Il 2014 del Ciclismo in cinque scatti

Crampi Sportivi
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7 min readDec 31, 2014

Il Ciclismo è uno sport strano, unico nel suo genere. Uno sport in cui le gare sono lunghe, spesso lunghissime, eppure vivono dell’attesa di quel lampo che le fa esplodere. Tra tutte le discipline sportive è forse quella che più di ogni altra mostra l’uomo di fronte in tutti i suoi aspetti, dai più tragici ai più eroici. Con lo scorrere dei chilometri si alternano differenti emozioni sia per chi pedala che per chi osserva, un’altalena di stati d’animo che trova la sua sublimazione solo nella purezza del gestualità di questi omini in sella che in alcuni, rari, casi riescono ad irrompere nella Storia.
Il 2014 del ciclismo non è stato certo memorabile, forse è anzi una di quelle stagioni di cui ci si dimenticherà in fretta, ma anche in un’annata povera non sono mancate le occasioni per ammirare la grandezza di questa sfida tra l’uomo e il cielo. Quelli che seguono sono cinque gesti assoluti, degni di essere ricordati a lungo.

5. Enrico Battaglin. 24 maggio. Oropa.
C’è tanto Giro d’Italia in queste poche righe, ed è un controsenso dopo un Giro in cui c’è stato davvero poco Giro d’Italia. Ma alle volte basta quell’unica pennellata imprevista a cambiare il destino di un quadro, e l’ultimo km di Oropa ne è un esempio perfetto. Siamo oltre metà Giro e sin qui, tra un percorso discutibile, tante cadute sul bagnato e una spiccata timidezza tra i protagonisti, di entusiasmo se ne è respirato ben poco. Ma la crono ha fatto distacchi, e arriva una tappa come Oropa che sembra perfetta per i pretendenti alla classifica finale desiderosi d’attacco. Invece non accade nulla.
Più avanti lungo la strada, però, c’è ancora ciò che resta della fuga di giornata, che l’ascesa finale ha definitivamente smembrato in brandelli. E’ il caos. Ci prova Timmer, ma Cataldo e Pantano collaborano e riescono a riprenderlo e staccarlo. Timmer però trova la ruota di Polanc, ci si attacca e rientra sui primi due. Dietro di loro, però, tra un’inquadratura e l’altra spunta un lampo verde. Enrico Battaglin sta scrivendo una nuova pagina del vecchio manuale intitolato “Come gestire le proprie forze”. All’ultimo km Timmer sbuffa e si stacca definitivamente, Battaglin è ancora dietro ma va evidentemente più forte di tutti. Rientra sui primi tre a 400m in tempo per tirare il fiato e affrontare la penultima ultima curva, a sinistra, dove un esausto Polanc inizia a sbuffare e sbandare. Restano una semicurva e un rettilineo in salita dove Cataldo lancia lo sprint lungo, con il solo Pantano che riesce a seguirlo. Battaglin china il capo e sembra la resa, invece si guarda le gambe e sono quelle a dirgli di alzarsi e ripartire: salta un piantato Pantano ai -50, fa un’anomala, diciamo inutile, serpentina di 25 metri, affianca Cataldo ai -10 e spinge la bici verso una linea bianca che per quell’unico istante è il colore della speranza, e della saggezza.

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4. Ramunas Navardauskas. 25 luglio. Bergerac.
Nel ciclismo il talento da solo non basta per vincere. La storia è piena di corridori dal talento più o meno grande e dal palmares più o meno piccolo. Ramunas Navardauskas è uno che il talento ce l’ha, e balza all’occhio al primo sguardo, eppure di vittorie di spessore in carriera deve ancora mettersene in tasca, considerando anche la giovane età. Al Tour di quest’anno si è presentato in condizione maestosa, iniziando già alle grande dalle tappe inglesi, dove raccoglie un terzo posto al Grand Depart e spacca il cellulare di un cretino il giorno dopo, ma per alzare le braccia al cielo deve attendere il terzultimo giorno, fino a 13km da Bergerac.
Piove decisamente troppo quando il fuggitivo, e suo compagno di squadra, Slagter sprinta su quell’ultimo dentello per prendere i punti del GPM; Nava tra le prime ruote del gruppo che cerca di riportare i velocisti verso il finale, ed è quando vede il compagno lì davanti che sente il clic della lampadina che si accende. In un attimo rientra su Slagter, giusto il tempo per rifiatare qualche centinaio di metri e poi buttarsi in discesa fino a guadagnare 20” sul gruppo, tanto gli basta per abbassarsi sul manubrio fino a diventare parallelo alla perfezione e macinare quei 10mila metri di resistenza. Mentre le telecamere si appannano sotto il diluvio, le pedalate di Navardauskas irraggiano la luce solare di un piccolo capolavoro.
In un Tour de France ricco di emozioni e di gesti strepitosi (tutti sotto la pioggia, dalla giornata “dantesca” di un Nibali che solo il ciclismo moderno poteva aver tenuto lontano dal pavè fino a 30 anni all’inesauribile cavalcata di Blel Kadri, con tutta la squadra che lo aspetta sotto la pioggia per applaudirne la premiazione) è questa piccola luce lontana dai riflettori dei grandi l’immagine da conservare per sempre, l’immagine del talento che dà sfoggio di se’.

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3. Alberto Contador. 16 marzo. Guardiagrele.
Alberto Contador è un corridore che ama farsi amare. Sa come attirare l’affetto del pubblico, e sa soprattutto stuzzicare la fantasia degli appasionati più esigenti, quelli a cui non basta la vittoria di immagine. Il 2013 era stata la stagione peggiore dell’intera carriera del madrileño, che per riscattare se stesso e tutto questo amore ha passato un inverno ad allenarsi come non mai per aggredire la nuova stagione sin dagli albori. Il primo obiettivo era individuato nella Tirreno-Adriatico, ed è lì che Contador dà alla luce uno dei gioielli più brillanti della sua storia.
A Guardiagrele l’arrivo è posto dopo una rampa al 28%, una cosa che nel ciclismo non ha alcun senso d’essere e che dieci volte su dieci comporta una corsa simil-processione, dove ognuno cerca di salvare ogni goccia possibile di energia per evitare di zigzagare fino al traguardo. Il regalo di Contador a questa corsa è proprio quell’eccezione necessaria ad ogni regola: lancia un primo attacco sul Passo Lanciano, a 33km dal traguardo, con cui si libera della compagnia di un gruppo contenente tutti i migliori della corsa (Quintana, Scarponi, Pozzovivo, Horner, Peraud…), rientra sui fuggitivi di giornata e li mette alla frusta, poi riparte da solo sul terribile muro finale mettendosi in tasca la seconda tappa di fila, e con lei la leadership della classifica con più di 2’ sui rivali e gli applausi estasiati dell’intero mondo del ciclismo, che di un campione del genere ha bisogno come del pane.

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2. Jelle Wallays & Thomas Voeckler. 12 ottobre. Paris — Tours.
Sarà la stanchezza di fine stagione, sarà l’indecifrabilità di un percorso all’apparenza “facile”, fatto sta che da qualche anno ormai gli ultimi 50km della Paris-Tours sono il miglior antidoto esistente alla noia del ciclismo moderno
Quest’anno ci si è arrivati con una fuga da lontano, con tre uomini di cui uno era quell’attaccante meraviglioso che risponde al nome di Thomas Voeckler, e insieme a lui pedalavano i belgi Kevin Van Melsen e Jelle Wallays. A 50 km dal traguardo sembrano spacciati, ma lì, d’un tratto, accade il miracolo della scintilla che scatta: davanti si buttano a pancia bassa a menare, dietro il gruppone inizia a guardarsi e smandrapparsi. Voeckler e Wallays resistono, stringendo i denti e dando vita ad una coraggiosa cronocoppie. Arrivano al lungo rettilineo finale con il francese in testa e il belga freddissimo che non vuole spostarsi dalla sua ruota. Qui tanti pseudo-campioni si sarebbero rialzati facendo rientrare il gruppo, ma T-Blanc è un corridore di un’altra pasta e tira dritto andando incontro “a morte certa”. Ovviamente Wallays lo passa e arriva primo, con pieno merito, ma i vincitori sono tutti e due e lo sconfitto e il premiato. L’unico premiato, perchè Voeckler si dimentica di essere un campione non appena scende dalla bici, diserta il podio e rinuncia al premio. Ma questa è un’altra faccenda, che non merita di stare qui in mezzo.

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1. Nairo Quintana. 27 maggio. Stelvio / Martelltal.
Diciamolo chiaramente: tra Giro e Sanremo, RCS Sport negli ultimi anni non ha certo avuto fortuna con la meteorologia. Non hanno avuto fortuna questi organizzatori, ma nemmeno hanno avuto mai coraggio o inventiva, ritrovandosi puntualmente appiedati e “amputati” del meglio delle loro corse.
Il Giro 2014 pareva seguire lo stesso copione, e le cassandre dentro e fuori il gruppo sembravano aver già messo a fuoco il loro obiettivo: la tappa di Val Martello, recupero di una frazione a sua volta annullata per maltempo l’anno precedente. Sono necessari due giorni di trattative, di “mantra” recitati da tutti gli appassionati e di -benvenuta- resistenza dell’organizzazione per disputarla davvero questa tappa. O almeno per confermarla e farla partire, perchè dalle prime pedalate il gruppo sembra essersi compattato in modalità gregge per “vedere le condizioni delle strade”, in pratica per boicottare lo spettacolo tanto atteso. Fortunatamente ogni gregge che si rispetti ha la sua pecora nera, e l’antidoto al corporativismo passivo qui è un campione andino che parte come pecora nera e finirà per diventare tutto rosa.
Nairo Quintana ingigantisce una tappa già per giganti con tre mosse tutt’altro che semplici, dimostrando capacita da veterano nel leggere la corsa, dalla tattica pianificata in partenza al colpo d’occhio decisivo. Tre mosse che faranno di questa giornata un racconto destinato a restare nei manuali di ciclismo per lunghi anni. La prima sta alla squadra: il gregge predestinato si allunga in fretta sotto il passo imposto da una Movistar a tutta sin dall’inizio del Gavia, una tappa durissima diventa subito ancor più pesante nelle gambe sotto un ritmo del genere. Il forcing di squadra guida tutto il Gavia e tutto le Stelvio, verso la cui cima scatta la seconda mossa decisiva: dalle radio si vocivera di una nebulosa “neutralizzazione” della discesa, e qui si vede la luce della lampadina accesasi in Quintana accecare l’intero plotone quando Nairo decide di coprirsi ben prima di scollinare, e poi di buttarsi a tutta. Gli attacchi frenati sin qui dalla Movistar sono ora i benvenuti, e Nairo Quintana si accoda saggiamete a due attaccanti di razza come Hesjedal e lo straordinario Pierre Rolland del Giro 2014. Per vincere bisogna rischiare, e non si sa se sarà peggio la scarsa visibilità del nevischio che cade o gli strali che arriveranno dai colleghi. In gruppo è il caos, con tutti i corridori attaccati alla radiolina per avere informazioni telecomandate. In una parola: distratti. Ed è quando l’avversario è distratto che si può metterlo al tappeto; Quintana lo sa e da qui al traguardo compie il suo definitvo capolavoro. I tre davanti prendono il largo in discesa, vanno d’amore e d’accordo nell’ostico fondovalle, poi se le danno nell’ultima salita, dove il campionissimo colombiano mette il suo sigillo sulla tappa, sul Giro e sull’impresa più bella vista in un Grande Giro in questo millennio. 70 km di poesia tra neve e gelo, tra attesa e speranza, tra forzata cautela e lucida follia. 70 km che raccontano tutta la bellezza che il Ciclismo ancora riesce a regalare. Quando vuole.

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