Il meraviglioso mondo di Michel

Crampi Sportivi
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10 min readMar 25, 2015

Candidato unico. Neanche le larghe intese in Italia erano arrivate a tanto. Michel Platini può festeggiare: le elezioni sono andate come previsto. Nessun avversario, nessuna opposizione al suo terzo mandato (come accaduto già nel 2011). Martedì l’Uefa lo ha confermato come suo presidente, dopo che due anni fa il francese aveva manifestato velleità per la Fifa (salvo rinunciarci).

Ma non è tutto oro quel che luccica: se il mondo si concentra su quanto accade con Sepp Blatter (poveri noi), è giusto tracciare anche un bilancio degli otto anni di presidenza transalpina all’Uefa. E in fondo non dobbiamo dimenticarci che Platini è sempre il vice-presidente della Fifa, quindi partecipa — anche se minimamente — in quanto accade a Zurigo.

Dopo aver inventato il fair-play finanziario senza applicarlo in maniera egualitaria, Platini ha pensato di riconfermarsi. Ambizioso il ragazzo. Del resto, era così anche da calciatore: tutti si ricordano quel savoir-faire e quella classe che lo hanno reso celebre con la Juventus e con la nazionale francese. Una sorta di “sotuttoismo” che è tipico dei grandi che non hanno modestia.

Tutti ricordano anche una foto che identifica il suo personaggio: lui, durante la finale di Coppa Intercontinentale, sdraiato e anche un po’ scazzato a causa di un bellissimo gol, annullatogli non si sa per quale motivo. Ci si dimentica spesso che Platini è stato uno dei pochi uomini a giocare con due nazionali: la maglia del Kuwait l’ha vestito solo per un’amichevole e dopo il ritiro, ma non si è fatto problemi a farlo.

Con lo stesso stile, ha cercato di farsi strada nei governi del calcio: prima nel comitato organizzatore di Francia ’98, è stato anche vice-presidente della Federazione francese, nonché presente in molti comitati Uefa e Fifa. Poi la vittoria nelle elezioni per la presidenza dell’Uefa nel 2007, quando sconfisse Lennart Johansson, un altro dinosauro delle cariche calcistiche (presidente della confederazione europea dal 1990 al 2007).

Platini tra Jacques Chirac e Lionel Jospin. Ma sopratutto davanti a Clemente Mastella.

Seeking Blatter

In realtà, le mire di Platini erano più alte. Due anni fa l’ex calciatore della Juventus lasciava intendere di voler correre per la poltrona più alta, quella della Fifa. Ancora oggi Sepp Blatter è presidente e si è candidato per la quinta volta, sebbene avesse promesso di dedicarsi ad altro. Platini ci ha poi ripensato, ma avrebbe avuto anche qualche chance. Tutti aspettano qualcuno che butti giù il vecchio Sepp.

Del resto, fare peggio di Blatter sarebbe stata dura. Lo svizzero non si è voluto far mancare nulla in 15 anni di presidenza. Ognuna delle sue elezioni — persino la prima — è marcata dal sospetto di corruzione. E che dire del Mondiale 2006? Blatter non presenziò alla cerimonia di premiazione dell’Italia per «paura di essere fischiato».

Ancora oggi il suo miglior momento alla presidenza della Fifa.

Un signore di quasi ottant’anni che ha paura dei tifosi, ma non di dire che le giocatrici dovrebbero equipaggiare pantaloncini più attillati per rendere il calcio femminile più interessante. Non ha timore nel corrompere altri membri della Fifa per farsi rieleggere, ma esita sulla moviola in campo.

Blatter ha criticato il Camerun per le magliette shirt-less del 2002 (ricordate il famoso stile della Puma?) e ha pronunciato frasi discriminatorie verso i tifosi omosessuali che potrebbero recarsi in zona araba per il Mondiale del 2022. Famosa la frase: «Dovrebbero limitarsi in alcuni loro comportamenti». E per quanto sta accadendo in Qatar per il Mondiale 2022 ci vorrebbe un capitolo a parte.

Un fantastico Ian Holloway, profeta dei nostri tempi.

The silver lining

Le Roi Michel non vuole esser da meno di Blatter nel regnare più a lungo possibile e ora, con questa nuova rielezione, può riuscirci. A suo modo, ha già rivoluzionato la Uefa con alcune proposte che si possono giudicare fallaci: tante idee, ma poche di esse hanno avuto un effettivo impatto sul panorama europeo. Una delle poche a salvarsi è stata quella di allargare i partecipanti all’Europeo da 16 a 24 squadre fin dalla prossima edizione.

Per l’edizione del 2016 in Francia, si avrà la prima competizione continentale con otto compagini in più. In fondo, l’Uefa ha 54 nazioni affiliate. Con questo nuovo sistema, se ne qualificheranno comunque meno della metà (meglio di quanto accade nella Concacaf o della Conmebol) e si avrà forse qualche esordio assoluto (il pensiero corre all’Islanda).

Non mi dispiace neanche il fatto che ci sia una maggiore rappresentatività in Champions League. Qualcuno osserverà che non gliene può fregare di meno che lo Zilina o l’Apoel Nicosia partecipino alla massima competizione europea. In fondo, però, non si può chiamare “Champions League” se a partecipare sono solo i soliti noti, non rappresentando al meglio l’Unione Europea del calcio.

Mitico Apoel Nicosia. Nel 2012 arrivò ai quarti contro il Real Madrid.

Les ombres du Michel

Tuttavia, le ombre sono maggiori rispetto alle luci che illuminano la gestione Platini. A cominciare della tecnologia. Nonostante le lamentele di molti addetti ai lavori, Platini — come Blatter — è contro la moviola in campo, colpevole di «degenerare il naturale flusso del gioco». Tutto questo nonostante Platini nel 1990 si fosse espresso a favore di tale tecnologia. L’Uefa è a tal punto contro che si è pure spesa in un comunicato a dicembre per ribadire il secco “no” alla tecnologia.

Platini vorrebbe introdurre anche l’espulsione a tempo o “cartellino bianco”, sul modello del rugby o della pallanuoto. Inoltre, il francese deve fronteggiare anche accuse di corruzione: nell’assegnazione dei Mondiali 2018 alla Russia, l’intelligence inglese avrebbe accusato Vladimir Putin di aver offerto un Picasso per comprare il voto di Platini.

«Papà Sepp, come ci si fa corrompere?»

Uefa Nations League

A questo, aggiungiamo la creazione della Uefa Nations League. Una sorta di terzo torneo continentale, da giocare prima della fase di qualificazione a Euro 2020 e a cadenza biennale. Le 54 nazionali verranno divise in quattro leghe in base al proprio ranking, con tre gruppi in ogni lega e meccanismi di retrocessioni e promozioni. Le vincenti della lega più alta accederanno a una Final Four Competion, da giocare nel marzo 2019 in forma di semifinali e finale per dare il titolo di Nations League champion.

In questa fase verranno anche decise le vincitrici di ogni serie. La creazione di questa lega cancellerà le amichevoli e molte nazionali si sono dette favorevoli. Ma questa competizione ridurrà il periodo delle vere qualificazioni per l’Europeo (solo sei mesi: da marzo a settembre 2019). Un inutile casino che porterà solo altri problemi, visto che ci saranno diverse partite giocate a livello altissimo e non ci sarà più spazio per gli esperimenti. Messaggio per i romantici: scordatevi la convocazione di Gennaro Delvecchio o del Cristiano Lucarelli di turno in nazionale.

Europa League, quanti problemi

Non dobbiamo dimenticarci dell’Europa League. Per noi romantici era la Coppa Uefa, che nel 1999 ha allargato il numero di partecipanti dopo l’abolizione della Coppa delle Coppe (sigh!). Nel 2012 Platini — dopo aver contribuito al cambio di nome della competizione — ha proposto l’abolizione dell’Europa League e l’allargamento della Champions League a 64 squadre.

Un progetto folle e complicato che per ora non ha avuto luogo, a causa delle problematiche che si porta a presso: andrebbe abolita la Supercoppa Europea e bisognerebbe accettare che la sesta della Serie A (un esempio) potrebbe vincere la coppa dalle grandi orecchie. Ok gli underdogs, ma qui entreremmo nel campo dell’esagerazione. Altro che la Grecia a Euro 2004. Tuttavia, il meglio (?) deve ancora arrivare.

Senza l’Europa League, vedreste di meno Gianni Infantino.

Eurasia (o Sudamerica)

Come detto, l’Europeo si sta riformando: nel 2016, diventerà a 24 squadre partecipanti. Nel 2020, però, Platini è già pronto per rendere la competizione europea per nazionali “itinerante”. Niente sede classica, bensì una sorta di circo itinerante, che si suppone possa rendere la manifestazione più interessante. L’impressione, guardandola da fuori, è che la renda più confusa.

Tra i candidati per l’edizione del 2020 c’erano pronti l’Inghilterra, la Scozia ed il Galles, ma a Platini non interessa. La dimostrazione pratica si è avuta quando è uscita la lista delle 13 città che ospiteranno le partite della fase finale. Nel 2020, si è deciso di lasciar fuori il Millennium Stadium di Cardiff o la Friends Arena di Stoccolma per far spazio al Baku National Stadium in Azerbaigian. E i soldi non contano nulla? Certo che contano. Se poi qualcuno fosse in grado di spiegarmi cosa c’entra l’Azerbaigian con l’Europa, alzi pure la mano.

La chiusura finale è per una proposta che farebbe impallidire l’incompetenza del buon Blatter: Platini ha parlato anche di un Europeo che potrebbe vedere la partecipazione di nazioni da altre confederazioni. Avete capito bene: Brasile, Argentina, Giappone e Messico ad una competizione europea. L’Europeo senza Europa. La logica senza il senso. Il pallone senza l’aria, uno stadio senza tifosi.

«La finale dell’Europeo è Brasile-Germania?»

La motivazione data dal numero uno dell’Uefa è che «i sudamericani lo fanno da decenni». Ci sarebbe da ricordargli che la Concacaf conta solo 10 membri: sono obbligati a invitare qualcuno, altrimenti diventa un torneo poco fornito. Poi cosa accadrebbe se Messi non vincesse il Mondiale, ma l’Europeo? Sembra una proposta pensata solo per lo spettacolo, oltre che uno scavalcamento delle confederazioni create.

A questo punto, c’è solo da augurarsi che qualcosa cambi nel mondo delle organizzazioni calcistiche. Quando però sono gli stessi a governare da decenni, le rivoluzioni sono difficili. Sarebbe bello che anche delegazioni di tifosi possano partecipare a queste decisioni, in modo tale che queste assurdità non vengano partorite e che la governante del calcio sia un po’ più vicina a chi tiene in piedi questo sport. Altrimenti, a quando la Coppa d’Africa con Tahiti? O la Copa America con la Corea del Sud?

Gli 11 valori

Viene da sorridere facendo un’ultima considerazione. Non ne ero a conoscenza, ma l’Uefa ha una sorta di guida con 11 valori ideali, perseguiti dalla confederazione europea. Analizziamone giusto un paio:

  • Unità e leadership. La UEFA prende le sue decisioni in un ambito di consenso generale tra i club e non attraverso dettami.

L’Uefa ha recentemente dato il suo appoggio alla decisione di giocare il Mondiale 2022 durante l’inverno. Un’operazione contrastata da tifosi e persino club europei: l’ultimo in ordine a lamentarsene è stato Karl-Heinz Rumennigge, presidente dello European Club Association. E la Premier annuncia una causa da record se verrà saltato il turno natalizio. Eppure l’Uefa di Platini non ha fatto una piega e si è già pure decisa la data della finale, il 18 dicembre. E dov’è il “consenso generale” in questo caso?

P.S. La famosa Uefa Nations League si giocherà un mese prima del Mondiale 2022. Immagino come non vedano l’ora le squadre europee.

  • Rispetto. La UEFA non tollera comportamenti violenti, episodi di razzismo e doping. Il rispetto verso tutti coloro che fanno parte del mondo del calcio è fondamentale.

Non so voi, ma a giudicare quanto visto in Feyenoord-Roma, Dinamo Kiev-Guingamp e Panathinaikos-Olympiacos (tre gare dell’ultimo mese), l’Uefa sta facendo un filo fatica. Senza per forza arrivare a quanto accaduto in Serbia-Albania, dove la toppa è stata peggio del buco. Risultato di 3–0 a tavolino assegnato in favore della Serbia, ma allo stesso tre punti tolti ai serbi: quasi kafkiano.

  • Fair play finanziario e regolarità delle competizioni. La UEFA approva e fa rispettare il fair play finanziario in modo che le competizioni siano sempre regolari dal punto di vista sportivo.

Il Fair-Play Finanziario, messo in atto dal 2014–15, è come una favola: non dovresti spendere più di quanto incassi, ma in realtà alcuni sembrano riuscire a scavalcarlo. Pensato nel 2009, l’intento era anche lodevole: impedire che alcuni club si suicidassero finanziariamente (vedi casi Portsmouth e Borussia Dortmund). Secondo uno studio di fine anni 2000, la maggior parte del debito era posseduto da tre campionati: Premier League, Liga e Serie A.

Le regole sono abbastanza chiare e c’è stato pure un piccolo rinvio dell’entrata in scena del FPF. Ciò nonostante, il modello creato dall’Uefa suscita diverse critiche. L’ingresso di magnati arabi (Manchester City e PSG) consente di aggirare queste regole e di evitare anche la questione etica riguardo a sponsor che supportino in tal maniera l’attività di società calcistiche.

Le risate di Al-Khelaifi, numero uno del PSG, quando Ancelotti gli parla del FPF.

In aggiunta, il modello non è stato adattato alla diversa tassazione che ogni paese ha: viene in mente il caso Monaco, perché a Montecarlo si ha una tassazione di gran lunga minore rispetto al resto d’Europa. E volendo analizzare la Serie A, essa contava una perdita di 900 milioni di euro di guadagno nel 2012. Perdita che non accenna ad arrestarsi e che rende incompatibile il modello di FPF per i club italiani. Nel 2010–11, Juve, Milan e Inter avevano in mano l’89% (252 milioni di euro) delle perdite totali del nostro campionato.

Per completare il quadro va aggiunto il caso del Malaga, comprato nel 2010 dal ricco Al-Thani e lasciato nel 2012 con i rubinetti chiusi. Se il Malaga è stato punito con l’esclusione dalle competizioni europee, altrettanto è stato fatto per il Besiktas in vista della stagione 2012–13, quando le regole del FPF sono entrate in vigore. Peccato che l’Uefa non abbia saputo specificare quale articolo abbiano violato. Tra le società che hanno visti trattenuti i propri premi in soldi ci sono l’Atlético Madrid e lo Sporting Lisbona.

I tifosi del Malaga l’han presa bene.

Eppure, quest’estate in Inghilterra c’è stata una spesa-record dei club: un miliardo di euro, ben 250 milioni in più rispetto all’estate 2013. Il doppio della Liga, il triplo della Serie A, otto volte la Ligue 1. Alla fine alcune restrizioni sul mercato sono arrivate per Manchester City e PSG, eppure nulla che toccasse la loro salute finanziaria. Al-Khelaifi, presidente del club parigino, afferma che il FPF è ingiusto.

In un certo senso, è vero. Non penalizza abbastanza chi scavalca la legge, se è vero che questo tipo di società continua a investire nonostante siano piene di debiti. Prendiamo la Liga, che si portava dietro un debito di cinque miliardi di euro nel giugno 2012. Insomma, un progetto con figli e figliastri che deve ancora perfezionarsi. Come Le Roi Platini, padrone dell’Uefa ma ancora figlio imperfetto di un calcio che deve maturare.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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