Il mito della Parigi-Roubaix: la foresta di Arenberg
Secondo Francesco Bevilacqua l’origine del termine Genius Loci resta ancora oggi incerta. Solitamente in passato, nell’epoca romana, il Genius Loci era un’entità soprannaturale legata ad un luogo ed oggetto di culto da parte del popolo. In epoca moderna questo termine è stato adottato sia in architettura, come trasposizione concettuale per un approccio fenomenologico allo studio dell’ambiente, che in antropologia e nelle scienze sociali: per indicare le caratteristiche socio-culturali che caratterizzano un determinato luogo, ambiente, e città.
Nel ciclismo ogni corsa — ma sopratutto ogni classica — nasce intorno ad un Genius Loci, ad un tratto significativo in grado di esprimere l’identità del luogo e della gara stessa, e in grado di sedimentare una memoria collettiva diffusa che scolpisce l’immaginario di chi ne prende parte: sia come protagonista che semplice spettatore. Ci sono diversi esempi di questo tipo: per la Milano-Sanremo possiamo citare il Poggio, per la Freccia di Vallone il Muro di Huy, per il Giro delle Fiandre il Paterberg, per la Parigi Roubaix la Foresta di Arenberg, ed infine le grandi montagne che caratterizzano ogni grande corsa a tappe: lo Zoncolan per il Giro d’Italia o l’Alpe d’Huez per il Tour de France.
Noi vogliamo rendervi partecipi di questi luoghi, di questi brevi tratti che da decenni contribuiscono a rendere alcune corse un “qualcosa in più”. Siamo già entrati nel vivo di questa stagione, ed è per questo motivo che inauguriamo una nuova rubrica: non più la solita presentazione del percorso e dei suoi protagonisti — ce ne sono già parecchie di questo tipo — ma iniziare a capire cosa ci sia dietro ad una gara, perché alcune parti di un percorso — spesso brevi di soli pochi km — contribuiscono ad incorporare l’immagine stessa di una corsa di oltre duecento km ? perché un luogo è così significativo da rendere i suoi protagonisti degli eroi ? delle persone che non gareggiano semplicemente ma si trasformano in soldati pronti ad affrontare una personale battaglia: vincere se possibile, ma soprattutto uscirne incolumi.
Oggi iniziamo con la Parigi Roubaix e la Foresta di Arenberg.
La foresta di Raismes-Saint-Amand-Wallers, situata a nord ovest di Valenciennes, piccolo comune nel nord della Francia, conta circa 4600 ettari. Una distesa enorme di territorio attraversata da cervi, cinghiali, e da una grande riserva biologica avvolta dalle file eleganti di faggi e querce, l’arredo tipico di questo habitat. Su 4600 ettari di terreno tuttavia solamente 2300 metri hanno scolpito l’immaginario dei francesi: la Foresta di Arenberg.
Quando agli inizi del Novecento Louis Minart, caporedattore del giornale sportivo Le Velo, decise di organizzare una gara ciclistica con l’arrivo nel nuovo velodromo di Roubaix, chiamò Victor Breyer, il redattore della rubrica di ciclismo, affidandogli il compito di provare una parte del percorso che aveva in mente. Victor Breyer accettò e, dopo una giornata passata in sella ad una bici sotto la pioggia e i numerosi tratti in pavé, prese una decisione irrevocabile: spedire un telegramma al proprio direttore per comunicargli che la Parigi Roubaix era una corsa che semplicemente non doveva essere organizzata, definita addirittura come un “progetto diabolico”.
Fortunatamente Breyer cambiò idea e la Parigi Roubaix fu inaugurata ufficialmente nel 1896 con la vittoria dell’olandese Josef Fischer.
Duemilatrecento metri dicevamo all’inizio, meno di tre km che attraversano la foresta di Raismes, un lungo tratto in pavé che taglia in due parti l’enorme distesa di alberi. Una galleria all’aperto: dritta, senza curve, immersa in uno scenario uscito da un racconto di Tolkien. In fin dei conti un piccolo tratto, considerati gli oltre 250km del percorso, ma, nonostante questo, il momento più difficile in assoluto: cadute, forature, corridori che si trasformano in cowboy costretti a domare la propria bici come un cavallo impazzito attraverso un esercizio di equilibrio energico e raffinato allo stesso tempo. La Foresta di Arenberg è uno dei tre tratti di pavé della Parigi Roubaix — insieme a quello di Mons-En-Pévèle e al Carrefour de l’Arbre — classificato a cinque stelle: cioè, i più difficili di tutti.
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Sembra strano ma è così: nonostante gli ottantacinque km che sperano ancora i corridori dall’arrivo spesso è qui che si decide la corsa. Ed è anche per questo motivo che la Foresta di Arenberg è l’unica parte della Parigi Roubaix dove gli organizzatori ogni anno montano transenne e balaustre ai margini della strada per mantenere la folla distante dai corridori: la foresta di fatto, si trasforma in uno stadio a cielo aperto.
Nel 1981 Bernard Hinault dopo aver vinto la Parigi Roubaix definì la corsa in questi termini mantenendo fede alla promessa data:
“Questa non è un corsa ! Questa è una porcheria ! Non la farò mai più.”
Sarebbe inutile descrivere a quale sforzo vengono sottoposti i corridori durante la Parigi Roubaix e soprattutto a quali difficoltà vanno incontro mentre attraversano la Foresta di Arenberg. Forse, per rendere meglio l’idea, è utile riportare le considerazioni di chi ne ha vinte tre di Parigi Roubaix: Eddy Merckx.
A proposito di tutti quei corridori che decidevano di non inserire questa corsa tra gli obbiettivi della stagione, perché considerata adatta unicamente a degli specialisti, Eddy Merckx tagliò corto:
“Datemi retta: non credete a tutte quelle balle che dicono sulla preparazione. Se non la fanno è perché hanno paura. Perché alla sera, quando tornano in albergo, non vogliono avere la schiena a pezzi e le mani che tremano ancora come quelle dei vecchi”.