Il miglior Ds al mondo

Paolo Stradaioli
Crampi Sportivi
Published in
6 min readApr 10, 2017

Difficile isolare la componente soggettiva quando ci si appresta a fare delle valutazioni nel mondo dello sport. Vale per tutto ciò che è in grado di superare il coefficiente di passione di una gara di bocce in spiaggia. Per questo non si può affermare in maniera categorica che Ramón Rodríguez Verdejo in arte Monchi sia davvero il miglior direttore sportivo del pianeta. Tuttavia, in quanto mente in grado di soggettivizzare, posso affermare che secondo la mia opinione Monchi è il miglior DS al mondo.

Prima del suo arrivo, l’ultimo trofeo festeggiato dai tifosi del Sevilla FC risaliva al 1948. Un’altra era, un’altra vita. Quello che però risulta difficile da capire è che il Direttore Sportivo non ha studiato ad Hogwarts, non è un cavaliere Jedi e una volta finito il corso non gli viene consegnato il Guanto dell’Infinito Marvel. Quando Monchi viene interrogato sul segreto del Siviglia risponde con una parola: “Trabajo”. È banale? Certo, ma è l’unica via per conseguire dei risultati (non parlate di fortuna a Monchi, vi risponderebbe molto male). Per quanto il DS possa essere una figura competente e con un enorme senso pratico, se un giocatore non vuole accettare la proposta della squadra o se il Presidente non mette i soldi c’è poco da fare. Lo stesso Monchi più volte non intrattiene rapporti con giocatori ai quali è interessata una squadra con maggiore disponibilità. Non avrebbe senso e si rischia di perdere tempo per trovare l’alternativa migliore.

Costruire una squadra a Siviglia è sicuramente meno stressante che farlo a Barcellona o a Madrid ma è tremendamente più difficile. Per di più Monchi venne assunto nel 2000, quando la squadra versava in condizioni finanziarie pessime ed era scivolata in Segunda Division. Insomma una situazione molto diversa da quella che troverà a Roma.

Già perché in fondo quello che tutti ci stiamo chiedendo in questi giorni in cui il Siviglia ha ufficializzato la separazione dal suo DS è: quanto durerebbe in Italia? E ancora meglio: quanto durerebbe a Roma? Barcellona e Real Madrid lo coprirebbero d’oro, non è un mistero, ma l’idea professionale che guida Monchi da sedici anni a questa parte è un mix tra il libero professionista e il General Manager. Per oltre un decennio ha lavorato praticamente senza lo spettro del datore di lavoro, in totale indipendenza ha potuto costruire il suo staff ed affinare il mestiere, libero dall’ansia del risultato. Lui stesso ha dichiarato che quella della Roma è un’offerta allettante. Se alla fine sarà quella vincente avremmo l’opportunità di gustarci da vicino un maestro dello scouting il che non porta alla stupida equazione Monchi=scudetto.

Il primo trofeo lo ha vinto nel 2006 (Coppa Uefa), in campionato il miglior risultato è stato un terzo posto e nonostante l’encomiabile lavoro svolto nessuno si è mai sognato di candidare il Siviglia come una big del calcio europeo. Fissare gli obiettivi e “capire” il materiale a disposizione sono le prime due cose che secondo Monchi un comandante in capo dovrebbe fare. La Liga è praticamente impossibile da vincere? Ci sono le coppe. Il reparto offensivo degli altri vale più di tutta la mia squadra? Cerchiamo giocatori con caratteristiche diverse. C’è una frase che Billy Beane/Brad Pitt in Moneyball rivolge agli scout degli Oakland Athletics: “Se giochiamo a fare gli Yankees qui dentro, perderemo contro gli Yankees là fuori”.

La reazione del tifoso medio della Roma quando si è cominciato a parlare dell’ingaggio di Monchi

Adesso immaginiamoci uno scenario nemmeno così campato in aria. Monchi diventa il DS della Roma, nota che il bilancio non è particolarmente florido e il gruppo è mentalmente svuotato da quattro anni di vorrei ma non posso; vende i tre profili con più mercato ovvero Florenzi, Nainggolan e Manolas. I tifosi insorgono, la stampa parla di rebuilding e l’allenatore (altra annosa questione per Pallotta e soci) non commenta l’operato della dirigenza. Per sostituirli compra Karsdorp, riprende Pellegrini e promuove Marchizza in prima squadra. Preso atto di un paio di suicidi in zona Trastevere presenta altri due acquisti: Kasper Dolberg come vice Dzeko e Krychowiak, reduce dal flop al PSG e fedelissimo di Monchi, per puntellare il centrocampo. Magari questo è uno scenario prematuro e suffragato da niente, però quello per cui Monchi si è distinto in questi anni è lo sviluppo del settore giovanile e l’ossessione per il player trading. “Diciassette persone coprono una serie di campionati. Per i primi cinque mesi guardiamo un sacco di calcio senza un obiettivo preciso: semplicemente accumuliamo dati. Ogni mese facciamo un XI ideale per ogni campionato. Poi a dicembre cominciamo a guardare i singoli giocatori in diversi contesti per costruire un profilo il più possibile ampio”. Il modo in cui lavora è l’emblema di quello che vuol dire fare il Direttore Sportivo nel 2017.

A Siviglia ci vorrà del tempo per dimenticarlo…

Considerando soltanto i primi dieci campionati europei ci sono almeno 300 giocatori tecnicamente validi, adatti alle casse della Roma, interessati a giocare in Serie A e di conseguenza possibili candidati al ruolo. Tra questi l’obiettivo è trovare i quattro o cinque giusti da comprare nella sessione di mercato. Se pensate che ci sia ancora l’intuizione geniale dietro il lavoro di un direttore sportivo siete un po’ fuori tempo. Certo magari nel singolo dettaglio lo scout esperto può dire la sua e quindi far pendere l’ago della bilancia per un giocatore piuttosto che per un altro, anche Monchi prima di ingaggiare un giocatore vuole parlarci per capire le sue motivazioni e la sua voglia di giocare per la squadra. Tuttavia nessuna squadra, al di fuori delle prime 10 per fatturato può prescindere dal player trading. In questo gioco votato al massacro mediatico Monchi è un professionista, perché riesce sempre a trovare il profilo giusto che si adatta all’allenatore e alla squadra. E qui veniamo all’allenatore.

Con la situazione di Spalletti in bilico (per usare un eufemismo) la Roma dovrà scegliere la prossima guida tecnica con molta attenzione. Per farlo forse conviene aspettare la nomina del DS poiché senza comunione d’intenti tra le parti si rischia un Sabatini bis. Anche perché il modus operandi di Monchi comprende una sinergia con l’allenatore non negoziabile. “Coordinarsi con l’allenatore è fondamentale, ed è molto importante conoscere il club e sapere cosa può offrire la città e la squadra ai giocatori. Tu devi adeguare tutte queste cose con il tipo di giocatore che l’allenatore vuole allenare”. Non esiste il concetto di compartimenti stagni. Per Monchi il rapporto con gli uomini all’interno del club deve essere personale, dietro alla scorza fatta di dati e nomi batte ardentemente un cuore sevillista che ama il calcio e le sfide. Non si commetta infatti l’errore di ritenere Monchi il deus ex machina del calciomercato attento solo all’ultima riga del bilancio. Lo dice lui stesso: “Questo business non è vendere giocatori, è ottenere risultati. Negli stadi non si è mai sentito cantare per un bilancio florido”.

Dalla prima coppa Uefa del 2006 siamo a quindici finali e 9 coppe alzate al cielo, uno score pazzesco se si considera la storia del Siviglia, non esattamente un benchmark del calcio spagnolo dieci anni fa. Ha lasciato la città andalusa per sfinimento, consumato da una passione che lo accompagna da oltre trent’anni. I soldi non sono la sua priorità, quando è stato in Inghilterra ha potuto apprezzare la più grande macchina di marketing calcistico sul pianeta andare a braccetto con una gestione di quei soldi scriteriata quando si parla di calciomercato. Il calcio e l’amore per il calcio, quello sì che gli interessa. A Roma può trovarlo e potrebbe convertirsi anche alla Carbonara se tutto va per il verso giusto. I risultati lo accompagnano da un decennio, il suo mantra è quello che guida un uomo di campo più che un dirigente: “Convinzione, coraggio, passione”. Forse conviene mettersi comodi e godersi lo spettacolo. Dio solo sa quanta necessità ha il calcio italiano di persone come Ramón Rodríguez Verdejo.

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