Il 2015 del ciclismo in cinque scatti

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
Published in
10 min readDec 8, 2015

Non sappiamo se sia già stata battezzata con il nome di qualche personaggio mitologico, ma l’aria fredda è finalmente arrivata a rintanarci nelle case e ricordarci che l’anno sta concludendosi. Se la perturbazione di questi giorni non ha un nome, uno glielo possiamo dare noi: inverno. Un fenomeno atmosferico che si ripete da millenni e che non sembra destinato a scomparire a breve, a prescindere dai mutamenti climatici.

Nel ciclismo questo cambio di stagione è segnato con estrema chiarezza: dalle corse su strada si passa a quelle nel fango, e piano piano agli anelli in legno dei velodromi, finchè le giornate non torneranno ad allungarsi e tutti ci sveglieremo bagnati ogni mattina pensando alla Milano-Sanremo che arriverà.

L’inverno del ciclismo è però più dilatato, le corse sono più brevi e più rare, così le giornate fredde lasciano lo spazio ai ricordi, a partire da quelli più freschi. E ora che la stagione su strada possiamo dirla conclusa, con buona pace delle corse che tra Tasmania e Malesia stanno allungando questo calendario infinito, è il momento buono per andare a ripercorrere i momenti più intensi di questa annata, e selezionare quelli che ci hanno emozionato di più, quelli che ci ricorderemo anche nei prossimi inverni.

5. Peter Sagan, Richmond, 27 settembre.

Come descrivere la stagione di Peter Sagan? Come sintetizzare in poche righe questa costante altalena di emozioni, dall’incazzatura di primavera alla frustrazione del Tour fino all’esaltazione iridata? Sarebbe praticamente impossibile, come impossibile è descrivere un soggetto come Sagan in poche parole. Ci proviamo tutti da anni, ma ci vorrebbe un libro intero per provarci, e non basterebbe.

Il 2015 di Sagan era iniziato male, con un inverno speso a contare gli zeri del nuovo contratto faraonico e una primavera passata ad inseguire una vittoria che non arrivava. Poi è iniziato il Tour. Se si volesse scegliere un momento per descrivere l’intera carriera di Sagan sino al 26 settembre scorso, quello sarebbe l’intero Tour de France 2015: una gara corsa da vero fenomeno, con momenti di pura esaltazione, come la discesa in picchiata verso Gap, e momenti di depressione cosmica, come lo sprint — perso — contro Van Avermaet. Ma quel Tour fenomenale è stato di fatto solo un antipasto, seguito dall’indigesta portata di una Vuelta conclusa dopo essere stato abbattuto da una moto. Da quella caduta assurda Sagan si è rialzato per firmare il suo capolavoro.

A Richmond Sagan ha trovato nell’attesa la chiave della sua vittoria. Lui, il corridore che dell’irruenza ha fatto uno stile di vita, lungo le strade della Virginia ha saputo mordere il freno fino all’ultimo istante, e quel lungo aspettare gli ha riservato una cannonata nelle gambe. Del mondiale vinto da Peter Sagan, di come l’ha conquistato e di come l’ha festeggiato, ne abbiamo già parlato a lungo. L’impegno per l’inverno è di guardare e riguardare quei quattro minuti in cui Sagan ha ribaltato un’intera stagione, e forse un’intera carriera.

4. Romain Bardet, Pra-Loup, 11 giugno.

Quando ha tagliato il traguardo di Pra Loup allo scorso Criterium del Delfinato, Romain Bardet si è sdraiato sull’asfalto caldo aprendo le braccia come un novello crocefisso. A prima vista, poteva sembrare stanchezza, la sua, ma guardando meglio i suoi occhi si poteva cogliere qualcos’altro di più profondo. A stremare Bardet in quella azione tutto sommato breve non era stata la fatica di pedalare ma una trascendentale discesa agli inferi, la cui risalita fino a Pra Loup era qualcosa di ben più duro di quanto dicano le altimetrie.

Bardet parte quando al traguardo mancavano precisamente 22 chilometri virgola 2: non conosciamo le cifre più dettagliate ma viene da immaginare che quel 2 significasse 222 metri. Un multiplo di 666, insomma. Alla vetta dell’Allos manca poco più di un chilometro, una bazzecola per un discreto scalatore come il francese, ma con così poco terreno per guadagnare dove vuole andare?

In vetta Bardet conserva pochi secondi di vantaggio sul trenino Sky, e dal GPM al traguardo ci sono 15 chilometri di discesa prima di una facile salita finale. Siamo sullo stesso tracciato che 40 anni prima aveva visto chiudersi l’epopea di Eddy Merckx al Tour. È follia assoluta quella che si impadronisce di Romain Bardet in quei 15 chilometri di discesa su un asfalto rabberciato e curve contorte affacciate su baratri di dure pietre, dove basta una distrazione leggerissima, un soffio di vento, un sassolino per terra o uno starnuto per trovarsi a rimbalzare in un dirupo.

In gruppo lo sanno bene, la discesa degli altri è attenta e misurata. Non quella di Bardet: a pedalare non c’è più lui, ma il suo spirito folle, sul confine dell’Oltretomba. I pochi secondi diventano un minuto e mezzo, quanto basta per gestire il vantaggio con una lucidità ritrovata. Per Bardet è una vittoria di tappa che vale di più: la consapevolezza di aver saputo far saltare un copione già scritto grazie al coraggio e alla follia. E la piacevole constatazione di essere sopravvissuto.

3. Tony Gallopin, Nizza, 14 marzo.

La Paris — Nice è soprannominata da sempre “la corsa verso il sole”, quella che conduce i ciclisti dal grigio freddo della Capitale al sole della Costa Azzurra, trampolino ideale per guardare a Sanremo e da lì alla primavera ormai arrivata. La chiamano corsa verso il sole, ma a Nizza il sole in questo anticipo di primavera non c’è proprio: è una giornata di pioggia, freddo e delirio quella che accompagna il gruppo fino alla Promenade des Anglais.

Su un terreno fatto di su e giù — ma soprattutto di giù — avviene lo scontro tra i due leader della classifica: Michal Kwiatkowski, trascinato da una folle Etixx — Quick Step in discesa, contro Richie Porte, lanciato dal potente treno Sky in salita. In mezzo a questo scontro c’è una fuga numerosa e c’è una terza squadra che alla classifica sembra meno interessata, ma che a più a cuore l’idea di far saltare l’intera corsa: è la Lotto — Soudal, che lancia come una fionda Tony Gallopin salendo lungo la Côte de Peille, a 30 km dal traguardo.

Corridore dalle prestazioni altalenanti, Gallopin ha ormai abituato gli appassionati ad azioni di questo genere. Animato da una tensione naturale all’attacco, nelle giornate in cui la gamba risponde, Gallopin dipinge veri e propri capolavori a pedali. Tony transita al GPM con 15” di vantaggio sul gruppetto tirato dagli Sky, altri dieci secondi li mette in cassaforte subito nel falsopiano seguente, poi si butta in discesa e approfitta di qualche errore tecnico degli avversari, con Porte e Thomas che finiscono a terra.

Alle porte di Nizza la pedalata di Gallopin sembra provenire da un universo differente: il francese guadagna inesorabilmente ogni metro che passa, e i 30" di vantaggio diventano 35", poi diventano 40", poi 45" all’approssimarsi della storica Promenade des Anglais. E’ come se lo striscione d’arrivo rappresentasse un centro di gravità la cui polarità varia a seconda di chi ci si avvicina: un’attrazione travolgente verso il fuggitivo che corre davvero verso il sole, una repulsione fatta di pioggia e fatica verso chi prova ad inseguirlo. Tony Gallopin taglia il traguardo tutto solo, esulta e sorride. Oltre alla tappa c’è anche la maglia di leader, gialla come il sole, che il francese penserà bene di perdere con una cronometro disastrosa l’indomani. Ma conta poco il risultato finale, a quello ci penseranno i Porte, i Kwiatkowski, gli Spilak o i Rui Costa… il ruolo di Gallopin era stato un altro, quello di colui che porta il Sole.

2. Luca Paolini, Gent — Wevelgem, 29 marzo.

Il fattore meteorologico sembra essere diventato uno dei protagonisti principali nel ciclismo odierno: in un’era di valori livellati e tecnologie esasperate, resta solo la natura a poter mettere in difficoltà chi ha pianificato tutto al dettaglio. Un ruolo, quello del clima, talmente esaltante che l’UCI ha deciso di correre ai ripari per tamponarlo, varando il discusso “Extreme Weather Protocol” proprio per cercare di ricondurre la corsa nei binari stabili, o impedirle proprio di svolgersi in caso contrario, sottraendo sempre maggiori porzioni di realtà da questo splendido e imprevedibile sport.

Non è un caso se nelle cinque giornate che ci ricorderemo di questo 2015, tre siano state caratterizzate dal brutto tempo, e non è un caso che di queste tre quella che ci è rimasta più impressa sia stata la più estrema. La Gent — Wevelgem del 2015 si è disputata in una di quelle giornate in cui solo un enorme dose di buona volontà può permettere di pedalare, e non tanto per il freddo e la pioggia battente, quanto per le raffiche di vento che hanno sventagliato il gruppo sino ad 80 km/h. Nel ciclismo che si riduce ad accendersi negli ultimi 5/15/30 minuti, questa Gent — Wevelgem ha offerto tre ore piene di spettacolo, con le squadre disgregatesi velocemente e un testa a testa tra i capitani che per una volta ha permesso di usare il termine “ciclismo epico” al di fuori di ogni retorica.

Non capita spesso infatti di vedere il gruppo spezzato in parecchi plotoncini già dai primi chilometri di gara, non capita che le “vetture scopa” si riempiano tanto da obbligare l’organizzazione a cercarne altre, non capita che le squadre ammettano pubblicamente di non avere notizie della posizione del proprio capitano. Alla Gent — Wevelgem è capitato tutto ciò nella stessa giornata, e in mezzo a questa baraonda, tra schiere di trattori che suonavano il clacson al passaggio dei corridori (mischiando magicamente protesta e sostegno) è partito a ben 78 chilometri dal traguardo il volo solitario di Juergen Roelandts. Un attacco intriso d’amore per questo sport, ma un attacco vero, che ha obbligato gli avversari a inseguire in prima persona, sfidando gli scatti dei rivali e quelli di Eolo; un’azione durata la bellezza di 60 km, che ha finito per segnare l’intera corsa.

Così che, con i leader ormai stremati, nel finale serviva un colpo di classe e di esperienza per vincere l’esaltante sfida: due doti che non sono mai mancate a Luca Paolini. Il comasco sarà il primo dei 39 eroi giunti al traguardo, e potremmo chiudere il racconto spiegando nel dettaglio il numero con cui ha uccellato tutti i rivali, o dilungandoci nel descrivere l’attenzione con cui ha corso l’intera gara, tanto da indicarsi la testa e il cuore come a ribadire le chiavi della sua vittoria. Ma finiremmo per rovinarci il gusto. Stanno arrivando le vacanze, e quale miglior momento per scaricarsi il torrent dell’intera Gent — Wevelgem 2015, preparare dei pop-corn e accomodarsi in poltrona per godersi queste tre ore di spettacolo. Potrebbe essere il vero film di Natale.

I. Rubén Plaza Molina, Cercedilla, 12 settembre.

Questo giochino di mettere in fila i momenti più esaltanti della stagione si fa da diversi anni su ogni forum, da decenni su ogni testata, da sempre in ogni bar. E soprattutto in questi ultimi le discussioni sull’argomento possono durare intere nottate, talvolta finire anche con qualche occhio nero. I gusti e le emozioni sono cose personali, e spesso sono guidati da altri fattori, dagli affetti personali o dalle sensazioni del momento, e questo rende impossibile mettere tutti d’accordo.

Tranne quando spuntano storie uniche, dinnanzi alle quali anche le più lontane diversità di vedute si avvicinano fino a toccarsi. La fuga di Rubén Plaza verso Cercedilla è una di queste storie, che si racconta di bar in bar, di forum in forum, come la storia pià avvincente di questa stagione, e forse di questo ciclismo. Centoquattordici chilometri di fuga solitaria sono qualcosa che non siamo più abituati a vedere, tantopiù quando avvengono al penultimo giorno dell’ultima grande corsa a tappe della stagione, quando le gambe sono sovraccariche di acido lattico e alle spalle dei fuggitivi si sta accendendo la battaglia campale che porterà a sovvertire una classifica finale che al mattino sembrava già scritta.

Centoquattordici chilometri, che scritti in lettere anzichè in numeri fanno ancora più impressione, sono quelli che si è sciroppato tutto solo Rubén Plaza per andare a vincere la tappa di Cercedilla. Per chi ama pedalare, un’uscita solitaria di 114 km è un allenamento lungo, un intenso trascorrere del tempo soli con noi stessi. Ed è probabilmente questo il fascino che ci lascia la vittoria di Plaza.

Il ciclismo, a differenza di quasi tutti gli altri sport, ha nella lunghezza un suo elemento peculiare. Le gare di ciclismo durano ore, e in quello scorrere del tempo cambiano le emozioni. Non ci è dato sapere cosa abbia provato Rubén Plaza in quelle tre ore trascorse tutto solo a faticare sotto il sole di Castiglia, se abbia preferito concentrarsi solo sul circolare dei pedali senza fuggire altrove col pensiero, e se invece ne abbia tratto un pomeriggio di riflessione. Probabilmente si è abbandonato ai pensieri più ordinari, tenendo d’occhio lo svolgere della corsa ma pensando nel frattempo al fatto che l’indomani sarebbe tornato a casa, che avrebbe riabbracciato moglie e figli e chissà cosa avrebbe trovato per cena, o alle settimane a venire, con quella fuga che poteva essere l’occasione buona per agguantare le convocazione in nazionale e volare verso il mondiale negli Stati Uniti.

Forse sta proprio qui il fascino della lunghissima cavalcata di Plaza: un’impresa straordinaria intrisa di ordinarietà. Non c’è l’emotività del trionfo di Pinot all’Alpe d’Huez, non il senso di rivalsa di Nibali verso La Toussuire, non l’ardore di Contador sul Mortirolo o la strenua resistenza di Fabio Aru, non la sacralità di Quintana al Terminillo né l’irruenza di De Bie ad Haacht. Qui c’è semplicemente un uomo in bicicletta, un uomo solo in bicicletta.

Quella di Plaza che pedala verso Cercedilla è la solitudine di ogni uomo, di ogni giorno, quella che non si può ingannare cazzeggiando con il cellulare o inseguendo un’idea posticcia di socialità, quella che obbliga a fare i conti con la propria quotidianità. Rubén Plaza si lascia andare solo all’ultima curva, quando di fatto prende coscienza di aver compiuto un capolavoro, si sfila i guantini e li lancia al pubblico, poi fa un respirone e taglia il traguardo a braccia alzate e testa bassa. Il gesto semplice di un uomo solo, come ogni altro uomo, al termine di un’impresa straordinaria.

--

--