Il Catanzaro dei miracoli

Crampi Sportivi
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14 min readJan 19, 2017

Il giorno della presentazione ufficiale del Catanzaro 1979–80 ci fu sconcerto e confusione in sala stampa. Per giornalisti, tifosi e addetti ai lavori fu come andare in cucina per fare colazione con gli occhi ancora appesantiti dal sonno, portare alla bocca la tazza del caffellatte e ritrovarsi a sorseggiare un Bloody Mary. Un’esperienza non necessariamente disturbante in senso assoluto, ma totalmente disorientante lì per lì.

Il Presidente Ceravolo, che alla fine della più che soddisfacente terza stagione in Serie A sembrava aver deciso di passare il testimone ad Adriano Merlo, era invece rimasto al timone. Capitan Adriano Banelli, Maurizio “Ramon” Turone e Gianni Improta, fino al giorno prima dati per sicuri partenti con destinazione Reggina, Roma e Napoli, erano rimasti al loro posto in rosa. La priorità, disse il nuovo direttore sportivo, era confermare la squadra dell’anno prima «squadra che arriva nona in A non si cambia, semmai si migliora». Eppure tutto questo non aveva minimamente condizionato la campagna acquisti in entrata, anzi. Quello che fece spalancare la bocca agli astanti fu infatti il numero dei nuovi arrivi: undici. Undici facce nuove, una per ruolo, costati tutti due lire di ingaggio e zero di cartellino.

Naturalmente l’azzardo era sembrato a tutti, da subito, uno sproposito. Ma la vittoria per 24 a zero nell’amichevole precampionato con la Vigor Lamezia aveva convinto il pubblico. Gli sconosciuti erano fortissimi, almeno su questo non c’erano dubbi: avevano un altro passo, un altro ritmo. Un paio di loro, poi, tecnicamente sembravano alieni. Chi li aveva visti in campo era rimasto senza fiato, addirittura in città c’era qualcuno preoccupato per lo spazio che avrebbe potuto trovare Palanca nella nuova stagione. «Chi fissarìa — aveva tranquillizzato tutti il nuovo manager — la stagione è lunga, ci sarà spazio per tutti».

«Questi giocatori siamo andati a pescarli nelle categorie minori, abbiamo degli osservatori degni di un motore di ricerca di Football Manager», affermò soddisfatto il nuovo ds.

«Prego? Che abbiamo?», chiesero confusi i giornalisti in sala.

«Osservatori r’a madonna».

Tutti si voltarono sbigottiti verso Mister Carletto Mazzone, seduto di fianco al dirigente. Quello, altrettanto stralunato, apostrofò la platea: «Nun me guardate a me, ché ‘n c’ho capito ‘n cazzo manco io».

La nuova rosa comprendeva i seguenti giocatori:

Andrea CONSIGLI

Nativo di Milano, riflessi da gatto e ottimo senso della posizione, alla stampa dice di avere voglia di rifarsi perché all’Atalanta lo hanno bocciato al provino. Pensa quanto poco ci capiscono di vivai a Bergamo, allora.

Martín CÁCERES

Difensore destro, bravo sia sulla fascia che al centro, veloce, scattante, spettacolare. Nonostante il cognome sudamericano, assicura di essere nato in Uruguay da genitori originari di Isola Capo Rizzuto.

Ezequiel MUNOZ

Difensore centrale dalla stazza imponente e dall’atletismo discreto. Tatticamente intelligente, confessa di essere nato in Spagna e di non avere parenti calabresi ma di essere andato un’estate in vacanza a Tropea rimanendo folgorato dal mare e decidendo di trasferirsi in una mansardina a Parghelia.

DANILO Lorangeira

Difensore centrale reattivo e aggressivo, ma capace anche di impostare l’azione, nonostante il nome e l’accento brasiliano giura di essere originario di Badolato, di seconda generazione.

Vasco REGINI

Difensore sinistro cesenate, dotato di un buon piede e una discreta capacità di avanzare, può giocare sia a sinistra nella difesa a tre che da terzino puro. Ha giurato che a Catanzaro si trova così bene che tentennerebbe solo per un’offerta del Cesena.

Adam NAGY

Ungherese, mediano di qualità, di poche parole ma di tanti passaggi e soprattutto velocissimi, che tagliano il campo in tante fette dalle precisissime forme geometriche. Gli hanno chiesto se anche lui ha qualche avo calabro, ma non ha capito la domanda.

Robin QUAISON

Centrocampista svedese di quantità dal sorriso solare e dalla grande dedizione agonistica. Un tipo talmente amabile e incline all’aggregazione sociale che si presenta al pubblico con un paio di frasi in palermitano, convinto che fossero in calabrese.

Franco VAZQUEZ

«N’atru forasteru?» (trad. “l’ennesimo straniero?”), esclama la folla nel sentir pronunciare il suo cognome. Ma il ds rassicura tutti: Franco è originario di Scilla, il cognome argentino è quello del padre, ma questo trequartista destinato a indossare la maglia n.10 è calabresissimo, oltre che talentuosissimo.

Diego PEROTTI

Quando Diego Perotti disse: ‹Piacere, mi chiamo Diego Perotti e vengo da Montepaone», lo disse invero con un accento strano, ma presi dall’entusiasmo gli astanti non ci fecero troppo caso. Jolly offensivo, capace di spaziare dalla fascia sinistra alla trequarti moltiplicando i passaggi come Gesù moltiplicò i pesci e aumentando le percentuali di possesso della propria squadra, Diego promise che avrebbero lavorato tutti insieme per vincere subito qualcosa di importante.

Alejandro Dario GOMEZ, detto il PAPU

«Allora, yo ve lo digo subito: no sono calabrese, sono arghentino, ma vengo a mare a Copanello tutte le estati da quando ero piccolo», disse il Papu Gomez, ala agilissima e letale in grado di spaziare ovunque sul fronte offensivo. Sembrava in assoluto il tipo più simpatico della nuova compagnia. O meglio, magari Quaison era il più cordiale, ma Gomez sembrava un one-man show, e molto sicuro che il Catanzaro sarebbe arrivato tra le prime tre a fine campionato. Lì per lì nessuno lo prese troppo sul serio.

Mauricio PINILLA

Centravanti della squadra, ha giurato di essere originario di Girifalco ma emigrato in Cile per fare il muratore. Talmente ricoperto di tatuaggi che gli viene chiesto se aveva avuto problemi con la giustizia in passato. Quando lui rispose di no, i tifosi lo ribattezzarono immediatamente “u Pirata” Qual è la tua specialità, gli chiesero. «le rovesciate, vedrete», rispose lui.

***

A disposizione, c’erano i giocatori della stagione precedente:

Il portiere Mattolini, i difensori Ranieri e Menichini, i centrocampisti Nicolini e Sabadini (ex Milan), gli attaccanti Braglia e Bresciani, i tre “trattenuti” Improta, Banelli e Turone e, ovviamente, O’ Rey Massimo Palanca.

Una squadra così forte, probabilmente, il Catanzaro non l’aveva mai avuta. Lo ammise anche Mazzone. L’ambizione era tanta, le sorprese ancora di più, l’artefice di tutto questo era un uomo soltanto: il nuovo direttore sportivo Generoso Sempre, un manager ambizioso di cui nessuno sapeva niente, un personaggio praticamente apparso dal nulla.

L’antefatto

Tutto ebbe inizio durante una scampagnata solitaria sulla Sila. Girovagando come un’anima in pena, su e giù per le discese ardite e le risalite, Generoso Sempre si trovò a riflettere sulla sua carriera fallimentare come organizzatore di eventi sportivi, su quell’approccio espansivo ma sospetto, in perenne oscillazione tra idealismo manifesto e opportunismo, che gli aveva allontanato tutti nel settore. Si sentì un coglione perché in realtà era un atteggiamento che aveva allenato per anni, convinto che sarebbe stato l’ideale per ingranare nel lavoro.

Però cambiare mestiere no, era troppo pigro ed era inutile provare a invertire la rotta, magari nella prossima reincarnazione. All’improvviso un raggio di luce gli illuminò le scarpe slacciate, lui inseguì a passi lenti il suo riflesso per vedere dove andava a finire e si trovò davanti il fantasma di una vecchia 125.

«Rutta pe’ rutta, ruppìmula tutta», si disse Sempre, che decise di farla finita dentro il suddetto veicolo, col gas, chiudendo i finestrini. Ma i finestrini sul lato opposto non c’erano proprio, lo scoprì solo una volta entrato. Spazientito, uscì dalla macchina, e si ritrovò in provincia di Catanzaro nell’estate del 1979.

D’altronde, quando trovi una vettura del genere fuori epoca e fuori posto, nel bel mezzo della natura, perfettamente integrata tra alberi, cespugli e impronte di cinghiali, lontana da qualsiasi velleità di rimozione, a suo agio nella quiete come se avesse già fatto tutti i viaggi che doveva fare, come se avesse visto tutto quello che c’era da vedere, con che coraggio dici: “questa non è una macchina del tempo”?

Dopo un paio di giri e di incontri con gli indigeni, tra cui appunto tutta la sua famiglia in gita di Ferragosto, ebbe l’idea geniale. Tornò nella vettura, tornò al 2017, e corse a casa a chiamare tutti i procuratori di Serie A che conosceva.

«Portatemi qui tutti i giocatori di Serie A che potete, sto organizzando un’amichevole di beneficienza a Fuscaldo»

«Beneficenza per chi?» gli chiedevano i procuratori, dall’altra parte dell’apparecchio.

«Ma chi ti ‘ndi futti? Beneficenza per far rifiorire il calcio calabrese, invendati ‘nguna cosa»

«Mah»

« Portatemeli forti, e ditegli che la presentazione dell’evento la facciamo sulla Sila, li porto a mangiare in un posto speciale, in mezzo alla natura, capiscisti?».

Alla chiamata rispose chi rispose, e il resto è storia, al contrario.

La persuasione

I giocatori che avevano accettato di partecipare al match di beneficenza furono attirati con l’inganno sulla Sila, quindi nella 125, uscendo dalla quale si ritrovarono uno a uno nel 1979. Illustrare il piano non fu difficile: conquistare il calcio italiano degli anni ’80 con l’atletismo e le nozioni tattiche degli anni ’10, vincere tutto col Catanzaro, magari anche un Mondiale con l’Italia, ed entrare nella storia quarant’anni prima del loro tempo, e con il quadruplo degli onori.

Ai primi mugugni “eh ma con le nostre famiglie come facciamo”, Generoso sempre rispose che avrebbe portato le loro famiglie lì, bastava tornare indietro e farli entrare nella 125. D’altronde lui conosceva Catanzaro e provincia come le sue tasche, gli avrebbe trovato le migliori sistemazioni e se tutto fosse andato bene avrebbero giocato lì per un annetto massimo. Ma prima avrebbero dovuto vincere lo scudetto.

“Eh, ma come — vociarono i calciatori — e la Juve, e l’Inter, e la Roma, e il Milan”.

Generoso Sempre li tranquillizzò, gli disse che l’Inter di Beccalossi e Altobelli avrebbe vinto lo scudetto quell’anno ma non era certo quella di Mourinho. Oltretutto il numero delle partite di campionato era assai minore, c’erano solo due punti per vittoria e con il ritmo forsennato di match al quale erano abituati loro sarebbe bastato fare 20 punti nelle prime 10 partite per distanziare tutti gli avversari. Oltretutto a fine stagione sarebbe scoppiato lo scandalo del calcioscommesse e avrebbero retrocesso Milan e Lazio. Insomma, il colpaccio andava tentato.

“Eh ma i soldi?”

Ma benedetti figli, li apostrofò Generoso, qua abbiamo annullato il tempo e vi ho portato a giocare a pallone 40 anni prima, stiamo facendo qualcosa che nel calcio non ha ancora mai fatto nessuno. Volete tornare a casa tra un anno e rivedere su youtube le interviste in cui Maldini dirà di essersi ispirato tanto a Regini quando era un ragazzo? Baggio che dirà di essere cresciuto a pane e Papu Gomez? Ma non avete capito che qua se vincete uno scudetto diventate gli imperatori della Calabria? Ma ci siete mai venuti qui in vacanza?

“ — -“

Ma davvero buttereste via quest’occasione di ritrovarvi Massimo Mauro come primavera aggregato alla prima squadra e di fargli del feroce nonnismo ora per tutte le volte future in cui in televisione vi darà dei giocatori normali, o discreti, con quell’espressione a mezza bocca come se lui fosse cresciuto nella cantera del Barcellona?

Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Di lì a poco un gruppo di 12 uomini lasciò la Sila per dirigersi alla città più vicina, e prenotare un pullman diretto a Catanzaro.

Il progetto tecnico

Ottenere un provino per i calciatori non fu difficile, bastò organizzare una partita sulla spiaggia di Caminia, all’epoca frequentata da Claudio Ranieri e altri calciatori del Catanzaro, e sconfiggere la prima squadra a piedi nudi sulla sabbia. La buona volontà del giovane Claudio avrebbe fatto il resto, con il difensore romano che di corsa si precipitò infatti ad avvertire presidente e tecnico di aver incontrato dei giocatori amatoriali di livello stellare. Sbalordire gli osservatori della società fu anche meno difficile.

Generoso, giustamente, si prese tutto il merito delle scoperte. Ceravolo lo fece in quattro e quattr’otto direttore sportivo e lui convinse il presidente a non lasciare la direzione del club, e a mantenere i tre senatori, per rendere l’ambiente più compatto.

D’altronde, con la squadra che aveva tirato fuori dal nulla, chiunque avrebbe dato carta bianca a Sempre.

Il più difficile da convincere, invero, fu Carletto Mazzone.

Forti so’ forti, disse il mister, ma come li faccio gioca’ questi, ché è tutta gente che porta er pallone e nun c’è nisuno che mena? Guarda che qua stiamo in Serie A, mica al Circo Togni.

Ma mister, è molto più facile che inventarsi Pirlo regista.

Nun ho capito che hai detto ma si me spieghi nun te manno affanculo.

Generoso spese tre lunghe notti di lavagnette e decaffeinati a convincere Mazzone che con giocatori del genere diventava necessario sfruttare la loro intensità di gioco e far girare il pallone tanto freneticamente da spingere gli avversari a muoversi a vuoto, e quindi colpirli negli spazi, alle spalle, ovunque facesse male. Facciamo un tentativo, mister, si fidi di me. Forse ancora il calcio italiano non è pronto per questa roba, ma ai nostri figli piacerà.

E provamo.

Il campionato di Serie A 1979–80

Erano le prime luci dell’alba degli anni ’80, era un’Italia dal presente controverso ma con un periodo di immotivato entusiasmo, benessere e prosperità davanti a sé. Ovviamente niente di tutto ciò era destinato a durare, né avrebbe portato buoni frutti alle generazioni venture, ma loro erano lì in quel momento e non avevano né la laurea né la voglia per poter storicizzare le loro azioni in modo puntuale e consapevole. Generoso e i suoi ragazzi sapevano esattamente quello che dovevano fare per entrare nella storia, e iniziarono a farlo subito.

All’esordio sconfissero il Perugia di Paolo Rossi in trasferta per tre a zero, con una mezza rovesciata di Pinilla, una punizione di Palanca e una staffilata del Papu Gomez sul secondo palo.

Alla prima in casa, con la Juventus come cliente, si fecero fregare nei primi minuti da un’incornata di Bettega, e lì sembrò il buio: i bianconeri di Trapattoni si chiusero come gli sportelli dell’impiego pubblico in un venerdì pomeriggio romano. Al 20esimo del secondo tempo un sontuoso fraseggio tra Perotti e Vazquez libera al secondo lo spazio per il tiro, e il Mudo batte Zoff. Pareggio, ma buttalo via.

Nelle successive tre giornate, altre tre vittorie con Ascoli, Avelliino e Cagliari, e poi di nuovo pareggio, stavolta a reti bianche, con l’Inter che i ragazzi di Mazzone prendono un po’ sotto gamba, dando troppo credito alla pubblicità negativa del ds Sempre. Da quella partita in poi le aquile giallorosse pareggiano soltanto con la Roma, e vincono tutte le altre. Alla fine del girone di andata il Catanzaro è primo in classifica per la prima volta nella sua storia.

Carlo Mazzone viene osannato dai media come il nuovo padre del calcio moderno, quando gli chiedono quale nome sceglierebbe per definire il suo sistema lui risponde: a chi tocca nun se ‘ngrugna. ‘U Pirata Pinilla è capocannoniere con 13 reti e alle sue spalle c’è Palanca con 9. Generoso Sempre finisce in copertina sul Guerin Sportivo come il più efficace talent scout che abbia mai sbirciato un campo da calcio.

Bearzot convoca ben sette giocatori del Catanzaro di cui Pinilla, Perotti e Vazquez vengono schierati subito tra i titolari. La chiamano la Nazionale che parla calabrese, come se non fossero proprio in grado di riconoscere l’accento sudamericano.

Nel girone di ritorno il Catanzaro vince in scioltezza le prime cinque partite, sbaragliando tutti gli avversari (compresa la Juventus, che si arrende a un Diego Perotti in stato di grazia), ma poi perde la sua prima partita stagionale con l’Inter a San Siro. Quello che succede in campo è strano, è come se i ragazzi non credessero davvero di essere a un passo dal sogno di riscrivere la storia e imprimerci a fuoco il loro nome sopra.

La crisi di prestazioni continua con la Fiorentina, allorquando i ragazzi di Mazzone si fanno fregare da un’ingenuità di Danilo in area, che atterra Desolati. Dal dischetto Antognoni trasforma, e il Catanzaro non segnerà più. Con la Roma arriva un altro brutto pareggio, in cui un tiro disperato di Quaison toglie le castagne dal fuoco a una squadra che non sapeva come reagire al gol di Pruzzo del primo tempo. Un punto in tre partite è sufficiente per far riavvicinare pericolosamente l’Inter alla prima posizione.

Generoso Sempre, la sera prima della partita contro il Bologna di Savoldi e Chiarugi, è disperato.

«Ma benedetti figli, che c’è? È per le famiglie? Vi manca casa? Vi manca Sky? È per i soldi? Che succede, ditemi che succede, vi prego».

Genero’, ci siamo affezionati. — risposero un po’ uno, un po’ l’altro — Sentiamo la maglia, il calore del pubblico, l’amore dei 6000 che ci vengono a sostenere ogni domenica allo stadio. Qui le nostre famiglie si trovano bene, e noi ci divertiamo. Niente Ibrahimovic e Zidane, non è ancora arrivato Maradona, non sono ancora nati né Messi né Cristiano Ronaldo, qui se una domenica il Papu fa doppietta davvero gli dicono che è l’ala migliore al mondo, e ci credono. Genero’, noi abbiamo paura di perderlo, ‘sto scudetto, forse non ce lo meritiamo.

«Ma benedetto ‘ddio, santhi figli, non ve lo meritate voi e non me lo merito io, ma scusate… se lo meritano i 6000, o non se lo meritano, i 6000?»

I ragazzi si guardarono tutti negli occhi. Il loro petto si gonfiò, Quaison si alzò in piedi e disse:

Jamu e vincimu.

Da quel giorno in poi il Catanzaro vinse tutte e sette le partite che gli erano rimaste. L’11 maggio 1980, in casa con il Napoli, davanti ai 6000 cuori urlanti del proprio pubblico, il Catanzaro si laureò Campione d’Italia per la prima volta nella sua storia.

Epilogo

Ci fu una festa mai vista prima in Calabria, e che non si sarebbe più rivista tanto presto, purtroppo. Una festa così contagiosa e imponente da relegare in fondo alla prima pagina dei giornali lo scandalo del totoscommesse (valse per tutte le testate tranne la Gazzetta, che invece concesse al fattaccio il titolone).

Il calcio era malato, e tutti d’accordo, ma il Catanzaro era la cura.

Dopo una settimana di caroselli, sbornie, interviste, titoli dei giornali e sfilate in televisione, Generoso approfittò del rompete le righe di fine stagione per convocare i “suoi” undici soltanto, per un colloquio in disparte dal resto della squadra.

«Ragazzi, qui la situazione è quella che è, e purtroppo non è rosea».

«Cioè?»

«Mazzone va ad allenare il Real Madrid, il Presidente mi ha confidato che i conti di quest’anno sarebbero andati in rosso se non avessimo vinto, mi ha detto che ci sono delle offerte importanti per ognuno di voi, e sperava foste contenti. Vorrebbe che voi sceglieste le migliori destinazioni possibili, per potersi sdebitare, perché tanto vi cercano praticamente tutti».

Calò il silenzio sulla compagnia, si abbassarono gli sguardi, fu il Papu a prendere parola: «quindi finisce qui, niente bis, niente Europa: ci divideremo e ognuno prenderà la sua strada».

«Eh, ma benedetti figli. Quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto, ora possiamo scegliere se fare la storia separati o correre il rischio di non farla, aspettare domani e vedere che succede».

«Ma noi lo sappiamo benissimo che succede, domani», asserì Nagy in un perfetto italiano.

Quella stessa notte, dodici ombre salirono a gruppi di quattro su tre automobili, e si allontanarono da Catanzaro col favore del crepuscolo, diretti verso la Sila.

Da quella notte nessuno vide mai più, e nessuno seppe mai più niente, del Catanzaro dei miracoli.

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Un viaggio di Simone Vacatello

La copertina è stata realizzata da Fabio Imperiale

Le figurine del Catanzaro dei Miracoli sono state realizzate da Adriano D’Esposito

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