Il miglior secondo al mondo

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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9 min readOct 27, 2015

Difficilmente si incontra nella lingua italiana un termine che ha una così diversa connotazione tra l’ambito comune e quello sportivo come “secondo”. Nel tempo, per esempio, il secondo è l’unità di misura fondamentale. Senza quell’unità facilmente rilevabile, faremmo molta fatica a misurare il tempo.

Invece, negli altri ambiti della vita, “secondo” è un termine negativo. Aggettivo, sostantivo, poco importa: se sei in una qualche maniera “secondo”, allora sei solo il primo degli altri. E nello sport questo pesa.

«Il secondo classificato è solo il primo degli sconfitti» — D. Earnhardt

In qualunque sport individuale perdere fa male, specie se sei arrivato fino in fondo. Tuttavia, nelle discipline di squadra essere secondi può voler dire anche esser il “secondo violino”, il miglior attore non-protagonista, il Robin di un certo Batman.

Chiedete a Scottie Pippen cosa abbia voluto dire esser stato un grandissimo giocatore di basket ed esser ricordato ancora oggi principalmente per esser stato il secondo di Michael Jordan. Potreste domandare la stessa cosa a Lou Gehrig con Babe Ruth o a Venus Williams nei confronti della sorella Serena.

Solo questi 15 secondi dimostrano quanto il concetto sia ormai radicato.

Esser secondi non piace (quasi) a nessuno. Poi c’è uno sport come la Formula 1, nel quale quelle due realtà si mischiano. In macchina si è soli, ma la classifica costruttori è quella che manda avanti le scuderie. Con i soldi incassati dai due punti di Bianchi a Montecarlo 2014, la Manor oggi può ancora partecipare al Mondiale.

E allora esser “secondi violini” in Formula 1 è forse la più infame delle offese per chi in realtà coltiva sogni di titolo. Con la l’ennesima (e rocambolesca!) vittoria ottenuta ad Austin, Lewis Hamilton ha conquistato il terzo Mondiale della sua carriera. L’inglese raggiunge nomi importanti, tra cui c’è quello del suo mito. Dopo aver battuto il suo record di vittorie, Hamilton ha eguagliato anche gli allori iridati di Ayrton Senna.

In tutto questo, però, non credo che ci sia bisogno di enfatizzare ancora l’assoluto talento di Hamilton (per altro, l’abbiamo già fatto l’anno scorso). Forse è il caso per una volta di vedere la cosa dal punto di vista di quello che (forse) non vincerà mai.

All’alba dei suoi trent’anni, Nico Rosberg comincia a farsi qualche domanda.

Un background eccellente

Tedesco classe ’85, Nico ha doppia nazionalità e parla quattro lingue (tra cui l’italiano). Ed è il figlio del finlandese Keke Rosberg, iridato nel 1982. Anno strano quello: Rosberg sr. vince il titolo facendo una sola pole position e vincendo un solo GP, quello di Svizzera. Lo fa con la sua Williams, la stessa scuderia che lancerà suo figlio 24 anni più tardi.

Che Nico sia più talentuoso del padre si vede quasi da subito. Campione uscente di GP2, alla prima gara in F1 realizza il giro più veloce del GP di Bahrain. Rosberg trascorre quattro stagioni con la Williams, dove riesce a ottenere due podi e migliora di anno in anno. Con l’uscita di scena del motore Toyota, Rosberg capisce che è il momento di cambiare aria.

Con una macchina migliore, forse Rosberg potrebbe seriamente puntare a risultati più importanti. Così il tedesco lascia la Williams e si trasferisce alla neonata Mercedes, che ha deciso di tornare in Formula 1 raccogliendo ciò che rimane della BraunGP, la scuderia che ha vinto nel 2009 sia il campionato piloti che quello costruttori.

E qui Rosberg comincia una dura con l’etichetta di “secondo”. Già, perché a Stoccarda non hanno solo decido di rientrare in Formula 1, ma di farlo col botto. Per cui, oltre all’ingaggio di Rosberg, viene annunciato il ritorno di Micheal Schumacher, da quattro anni ormai fermo ma voglioso di rimisurarsi con i motori a 41 anni.

«Vincere non è tutto, ma batte qualunque cosa al secondo posto» — W.C. Bryant

Battere una leggenda

Macchina tedesca, motore tedesco, due piloti tedeschi. La Germania sogna di poter tornare protagonista, magari dominando in lungo e in largo. Ma le cose partono subito male tra i due: all’epoca la F1 prevedeva la numerazione in base ai risultati della stagione passata. Sarebbe stato naturale vedere Rosberg con il “3” sul musetto e Schumacher con il “4”.

Invece, forte del suo passato, Schumi fa invertire i numeri. In realtà, sarà una delle poche soddisfazioni racimolate dal sette volte campione del mondo nel suo secondo stint in F1. Rosberg si dimostra più in palla, mentalmente pronto a sfidare uno del suo calibro. Anche nelle pubblicità, dove gli uomini del marketing in Mercedes avevano già avuto occasione di mostrare la loro arguzia pubblicitaria (ve li ricordate Alonso e Hamilton in McLaren?).

«Non esiste qualcosa come il secondo posto: o sei primo o non sei nessuno» — G. Paul

Il confronto è impietoso: in tre stagioni insieme, Schumacher accumula rispettivamente 70, 13 e 44 punti di ritardo dal più giovane compagno di squadra. Rosberg fa quattro podi e vince una gara bruciando il grande vecchio in partenza, mentre Schumacher racimola appena una pole e un podio abbastanza rocambolesco a Valencia nel 2012.

I problemi semmai sono altrove: la Mercedes va piano. Una gara vinta in tre anni non è il massimo per chi aveva ben altri piani al rientro in F1. Tanti soldi spesi, ma la macchina non riesce a gestire le gomme e va in crisi dopo pochissimo tempo. Bisogna cambiare qualcosa e sperare che l’introduzione dei motori ibridi nel 2014 porti qualche novità.

Una cosa la sanno fare bene tutti e due: guidare a Montecarlo.

A fine 2012 Schumacher si ritira una seconda volta e la Mercedes lo sostituisce con un nome ancora più pesante: Lewis Hamilton. Rosberg sa che sarà l’ennesima sfida per dimostrare che non sarà il secondo dell’inglese, ma intanto si prende in casa un amico, un ragazzo che conosce sin da quando erano piccoli.

Forse lo sanno entrambi, ma non hanno preso ancora piena coscienza del fatto che stanno per vivere da separati in casa. Una sorta di “Red & Toby” della Formula 1, in cui l’amicizia accumulata negli anni precedenti andrà messa da parte. Per ora si sorride, ma i contrasti sono dietro l’angolo.

Amici nemici

Come sospettato, il rapporto tra i due viene subito messo alla prova. Il 2013 è l’anticamera del successo per la Mercedes: soffre ancora con le gomme, ma le prestazioni in qualifica sono molto buone. Non è un caso se Sebastian Vettel vince il suo quarto Mondiale e 13 gare, ma la Mercedes porta a casa ben otto pole.

Se Hamilton vince la sfida in qualifica (5–3), in gara Rosberg ottiene risultati più tangibili. Due le vittorie del tedesco (a Monaco e Silverstone), una sola quella dell’inglese (in Ungheria). Nonostante Hamilton arrivi davanti al compagno in classifica, ogni tanto l’inglese soffre l’amico di sempre. Come in Malesia, dove il podio è un regalo della squadra all’inglese.

Qui andava ancora tutto bene. O quasi.

La verità però è che ci sono altre due fasi da quel 2013. Se la prima è stata una convivenza semi-pacifica, la seconda ha portato alla rivalità assoluta, in cui si è persino arrivati a negare il passato. Famosa la frase di Hamilton dopo le qualifiche di Monaco 2014: «Io e Nico? Non siamo amici, solo colleghi». Forse era ancora infastidito dal modo in cui Rosberg si era portato a casa la pole.

Rosberg non si è tirato indietro. Monaco a parte, ha tirato fuori un lato che non conoscevamo di lui, ma necessario per vincere il Mondiale. Monaco è stato l’inizio, mentre in Belgio il tedesco si è giocato l’ultimo mind-game, che però ha paradossalmente tirato fuori tutta la rabbia e il talento di Hamilton dalla gara successiva.

«Il vincitore prende tutto. (Se arrivi secondo) non vinci l’argento, perdi solamente l’oro» — D.G. Eisley

La terza e ultima fase è quella in cui viviamo. Hamilton forse non lo fa neanche apposta, ma non dà la sensazione di “temere” Rosberg. L’inglese ricorda quei giocatori accaniti di PES o di Tekken che sono pronti ad ammazzare l’amico di turno, mostrando però un atteggiamento a metà tra la modestia e l’accondiscendenza. Un ultimo esempio è arrivato dopo la conquista del titolo costruttori, quando Lewis ha definito Nico «il compagno perfetto».

E se non lo si può cogliere dalle sue parole, parlano gli atteggiamenti di Hamilton. Si è fatto biondo. Ha girato mezzo mondo, trascorrendo le vacanze tra gli Stati Uniti e le Barbados. Ormai sembra più attento alle passerelle che alla pista. Eppure i risultati arrivano e lui può tranquillamente dimostrare la sua superiorità anche in conferenza stampa.

Così Rosberg non può neanche lodare il suo stile di vita, se poi i risultati non arrivano e lui è sempre secondo. Difatti, il tedesco prima è stato preso in giro anche da Vettel e poi è apparso sempre più nervoso. E anche ad Austin, mentre Hamilton era coperto da una bandiera inglese e cazzeggiava amabilmente con Vettel, Rosberg non l’ha presa bene.

Qui un esempio. Anche se un tedesco che prende in giro un altro tedesco è uno scenario che difficilmente avrei immaginato.

2014: occasione mancata

Più passa il tempo, più si ha l’impressione che Rosberg abbia già perso il suo treno migliore. La stagione 2014 ha dimostrato come una macchina possa dominare un campionato e comunque rendere interessante la lotta al titolo, a differenza di quanto visti nei domini Ferrari e RedBull degli anni 2000.

Rosberg ha avuto il merito di sapersi adattare alle situazioni. Ha dimostrato un passo in qualifica migliore di Hamilton (undici pole contro le sette dell’inglese) e fino al GP d’Italia probabilmente aveva l’inerzia dalla sua parte. Il tedesco ha disputato la miglior stagione della sua carriera, ma il problema è che nelle battaglie uno contro uno è sembrato sempre inferiore.

L’esempio più lampante: macchina uguale, momento simile, ma Hamilton la spunta.

Battuto con onore in Bahrain, finito dietro di sei decimi in Spagna, messo all’angolo in Italia, in Giappone e ad Austin. Sembra quasi che a Nico sia mancato l’elemento fondamentale per vincere un titolo quando c’è una macchina superiore e due piloti che possono combattere fra di loro: la cattiveria.

L’aver perso il titolo nel 2014 colloca Rosberg — forse definitivamente dopo questa stagione — in un circolo in cui non sarebbe voluto mai essere. Ma la storia insegna che quando si perde una grande occasione, solitamente la cosa lascia il segno. È successo già ad altri e probabilmente sta succedendo anche a Rosberg.

«Vincere non è tutto: è l’unica cosa che conta» — H.R. Sanders, poi usata da V. Lombardi

Il più forte non-campione del mondo della storia

Immaginate questo scenario: mettete su uno stesso circuito con macchine identiche Felipe Massa, Rubens Barrichello, David Coulthard, Mark Webber e Nico Rosberg. Tutti questi signori hanno avuto un astronave nelle mani in alcune fasi della loro carriera, ma è probabile che a vincere questa corsa immaginaria sarebbe proprio il tedesco, che tra questi ha dimostrato finora di avere il talento migliore.

A dirlo sono i dati. Dopo Austin, Rosberg ha alcuni record nelle mani tra i piloti che non si sono MAI laureati campioni del mondo. In questa ingloriosa categoria, il tedesco ha il maggior numero di pole in assoluto (19) e in una stagione (11), la migliore striscia di podi consecutivi (9) e in un anno (15). E chissà quante statistiche potrà ancora migliorare negli anni a venire, visto che la Mercedes rimarrà la macchina da battere nel 2016.

Si è anche tramutato tifoso del Napoli per un giorno.

E il futuro? A trent’anni, Rosberg ha sempre più il profilo di quello che il Mondiale non lo vincerà mai. E quindi nonostante sia molto più dotato delle altre “seconde guide” che abbiamo citato, anche lui rimarrà (probabilmente) a bocca asciutta per Mondiali vinti. Tutto questo mentre il mondo attende un duello Vettel-Hamilton e vede Rosberg con un effetto collaterale del dominio Mercedes.

Sono due i motivi per i quali ci si può lanciare in un pronostico del genere. Il primo è la rinascita della Ferrari, che non permetterà alla Mercedes di dominare a lungo. Il secondo sta nel fatto che il 2014 è stata la migliore occasione che Rosberg avrà mai nella sua carriera, nonostante lui si dica già pronto per il 2016.

E allora viene da chiedersi se questa chance potrà mai tornargli, specie da compagno di squadra di Lewis Hamilton. Ma vale la pena separarsi dalla macchina più forte del Mondiale e da un ricco contratto rinnovato solo un anno fa? Un dilemma infinito, che neanche tutti i secondi a vostra disposizione potranno mai risolvere.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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