e ha avuto due esperienze con il club di Catania: nella prima ha centrato la salvezza, nella seconda ha cercato una B difficile da ottenere. Tra i giocatori si trovano diversi pro, magari visti anche in A — Bega, Del Nevo, Bombardini, Squizzi, Millesi e l’ex Roma Lucenti — ma nessuno che abbia veramente sfondato.

Va meglio nel contorno che l’Atletico Catania ha potuto offrire in quegli anni: si giocava al “Cibali” (negli ultimi tempi allo “Zia Lisa”: capienza di 100 persone), si riportava il rosso-azzurro in auge e in ogni caso la variante gialla non era così malvagia se accostata ai classici colori di Catania. Ma il vero culto era lo stemma con l’Elefante nell’atto di calciare il pallone fuori dalla figurina.

Oggi l’Atletico Catania milita in Promozione e spera di scalare di nuovo la piramide del nostro calcio con l’aiuto di Re Giorgio. Perché sì, Giorgio Corona è arrivato in squadra a 41 anni, dopo aver giocato a Milazzo, Messina (due volte) e Catania.

7° Fermana

Hype + Grado di nostomania: 8+ / Tasso di notorietà: 7- / Coefficiente di entertaninment: 6+ → Serie C Index = 7,08

Qui c’è uno strano contrasto tra le due componenti del primo micro-indice: già, perché la Fermana è arrivata addirittura in Serie B nel 1999–2000, ma è rimasta in C1 fino al 2006. Tanto hype quindi (9.5), ma un grado di nostomania minore (7), perché la Fermana è rimasta sull’album delle figurine Panini anche più a lungo degli anni ’90.

Ciò nonostante, la storia dei gialloblu parla di una solida realtà in Serie D per tutti gli anni ’60 e ’70, fino alla cavalcata abnorme nella seconda parte degli anni ’90. In fondo, la Fermana nel 1993 arriva solo 15° nel proprio girone della Serie D. Poi viene ripescata in C2, cambiando persino denominazione; nel ’96 trova la promozione in C1 ai danni del Livorno e nel ’99 completa il miracolo.

I Canarini lo fanno nonostante giusto due anni prima avessero rischiato il ritorno in C2 e la stagione precedente fosse stata anonima. È una cavalcata quasi inaspettata, perché nel Girone B ci sarebbero l’Ancona, l’Ascoli, il Palermo, l’Avellino e il Foggia. Invece la squadra marchigiana rimonta i rosanero, che perdono clamorosamente a Giulianova, e festeggiano l’incredibile promozione dopo un 2–1 a domicilio sulla Battipagliese.

L’esperienza in cadetteria dura appena un anno e la retrocessione arriva con largo anticipo; ciò nonostante, la Fermana batte l’Atalanta, ferma la Samp a Genova e soprattutto sconfigge il Napoli in casa. I gialloblu non torneranno più in B, ma l’avventura sarà ancora nella memoria dei tifosi locali.

Se l’allenatore-simbolo non può che essere Ivo Iaconi, fautore di quella cavalcata sorprendente (nonché ex giocatore del club negli anni ’70), diversi professionisti hanno usato Fermo come trampolino di lancio. Tra di loro ci sono Salvatore Bruno, Savini, Christian Manfredini (lo troviamo ovunque la Juventus l’abbia prestato in quegli anni), Belmonte, Portanova, Fini e qualche nome decisamente più conosciuto.

Vorremmo citare Sossio Aruta (quattro gol in sette partite nel ’98), ma meritano una menzione più ampia tre protagonisti. Stefano Colantuono ha vissuto una stagione a Fermo, così come Giandomenico Mesto e soprattutto Tommaso Rocchi, che arriva in prestito dalla Juventus. L’idillio dura appena tre mesi, prima di andare a Saronno e girare la propria carriera.

Lo stadio di Fermo ha una storia importante nel suo nome: l’impianto è infatti intitolato alla memoria di Bruno Recchioni, che ha giocato con la Fermana negli anni ’30 prima di morire durante la Seconda Guerra Mondiale. Recchioni è stato uno di quei soldati della Divisione Acqui morti il 22 settembre 1943, quando i militari italiani non vollero consegnare le armi agli ex alleati tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre.

A questo bisogna aggiungere la maglia dell’unica annata in Serie B, che per qualche assurdo motivo vede come sponsor tecnico “Fatto per fare”, che giuro di non aver mai sentito in vita mia. Il logo vedeva lo scudo della città accompagnato dai colori sociali e da quelli della bandiera italiana, prima che la società venisse rinominata Fermana Football Club. La conseguenza, però, è che il logo attuale sembra quello di un’associata della LIDL.

6° Brescello

Hype + Grado di nostomania: 7 / Tasso di notorietà: 6.5 / Coefficiente di entertaninment: 8.5 → Serie C Index = 7,33

Come detto in apertura, uno sponsor può aprire porte prima inimmaginabili. Per il Brescello, quello sponsor è l’Immergas, che ha sede proprio nella piccola città in provincia di Reggio Emilia.

La promozione in Serie C arriva nel ’94, ma l’esperienza in C2 dura appena una stagione, perché arriva un’altra salita, stavolta in C1. Il Brescello è rimasto nei professionisti fino al 2003, quando è di nuovo retrocesso in D. In C1 i gialloblu hanno fatto più di quanto ci si aspettasse.

La vera soddisfazione, però, è arrivata in Coppa Italia: nel 1997–98, il Brescello supera la Lucchese e deve affrontare la Juventus campione d’Italia e del Mondo. Nella gara d’andata — disputata al Giglio di Reggio Emilia per ovvi motivi di capienza — il Brescello va addirittura in vantaggio e strappa un 1–1, salvo poi perdere 4–0 a Torino.

Franzini batte Rampulla. Oggi un upset del genere polverizzerebbe Twitter in sei millesimi di secondo (#JeSuisBrescello)

L’allenatore-simbolo è Giampiero D’Astoli, che ha condotto il Brescello nel mondo dei pro. Non solo: nel ’97, quando D’Astori ritorna da Fiorenzuola, gli emiliani arrivano secondi nel Girone A della C1 a un punto dal Treviso. L’amarezza è ancora più grande nel 1999–2000, quando il Brescello arriva fino alla finale dei play-off, perdendola pareggiandola.

Non è un casuale doppio gerundio: a causa di un miglior piazzamento nella regular season, al Cittadella di Glerean basta il pareggio (con discreta carica sul portiere) per 1–1 dopo 120’ nel neutro di Verona. Quello è stato il momento in cui la B è sembrata a un passo, salvo svanire.

Se gli allenatori non mettono in risalto nomi particolarmente famosi, tra i giocatori del Brescello troviamo Federico Cossato, Massimo Borgobello, Max Vieri (che verrà poi riscattato dalla Juventus), ma soprattutto Riccardo Zampagna e Simone Inzaghi. Spedito a Brescello in prestito dal Piacenza, Inzaghino troverà la prima annata in doppia cifra in gialloblu.

Il vero colpo di classe, però, sta nel logo del Brescello: non so se avete notato (e quando l’ho capito mentre scrivevo questo pezzo, una parte della mia adolescenza è morta), ma i due sullo stemma sono Don Camillo e Peppone, personaggi nati dalla penna di Giovannino Guareschi. Non è uno scherzo, visto che tutti i film del duo si sono girati tra anni ’50 e ’60 proprio a Brescello.

Lo sanno anche in Germania.

Oggi il Brescello porta con sé la denominazione di polisportiva e milita in Promozione, dov’è arrivato dopo esser stato retrocesso l’anno passato.

5° Saronno

Hype + Grado di nostomania: 7+ / Tasso di notorietà: 7- / Coefficiente di entertaninment: 8 → Serie C Index = 7,33

Il Foot-Ball Club Saronno nasce nel 1910 e per anni ha gravitato nelle categorie minori del calcio lombardo. Tutto finché un uomo al comando non riesce a portare di nuovo il Saronno in Serie C nel 1994. Basta solo un anno perché arrivi la promozione in C1, dove il Saronno rimarrà per quattro stagioni.

In quel quadriennio, il miglio risultato è un terzo posto nel 1996–97 (a pari merito con il Carpi), con il Saronno che si qualifica per i play-off, dove ahimè perde la semifinale contro gli emiliani. Sarà il punto più alto di una storia che si concluderà nel 2000, quando l’uomo al comando pianterà tutto e i tifosi dovranno vedere quella realtà ripartire dalla Terza Categoria.

Quell’uomo al comando è Enrico Preziosi. Già, perché l’attuale presidente del Genoa ha sempre avuto velleità di guida nel calcio. Si dice anche l’avarizia diventi avidità in certi casi: è così che Preziosi acquista il Como poco dopo che il Saronno manca l’accesso alla B, lasciando quest’ultimo nei guai. Nel 2003 capiterà la stessa con i comaschi, quando Preziosi è determinato ad acquistare il Genoa e lascia un’altra realtà in fallimento.

L’allenatore-simbolo del Saronno è senza dubbio il condottiero di quel 1996–97, quel Mario Beretta che abbiamo poi rivisto in Serie A su diverse panchine e che oggi è responsabile del settore giovanile del Cagliari. Tra i giocatori, ci sono Vigiani, Asta, Rocchi, ma soprattutto la strana storia di Marco Osio: tornato dal Palmeiras, l’ex Parma riparte proprio dal Saronno per re-integrarsi nel calcio italiano.

L’entertainment nella sua accezione anglofona è più che mai opportuna per il Saronno, che sembra avere diversi legami con l’Inghilterra. Il primo è legato alla fondazione, visto che secondo la leggenda Gaetano Gianetti — primo presidente e industriale dell’acciaio — avrebbe acquistato il primo kit tecnico del club a Sheffield, durante un viaggio di lavoro.

Non è un caso che qualche anno fa si sia celebrato un gemellaggio ufficiale con lo Sheffield Wednesday, di cui il Saronno avrebbe ripreso i colori sociali. Inoltre, gli Amaretti — dal famoso prodotto della “DiSaronno” — hanno persino ospitato un super-sponsor sulle loro maglie: dal 1995 al 1998, il marchio Subbuteo campeggiava sulle maglie del club.

Il logo, invece, ha sempre mantenuto una sua coerenza nonostante l’evoluzione continua: la scritta “Saronno” ben chiara, il bianco-azzurro, la dicitura FBC e lo stemma araldico della città. La versione attuale sembra molto cool. Lo stadio è intitolato a due personalità: il “Colombo-Gianetti” rimanda al fondatore del club, ma anche al giornalista e direttore de “La Gazzetta dello Sport”. A questa va aggiunta la curiosità dell’inno, a quanto pare composto da… Dario Baldan Bembo. Sì, quello di “L’amico è”.

Dopo cinque anni d’inattività, il Saronno è ripartito con le sue attività nel 2015 e ora milita in Eccellenza.

4° Acireale

Hype + Grado di nostomania: 9 / Tasso di notorietà: 8 / Coefficiente di entertaninment: 6.5 → Serie C Index = 7,83

Se pensiamo ai granata nel Sud Italia, ci viene in mente la Reggina. Se pensiamo alla stessa tonalità di colore in salsa siciliana, l’esempio più recente è Trapani. Eppure una valida realtà del nostro calcio è stato l’Acireale, che ha avuto il suo picco di rendimento proprio negli anni ’90.

L’avventura dell’Acireale nel professionismo è durata 17 anni, dal 1989 al 2006, anno in cui non è stata ammessa in C2 a causa di problemi finanziari. Altri problemi — di natura legata alle scommesse — avevano permesso all’Acireale di raggiungere la Serie B nel 1993, visto che il Perugia era rimasto immischiato nel caso Senzacqua-Gaucci, con gli umbri che si erano visti revocare la promozione appena conquistata.

In cadetteria non è facile: l’Acireale si salva una prima volta dopo aver vinto lo spareggio contro il Pisa, ma è più difficile confermarsi e quindi il club scende di nuovo in C1 nel 1995. Da quel momento in poi, ha sfiorato solo un’altra volta il ritorno in B, salvo scomparire nel 2006.

Un 1–0 sul Bari. Con bandierine del corner sparite.

E allora non è un caso scegliere Giuseppe Papadopulo come allenatore-simbolo di quella realtà: proprio sotto la sua guida, i granata raggiungono la B e la mantengono per un’altra stagione. Da anni l’ex tecnico di Lazio e Palermo non si vede su una panchina significativa, ma ha sicuramente lasciato il segno in Sicilia. Non solo: Antonio Pulvirenti ha fatto l’apprendistato da patron ad Acireale prima di acquisire il Catania nel 2004 e lasciare i tifosi abbastanza sbigottiti per l’improvviso abbandono a favore della società di Gaucci.

La realtà granata ha ospitato il percorso di diversi giocatori: da Alex Cordaz ai primi passi di Arturo Di Napoli, da Tanino Vasari a Paolo Orlandoni (che ha alzato una Champions, ma è anche decollato in A grazie all’Acireale), passando per Pavarini e Polito. Ma il nome più importante è quello di Walter Mazzarri, che ha giocato per l’Acireale sotto Papadopulo e l’ha poi allenato all’inizio della sua carriera.

Per quanto riguarda le note sparse, l’Acireale ha abbandonato il vecchio Comunale ai tempi della promozione in B, trasferendosi allo Stadio Tupparello (8000 spettatori contro i 3500 del vecchio impianto). E se il logo prevede una bella banda diagonale stile River, dal 2015 l’Acireale ha il suo inno, “Splendida giornata granata” di Federico Guglielmetti e Sebastiano Foti («Domenica è sempre una splendida giornata quando scendono i granata»).

Oggi l’Acireale milita in Eccellenza dopo due rifondazioni nel 2006 e nel 2014.

3° Alzano Virescit

Hype + Grado di nostomania = 9.5 / Tasso di notorietà = 7.5 / Coefficiente di entertaninment = 7 → Serie C Index = 8

Il Foot-Ball Club Alzano è nato nel 1909 e per decenni è rimasto un mito della provincia lombarda. Tutto questo fino agli anni ’90, quando l’ormai trasformato Alzano Virescit raggiunge il mondo del professionismo dopo aver inaugurato qualche anno prima il “Progetto Alzano”, voluto da imprenditori locali e guidato da Franco Morotti.

Prima la C2 nel ’95, poi la C1 l’anno successivo. Nel giro di poco tempo, i bianconeri puntano anche più in alto: la stagione magica è il 1997–98, quando l’Alzano vince la Coppa Italia di Serie C e perde la semifinale dei play-off contro il Livorno.

Il tempo è arrivato e la B arriva nel ’99, vincendo il Girone A con cinque punti di vantaggio sulla seconda. L’esperienza in cadetteria durerà un solo anno, ma l’Alzano si toglie diverse soddisfazioni: vince contro Chievo, Salernitana, Genoa ed Empoli. E pensare che alla fine del girone d’andata il Virescit era a ridosso della zona promozione… in ogni caso, quel 1999–2000 è la miglior annata della sua storia.

Il grado di notorietà è alto perché il padre dell’esplosione dell’Alzano Virescit è lo stesso del miracolo Cittadella per dieci anni. Per altro, Claudio Foscarini — che dovrebbe essere un santone del nostro calcio per quanto fatto in due piazze così piccole — ha fatto lo stesso percorso in entrambe le piazze: prima allenatore delle giovanili, poi della prima squadra.

Parecchi di quei giocatori hanno poi avuto una discreta carriera da professionisti, passando magari alla vicina Albinoleffe o arrivando persino in A con l’Atalanta. Tre i nomi obbligatori da fare. Il primo è Damiano Zenoni, che ha giocato con l’Alzano in C quand’era in prestito dall’Atalanta. Il secondo è Giacomo Ferrari, che ha esordito in B con l’Alzano a 32 anni e a 35 in A con il Modena, nel 2003.

Uno è un campione del Mondo, l’altro ha collezionato una presenza in Serie A con l’Inter.

Ma il nome più celebre è quello di un campione del Mondo, perché Simone Barone — prima di diventare oggetto di discutibili pagine Facebook — è stato un giocatore dell’Alzano Virescit proprio nell’unico anno in B, in prestito dal Parma di Tanzi.

Se lo stadio altro non era che l’Atleti Azzurri d’Italia in co-abitazione con l’Atalanta, la maglia dell’Alzano è rimasta celebre per una chiara ispirazione alla Croazia appena resosi indipendente. Non può spiegarsi altrimenti la texture a scacchi stile Nazionale Piloti.

Oggi l’Alzano Virescit non esiste più, perché negli anni — oltre alla discesa prima in C2, poi in D, fino alla Prima Categoria — è stato rinominato: l’attuale denominazione è quella di Virtus Bergamo 1909 Alzano Seriate.

2° Lodigiani

Hype + Grado di nostomania: 9 / Tasso di notorietà: 9.5 / Coefficiente di entertaninment: 7+ → Serie C Index = 8,58

Qui il grado di nostomania schizza fuori dalla testa, perché la Lodigiani è qualcosa di puramente anni ’90. Società dalla storia molto giovane, nasce nel 1972 per volere di Giuseppe Malvicini: nei piani iniziali, la Lodigiani Calcio altro non dovrebbe essere che la squadra aziendale dell’omonima società edilizia, uno delle powerhouses industriali degli anni ’70.

La realtà è che pian piano si trasformerà in qualcosa di diverso, perché la Lodigiani si trasferisce in una delle borgate più interne della città, San Basilio. Andare a vedere una gara della Lodigiani era un must, per l’atmosfera rovente — che a volte sfociava in altro. A volte la squadra biancorossa ha avuto anche la possibilità di giocare al “Flaminio”, all’epoca ancora in auge.

Nasce la leggenda del “modello Lodigiani”, con le sue giovanili che trionfano in quasi tutte le categorie: i migliori esordiscono poi tra i professionisti, rinforzando così la prima squadra, arrivata nel frattempo in C2. Un modo per sopravvivere al possibile addio della Lodigiani Costruzioni, che pianificava di diminuire il supporto economico al club. In ogni caso, la Lodigiani non è mai apparsa nella lista nera della Covisoc e qualcosa vorrà pur dire.

Arrivata in C1 nel ’92, la compagine laziale ci rimarrà fino al 2002. L’annata della verità è nel ’94, quando la Lodigiani arriva quarta — posizione più alta della storia — e perde la semifinale di play-off con la Salernitana. La Lodigiani dei giovani, biancorossa e speranzosa, finisce parzialmente nel 2000, con la cessione a Longarini. La botta finale è nel 2003, quando il gruppo Cisco acquisisce la società. E come nelle canzoni degli 883, quando c’è un “Cisco” di mezzo solitamente le cose non vanno come pianificate.

Già in C2, il club diventa Cisco Roma (poi Atletico Roma), tragicomica appendice di quella che è stata una storia di successo. Via i giovani, dentro residuati bellici a fine carriera o giocatori in cerca di rilancio — leggasi Paolo Di Canio, Baronio, Mauro Esposito — pur di puntare alla tanto sperata promozione, che non arriverà mai. La finale di play-off persa contro la Juve Stabia mette il punto a un’esperienza evitabile.

L’allenatore-simbolo della Lodigiani è, può e DEVE essere Guido Attardi. Legato a filo strettissimo con la sua città-natale (L’Aquila), Attardi ha guidato la Lodigiani complessivamente per un decennio, spalmato su tre stint diversi. Il suo gioco offensivo ha fatto divertire i giovani passati per Roma.

Proprio per il suo modello giovanile, la lista di giocatori prodotti e cresciuti in casa Lodigiani è abnorme. I biancorossi hanno lanciato una marea di professionisti, poi distintisi in A e in B (anche di recente: Florenzi e Candreva sono stati nel vivaio della Lodigiani a inizio anni 2000). Se però dovessimo fare qualche nome rappresentativo, ci sono dei casi interessanti.

C’è un campione del Mondo che si è rilanciato a Roma: Luca Toni veniva dal pessimo periodo a Fiorenzuola e in biancorosso è andato in doppia cifra per la prima volta. C’è un ottimo mestierante della A come David Di Michele, che ha esordito da pro con la Lodigiani. Soprattutto ci sarebbe chi ha giocato solo nelle giovanili, ma da lì è diventato il simbolo della Roma giallorossa: Francesco Totti.

E l’entertainment non è mancato: la Lodigiani ogni tanto giocava di sabato già negli anni ’80, nonostante militasse in serie minori. L’intenzione era di portare allo stadio quei tifosi che altrimenti la domenica avrebbero visto Roma o Lazio. Inoltre, la Lodigiani è stata forse la squadra di Roma che più ha abbracciato lo spirito cittadino: ha avuto il suo cuore nella borgata di San Basilio, ma ha giocato al Flaminio e persino all’EUR.

A questo va aggiungo un gemellaggio con un’altra realtà così anni ’90, quel Castel di Sangro che ha creato un’altra sorta di miracolo calcistico in quell’epoca.

Oggi la Lodigiani è come una sorgente dall’acqua purissima, isolata dal mondo urbano e concentrata solo sul calcio giovanile. La speranza è di continuare a sfornare talenti e a curarsi di quel modello che il calcio italiano oggi trova utile di fronte alla difficile congiuntura economica attuale.

1° Castel di Sangro

Hype + Grado di nostomania: 10 / Tasso di notorietà: 8+ / Coefficiente di entertaninment = 9.5 → Serie C Index = 9,25

Andiamo sul sicuro affermando che non ci sia più formazione anni ’90 del Castel di Sangro. Un paesino di 6000 anime raggiunge a sorpresa il professionismo dopo esser partita da lontano: il Castel di Sangro, infatti, è stato fondato nel dopo-guerra per ricompattare una comunità distrutta dagli attacchi americani e tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale.

Se il calcio è stato veicolo di socialità e rinascita in Abruzzo, il 1989 ha segnato l’arrivo nel mondo dei pro. Da lì, la scalata è stata veloce: arriva una clamorosa doppia promozione dalla C2 alla B tra il 1994 e il 1996, entrambe ottenute tramite l’appendice dei play-off. Quando il Castello batte l’Ascoli nella finale di Foggia, il profeta Jaconi anticipa sui tempi van Gaal e manda in campo il portiere di riserva Spinosa per la lotteria di rigori.

Una scelta che si rivelerà decisiva, visto che il penalty parato su Milana varrà la promozione in B.

Il 1996–97 è un’annata folle: ci sono mille problemi a distrarre la squadra (di cui menzionerò in seguito), ma in qualche maniera il Castello riesce a tenere duro. C’è un periodo di crisi nel girone di ritorno, ma il tecnico Jaconi cambia modulo e da lì gli abruzzesi riescono a girare la classifica a loro favore, salvandosi con una giornata d’anticipo dopo la vittoria nel derby con il Pescara.

Con tante partenze e l’addio a Jaconi l’anno successivo, la retrocessione è inevitabile. I giallorossi sono poi rimasti tra i professionisti fino al 2005, quando viene fondata una nuova società, che però non è più riuscita a tornare in Lega Pro. In compenso, in quel biennio gli abruzzesi han battuto Padova, Genoa (in casa e fuori), Lecce, Salernitana, Torino (due volte in casa).

L’acuto finale è una partita di Coppa Italia 1998–99, dove il Castel di Sangro sfida l’Inter in due gare folli: nella prima perde solo 1–0 per un gol di Ventola, mentre nella seconda soffre un’errata valutazione di Tombolini ed esce solo per un rigore di Djorkaeff.

L’Inter si presenta in Abruzzo con Bergomi, Winter, Simeone, Paulo Sousa, Djorkaeff, Ventola e Roberto Baggio.

Anche se in quegli anni in Abruzzo transita anche Fabrizio Castori, è indubbio come l’allenatore-simbolo sia Osvaldo Jaconi. Non soltanto per l’impresa della Serie B raggiunta e poi mantenuta con il Castello, ma anche perché Jaconi è a oggi il tecnico con più promozioni nel calcio italiano: otto tra i pro, una tra i dilettanti. Se ci aggiungiamo due ripescaggi, saliamo a 11.

Inoltre, il presidente di quella favola era Gabriele Gravina, che oggi è invece il numero uno della Lega Pro, riconfermato giusto qualche mese fa. Dodici anni di presidenza, fino alla promozione in B, prima di passare ad altre occupazioni calcistiche e non.

Tra i giocatori, ci sono nomi che non ti aspetteresti. Se Claudio Bonomi è stato forse uno dei simboli di quell’epoca, in Abruzzo sono passati Giovanni Cornacchini, Daniele Franceschini, Gionatha Spinesi, Moris Carrozzieri e persino Carlo Cudicini. Su tutti, però, spunta la figura di Vincenzo Iaquinta, altro campione del Mondo transitato in quest’universo passato: proprio con le reti in giallorosso, Iaquinta si è garantito il passaggio all’Udinese nel 2000.

Per quanto riguarda quello che potrebbe esser contorno, in realtà molte vicende hanno reso il Castel di Sangro più grande di quello che i due anni trascorsi in cadetteria potrebbero far pensare. Si va dall’entertainment puro alla tragedia.

Già, perché “Sfide” ha dedicato una puntata alla squadra e lo scrittore americano Joe McGinniss ha scritto un libro su quell’avventura (accusando però di combine i giocatori), ma ci sono stati anche avvenimenti spiacevoli. Basti pensare alla morte per incidente stradale di due giocatori, Danilo Di Vincenzo e Filippo Biondi; inoltre, c’è il caso che ha coinvolto Pierluigi Prete, arrestato per spaccio di droga e poi tornato in libertà una volta scagionato dalle accuse.

Infine, anche se il logo di quell’epoca ricorda qualche associazione legata a Telethon e la maglia non offriva nessuno spunto creativo, ciò che più colpisce è l’impianto. Lo stadio Teofilo Patini ha ospitato diverse partite dell’Under 21 e contenere 7200 spettatori, un numero di persone maggiore di quelle che vivono a Castel di Sangro.

Oggi il Castel di Sangro ha un posto inusuale per la sua collocazione geografica. Dopo due rifondazioni (nel 2005 e nel 2012) e diversi anni trascorsi in Eccellenza abruzzese, la rinata Associazione Cep 1953 si è iscritta alla Seconda Categoria molisana, nonostante la città dei giallorossi si trovi altrove. Dallo scorso anno almeno è tornata la denominazione “Castel di Sangro”.

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