Il Milan che non c’è

Crampi Sportivi
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6 min readMay 8, 2018

Un comunista coi soldi: ecco come qualcuno definirebbe Sarri. Il tecnico toscano è forse la forma mainstream e più paradossale di quel sentimento romantico del calcio come sport di cuore e passione, inevitabilmente contrapposto alla fame di guadagnare e superare ogni collega o professionista del settore. Perché in effetti, quando Sarri ammise l’anno scorso “punto ad arricchire il mio contratto”, non è che abbia propriamente scelto la via ascetica della sinistra operaia, anzi.

Tuttavia, Sarri è un professionista serio e uno dei migliori allenatori d’Italia, vincitore nel campionato passato della “Panchina d’Oro” della Serie A e tecnico della formazione attualmente seconda in classifica. Se si ricorda che Jorge Sampaoli è stato apostrofato da un suo collaboratore come “scorretto” perché colpevole di fare il lavoro degli altri a prezzi stracciati (“Sampaoli è un uomo senza morale: ti dice che può allenare il tuo club a 300 mila euro l’anno quando tutti gli altri pretendenti prendono un milione. Fa il tuo lavoro a un prezzo minore”), allora Sarri è ampiamente legittimato a chiedere, tra un poster di Che e una tuta sgualcita, un ricco contratto a qualsivoglia presidente. Pure a Berlusconi.

La calda estate 2015 è un periodo calcistico italiano di discreti cambiamenti. Benitez ha lasciato Napoli, la Juve ha appena perso una finale di Champions League e le milanesi hanno fatto coming out sulle rispettive stagioni fallimentari. Sono già alcuni anni che Milano non riesce a estrarsi da quell’apatia di grandi successi che contraddistingueva la capitale del calcio italiano per eccellenza. Mentre l’Inter confermava Roberto Mancini dopo che Fassone aveva eliminato il contratto di Mazzarri, Berlusconi affidava nuovamente a Galliani un GPS tecnico per trovare un nuovo allenatore. Inzaghi si era auto-squalificato dopo il 10° posto in campionato e una ridicola conferenza post-partita di Milan-Empoli 1-1, proprio contro Sarri (“Il Milan non può pensare di fare la partita contro l’Empoli, l’Empoli è una grande squadra e gioca un bel calcio”).

A quel tempo, Sarri e Mihajlovic erano due grandi allenatori del campionato italiano: il toscano era un malato della tattica, del calcio palla a terra e della fatica sul campo. Quest’ultimo elemento era condiviso col tecnico serbo, che con la Sampdoria era riuscito a sfiorare le quote europee, mancando di poco il bersaglio Europa League. Sia De Laurentiis che Berlusconi si invaghiscono dei due tecnici ed entrambi, allo stesso modo, sono indecisi. Mihajlovic tenta il patron del Napoli più di Sarri, e viceversa Sarri con Galliani (Berlusconi ancora è un po’ contrario al sarrismo, ma comunque lo apprezza). Alla fine, però, le strade si sono invertite. Sarri viene arpionato da De Laurentiis, che alla fine arriva prima di Galliani: il Milan ripiega su Mihajlovic e compie una rivoluzione da 100 milioni, con cui compaiono a San Siro Bacca, Bertolacci, Romagnoli, Luiz Adriano e una schiera di giovani non proprio noti.

Una rara immagine di Maurizio Sarri in borghese nei primi periodi napoletani.

E in questi giorni finali del campionato 2017–18, Milan e Napoli vivono ancora situazioni diameteralmente opposte: con diverse sliding doors, avrebbero potuto essere (forse) a parti invertite. Abbiamo voluto immaginarle.

Sarri arriva a Milano osannato da critica e media, con il naso storto di qualche opinionista (“Un fuoco di paglia, non è pronto per il Milan”) e chi addirittura la spara grossa (“Il Milan con Sarri vince il campionato”). Arriva a Milano con il treno, mezzo proletariatamente romantico e vista l’Alta Velocità pure più comodo dell’auto. La conferenza stampa è abbastanza neturale: dopo le frasi di circostanza e la promessa di un mercato solido (ma neppure abbiente), si dichiara che l’obiettivo è il ritorno in Champions League. Intanto, tre giorni prima, a Castel Volturno era stato presentato Sinisa Mihajlovic in pompa magna da De Laurentiis. L’entusiasmo, però, non è lo stesso visto a Milano. Berlusconi benedice Sarri e la sua bravura (“A Mediaset sarebbe un gran lavoratore, ma dovrebbe lavorare sulla figura. I miei tecnici devono essere eleganti come il loro presidente”).

La prima di campionato è Fiorentina-Milan. Sarri inizia con un pareggio un po’ deludente: Milan in palla e giocatori ancora senza l’adeguato rodaggio tattico per gli schemi del tecnico toscano. Così dalle colonne dei giornali si alzano i primi venti di critica. La seconda in casa con l’Empoli è un netto 3–0 che fa sorridere (a malincuore) Sarri, nonostante le critiche per i continui ritardi sul miglioramento del gioco, che — come quello dei tempi della Toscana — , ancora non si vede. Ma il Milan vince. Alla terza c’è subito il derby contro Mancini, che passa in vantaggio ma poi soccombe contro un Milan finalmente bello e convincente. A San Siro capiscono che si è aperta una breccia nei risultati e nel gioco, le speranze trovano finalmente qualcosa con cui nutrirsi.

Il Milan vince tante partite, il rapporto con Balotelli sembra sereno e segna pure alcuni gol; Sarri ha persino fatto richiamare Saponara e l’ha messo dietro le punte, così Berlusconi — finalmente! — ritrova il famoso trequartista dietro gli attaccanti. Bacca realizza i suoi gol, ma è un bel caratterino e con Sarri va peggio che con Balotelli (incredibile, ma vero). La prima stagione, giocata con il 4–3–1–2, vede il Milan arrivare quarto per un soffio, con la Champions che sfuma all’ultimo. Ma almeno torna l’Europa a Milanello e Sarri viene osannato dalla stampa come l’uomo che ha rilanciato il Milan. Dopo i sei mesi in prestito al Genoa, torna anche Suso e Sarri inizia a pianificare il suo passaggio al 4–3–3 con Balotelli unica punta e un centrocampo più tecnico. In tutto ciò, Bertolacci ha giocato male (come nella realtà).

La stagione 2016–17 — quella che nel reale corso delle cose ha visto l’arrivo di Montella dopo il fallimento di Mihajlovic — , inizia in sordina, con una squadra rigenerata dall’arrivo in Europa e la consapevolezza di essere finalmente tornati grandi. Berlusconi è entusiasta del nuovo Milan, anche se quel Sarri, che continua ad andare in giro in tuta, un po’ lo infastisdisce con l’idea dei tre attaccanti senza “10”. Fra il Cavaliere e Sarri è nato un rapporto di odi et amo, un continuo elogiarsi e punzecchiarsi a vicenda, finendo sempre con Sarri e Berlusconi che si abbracciano e passeggiano insieme per i boschi di Milanello: un idillio sportivo.

Se Sarri fosse andato al Milan nel giugno del 2015, probabilmente la Serie A si sarebbe vista stravolta nel suo ultimo triennio. Il Milan — società blasonata e da tempo con l’ottica di tornare grande come un tempo — , forse avrebbe persino mantenuto la stessa proprietà. Magari, con l’allenatore toscano, si sarebbe potuto arrivare anche a un trofeo più importante della semplice e seppur rispettosa Supercoppa Italiana di Doha. Di fatto, Berlusconi si sarebbe convinto a rimanere presidente del Milan. E per di più il Milan avrebbe riacquisito lo status symbol di “club del bel gioco”, attirando campioni di livello internazionale dai tempi pre-ancelottiani. Soprattutto si sarebbe nuovamente creato quel legame allenatore-presidente che al Milan non si vedeva dai tempi di Sacchi.

Ricordando l’humiltè di Crozza, impossibile non sottolineare il fattore operaio e lavoratore di Sacchi, anche lui piccolo e con pochi capelli e provinciale (le affinità iniziano a essere troppe. Affinità apprezzate anche dai due protagonisti del paragone). Come Sarri, Sacchi predicava il lavoro sodo e il bel gioco palla a terra; anche lì le frizioni con Berlusconi non mancarono, ma allo stesso modo, non si estinsero nemmeno i risultati. Certo, a livello iconico Sarri e Sacchi sono diversi, anche per la famosa questione dell’orologio (sempre di Crozza), eppure sul piano filosofico e rivoluzionario i due — uno toscano, l’altro romagnolo: terre di derviazione “rossa” — sono stati sempre sullo stesso pezzo.

Sarri al Milan sarebbe stato il ricongiungimento storiografico che avrebbe confermato nuovamente come la Storia — ce lo ricorda Vico — si ripresenti ciclicamente.

Ci avrebbe guadagnato sia il Milan che Berlusconi, e ovviamente pure Sarri, che con un club del norde — come dice lui — e un portafogli più ampio avrebbe potuto raggiungere nel giro di due-tre anni quel risultato e quell’iconografia internazionale che col Napoli (anche per sue scelte) non sono arrivate. E se il Milan, dal canto suo, sarebbe tornato in Europa prima e meno tortuosamente, Berlusconi probabilmente avrebbe risuonato la carica in periodi elettorali più di quanto le recenti elezioni non abbiano dimostrato. Il tutto grazie al rapporto (inesistente) tra il Milan e Sarri, che agli occhi del Cavaliere, sarà sempre e soltanto un povero comunista. Col rolex.

Articolo a cura di Riccardo Belardinelli Incastrato negli studi letterari, tra i Talking Heads e Philip Roth c’è tempo anche per le cose serie: il calcio.

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