Il calcio ai tempi di Facebook — Intervista agli ideatori di “Sarrismo: Gioia e Rivoluzione”

Armando Fico
Crampi Sportivi
7 min readJun 4, 2018

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Il calcio ai tempi di Facebook non è più il solito calcio. Cambiano le sue sembianze, muta il lessico usato per raccontarlo, infinite sono le sue narrazioni.
Tra zone d’ombra e momenti di pura esaltazione, Crampi Sportivi si è messa sulle tracce delle pagine Facebook più affascinanti, quelle che raccontano di calcio a modo loro, restituendoci e raccontandoci una volta di più la bellezza di questo sport.

Nel primo appuntamento, Sarrismo — Gioia e Rivoluzione.

Sarrismo — Gioia e Rivoluzione, per iniziare partiamo dalla fine: Sarri e Napoli si sono separati. Sembrava non potesse succedere mai, eppure il Sarrismo “è caduto” nella piazza della sua consacrazione e al suo apice. Com’è potuto accadere? Cosa è andato storto?

Sarri e Napoli non si sono separati e non lo faranno mai. A separarsi sono stati Sarri e “il” Napoli, e quell’articolo fa tutta la differenza del mondo.

Parliamo di un legame troppo forte, di un lascito troppo importante e di ricordi troppo ingombranti. Le polemiche e i veleni che stanno accompagnando questi giorni sono la naturale e spiacevole conseguenza di un divorzio che da tanti tifosi è stato vissuto in maniera dolorosa. Ma non c’è nulla, in realtà, che sia andato storto: semplicemente, sono emerse le divergenze che prima si potevano solo intuire tra l’allenatore e i vertici del club.

Quella di Sarri è un’era che si è chiusa. L’eredità lasciata è immensa, economicamente e sportivamente. Ma come la spiegate la malinconia registrata tra i tifosi azzurri, rassegnati ad aver perso il loro Comandante? È questo il volto umano della rivoluzione sarrista?
Sarri non è stato solo l’allenatore del Napoli, l’architetto capace di risollevare una squadra ridotta in macerie dagli ultimi mesi di Benitez, portandola a migliorarsi anno dopo anno. Sarri ha rappresentato Napoli, ha difeso Napoli, non ha mai fatto un passo indietro quando si trattava di tutelare la dignità della città in cui è nato. Nella sua forma “iconica”, Sarri ha anche interpretato il ruolo del leader romantico che conduce i suoi verso un sogno che forse è sempre stato irrealizzabile.

Perdere un personaggio simile, per una città che vive di identità e di identificazione, è una botta tremenda.

In direzione ostinata e contraria

Entrando sulla vostra pagina Facebook, un dettaglio ci ha stupiti: la sequenza “Sarrismo-Gioia-Rivoluzione”, rigorosamente in quest’ordine. Quasi come se la seguente non potesse prescindere dall’antecedente.
Riprendiamo dal principio: cos’è dunque il Sarrismo?
Raccontateci il vostro Manifesto “politico”.
Il Sarrismo, prima ancora che la mera celebrazione di un allenatore formidabile e di un uomo straordinario, è un modo d’intendere il calcio e più in generale la vita.

La ricerca della Bellezza a ogni costo, con la “B” rigorosamente in maiuscolo; il coraggio di vivere seguendo le proprie passioni, le proprie inclinazioni, senza scendere a compromessi.

Le vicende umane e professionali di Maurizio Sarri, che a 31 anni decise di lasciare un posto in banca per andare ad allenare in seconda categoria, sono state una prima ispirazione. Il suo Napoli la seconda: una squadra che si diverte e diverte (la Gioia) e che per la prima volta vuole arrivare fino in fondo, fino al palazzo, continuando a divertirsi (la Rivoluzione).

Il vostro slogan è da tempo #finoalpalazzo. Ma quindi il Sarrismo è un potere, piuttosto che un movimento, o ancora un’idea?
E’ un’idea nata da un gruppo di amici che si è trasformata in un movimento composto da tantissimi che si sono identificati nel manifesto di cui sopra. Ovviamente, all’inizio non avevamo intuito minimamente che casino stavamo mettendo su. Volevamo solo raccontare una bella storia, quella di un sogno… in una città che si nutre di sogni. Lo abbiamo fatto in modo un po’ inusuale, con il ricorso ai linguaggi della satira e dell’epica, senza mai cercare di perdere il contatto con la realtà e una sana verve polemica.

L’accostamento tra gioia e pallone, tutt’altro che casuale, è forte, anzi fortissimo. Di più: già di suo rivoluzioniario, e — immaginiamo — non vi riferiate all’ordinario sentimento di contentezza di un gol o di una vittoria. Spiegateci…
Vogliamo raccontarvi un episodio: il 20 maggio abbiamo organizzato la Terza Internazionale Sarrista, il raduno di fine anno con i fan e con i rappresentanti del Soviet Sarrista (gruppo ufficiale legato alla pagina). A mezzogiorno, sotto un sole cocente e con il sogno scudetto già svanito. C’erano un centinaio di persone accorse da tutta Italia: è stato magnifico ed è stato inevitabile andare col pensiero ai “festeggiamenti” per lo scudetto juventino in Piazza San Carlo a Torino una settimana prima. Ecco, ora diteci chi ha vinto. Diteci chi potrà raccontare tra trent’anni la stagione della propria squadra ai propri nipotini.

Il legame gioia-rivoluzione è invece per certi aspetti persino sublime. Dove inizia l’una e inizia l’altra?
Gioia e Rivoluzione sono legate indissolubilmente. Iniziano assieme, camminano di pari passo, si nutrono l’una dell’altra. Non c’è gioia senza l’idea di fare qualcosa di rivoluzionario, non c’è rivoluzione se si gioca con le stesse armi di avversari che vanno in campo come se andassero in battaglia.

Scorrendo i vostri post abbiamo però anche notato anche un’altra cosa: tranne che per l’ultimo, dedicato appunto all’addio del Comandante, manca qualsivoglia riferimento al presidente Aurelio De Laurentiis. La domanda quindi è d’obbligo: perché? E cosa ne pensa il Comintern sarrista della società, nonché della figura spesso ingombrante di ADL?
Ritorniamo alla prima domanda, a quell’articolo che precede “Napoli”. “Il” Napoli è rappresentato e amministrato da Aurelio De Laurentiis. Questa figura è in conflitto con Sarri da più di un anno, ufficialmente dalla notte di Real Madrid-Napoli (15 febbraio 2017), quando De Laurentiis delegittimò pubblicamente la gestione tecnica di Sarri, accusandolo di non valorizzare la rosa a disposizione. Ufficiosamente anche prima. Quelle del Bernabeu furono accuse infondate, fuori tempo e fuori luogo, considerando che il Napoli pochi mesi prima aveva intascato 90 milioni per la cessione di Higuain, che un anno prima dell’avvento di Sarri sembrava carne morta. E considerando anche il contesto in cui si inserirono: il Napoli all’epoca era reduce da due mesi e mezzo di imbattibilità e aveva da poco ritrovato nuovi equilibri e certezze con l’invenzione di Mertens centravanti.

Quel giorno si creò una frattura che non si è mai più ricomposta. E non solo per colpa di De Laurentiis. Il Comandante quelle dichiarazioni se le legò al dito e ad ogni occasione ha sempre ribadito che il Napoli non poteva programmare lo scudetto, poteva solo sognarlo. Tutto questo non è mai andato giù a De Laurentiis e si è arrivati alla presentazione di Carlo Ancelotti due giorni dopo il commovente finale di Napoli-Crotone.

L’obiettivo di Sarri era quello di regalare lo scudetto a Napoli. La sua incertezza nel rimanere a Napoli risiedeva nella paura di non avere la possibilità materiale di perseguire quel sogno. Le ultime parole di De Laurentiis (“Preferisco fare 81 punti in campionato e fare strada in Europa”) certificano l’incompatibilità tra i due. E ognuno, dal proprio punto di vista, ha le sue ragioni.

Parliamoci chiaro: la vostra è una vera e propria distopia. Una distopia che però sta avendo il merito di interpretare e rappresentare una storia vivissima (quella di Sarri, appunto), che meritava un racconto tanto verace, paradossalmente autentico, per essere compresa fino in fondo. L’interrogativo è lecito: dove volete arrivare veramente? Magari proprio a sovvertire lo status quo con al vostra, di realtà?
Noi diciamo la nostra, e la diciamo con vigore e convinzione: in questo paese si sta propagandando un’apologia criminale della vittoria a ogni costo. “Vincere è l’unica cosa che conta”, dicono. Per noi un viaggio nel quale conta solo arrivare a destinazione è un viaggio che non vale la pena di essere vissuto. Conta il come, conta il perché, contano i compagni. Conta il mentre. Altrimenti, ci si perde tutto e nulla ha più senso raccontare.

Il Napoli di Sarri è stato uno dei viaggi più emozionanti, memorabili e belli che i tifosi partenopei abbiano vissuto: che altro conta?

Raccontateci due momenti: quello che racchiude il Sarrismo e quello in cui è scoccata la scintilla che ha portato alla nascita del progetto.
Ve ne raccontiamo solo uno, che racchiude sia il Sarrismo che la scintilla. Sarrismo — Gioia e Rivoluzione nasce l’8 agosto 2016, ma viene concepito esattamente nove mesi prima, in una conferenza stampa del Comandante in Danimarca. Era il Novembre del 2015.

“Con 18 uomini, si può fare un colpo di stato e prendere il potere”.

Mentre parliamo, Sarri dovrà trovare un’altra sistemazione o aspettare un anno. Mutato però il contesto storico-sociale, è noto, una rivoluzione (di solito) muore o diviene qualcos’altro. Il Sarrismo ne uscirebbe intatto o piuttosto ridimensionato, trasformato? E voi, come fareste fronte a quella che parrebbe una controrivoluzione in piena regola?
L’addio di Sarri ci preclude parzialmente della possibilità di parlare del Napoli. In passato, chi ci segue da sempre lo sa, abbiamo anche manifestato dissenso verso alcune scelte o uscite del Comandante. In questo nuovo contesto, un nostro minimo accenno di critica alla nuova gestione tecnica verrebbe etichettato come “vedovismo”. Fenomeno che ci ripugna e dal quale vogliamo rifuggire. Restiamo in attesa della nuova destinazione del nostro Comandante, consapevoli che la simbiosi di questi anni resta un unicum irripetibile.

Per Sarri e per Napoli. Continueremo a parlare delle cose che ci piacciono. Qualcuno ci seguirà.

Ultima domanda… se gettiamo lo sguardo un po’ oltre “il sol’ dell’avvenir’”, cosa vede “Sarrismo — Gioia e rivoluzione” per il nostro calcio, a questo punto senza Sarri?
Il calcio italiano è morto al 55' di Inter-Juventus. I funerali si terranno a partire dal prossimo 14 giugno, il giorno in cui il movimento calcistico italiano, per la prima volta dopo cinquant’anni, vedrà il mondiale da spettatore non interessato.

Per ripartire, e sarà molto dura, bisognerà ripensare anche al modo in cui il calcio è vissuto in Italia, dagli allievi salendo su fino alla serie A. Ma questo richiede un grande atto di coraggio.

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