Il Muro di Huy, semplicemente troppo duro
Il chilometro più lungo di tutta la stagione ciclistica, quest’anno, farà danni anche d’estate. Tradizionale arrivo della Freccia Vallone, grande classica di primavera, il Muro di Huy è prestigioso arrivo della terza tappa del Tour de France 2015. “Due minuti di sofferenza”, dice Philippe Gilbert, grande assente di questa edizione della Grande Boucle.
Due minuti, certo. Per lui e pochi altri, forse. Per il grosso del gruppo quel tempo va raddoppiato, per alcuni triplicato. E allora la sofferenza, sul muro di Huy, assomiglia più che altro a una sadica tortura.
Pensate un attimo al Belgio: certamente state visualizzando litri di birra e tonnellate di patatine fritte. Probabilmente anche cieli grigi e pioggia copiosa. Mai vi verrebbe in mente di associare un episodio di siccità a una cittadina della Vallonia, sulle rive della Mosa. Nemmeno gli stessi abitanti di Huy, nel 1656, sapevano come affrontare una prolungata e catastrofica penuria di acqua piovana. Allora decisero di rivolgersi direttamente a Notre-Dame de la Sarte, protettrice del borgo, venerata in una cappella in cima a una collina. Ritornò a piovere, e i paesani decisero che ogni sette anni avrebbero festeggiato la Madonna portando in processione la sua statua (che era stata ritrovata qualche decennio prima in un bosco, e che aveva prodotto diverse guarigioni miracolose) lungo la ripida stradina che collega la collina della Sarte al centro di Huy.
Sul percorso, poco più di un chilometro di lunghezza, furono costruite sei cappelle intitolate a sei dei sette dolori della Vergine: ciascuna di esse è una tappa intermedia dove i pellegrini possono prendere fiato lungo l’ascesa verso il piccolo santuario. “Chemin des Chapelles” è tuttora il vero nome del terribile tratto di strada noto ai ciclofili come “Muro di Huy”. Come sempre, se si può salire, allora si può salire in bici. Nel 1983, gli organizzatori della Freccia Vallone decisero cha la loro giovane classica, la minore tra quelle delle Ardenne (è incastrata tra l’Amstel Gold Race e la Liegi-Bastogne-Liegi), si sarebbe conclusa lì, sulle rampe del muro di Huy. Trasformandolo in un monumento del ciclismo.
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Poco più di un chilometro, dicevamo. 1300 metri per la precisione, ma solo gli ultimi 800 sono realmente infernali.
Si comincia lungo il fiume, al 7%. Dopo cento metri, la strada spiana quasi del tutto, poi torna a salire al 5–6%. Dopo una svolta a destra, la prima cappella. E un segnale stradale inequivocabilmente atroce: 19%. Vien voglia di scendere di bici e fermarsi a pregare, per quello che verrà dopo. Subito un tratto all’11%, poi la strada si restringe improvvisamente. Kim Kirchen, vincitore della Freccia Vallone nel 2008, avverte: “Chi vuole vincere, lì non può essere oltre la quindicesima posizione”.
Sull’asfalto, la pittura bianca è una litania che ricorda ai ciclisti dove si trovano, se mai ce ne fosse bisogno. Huy, Huy, Huy, Huy. Ed ecco comparire all’orizzonte la maledetta curva a S. Quaranta metri, non di più, ma la pendenza è quella della rampa di un garage: 26%. Se non sei in forma, qui ti fermi e procedi a piedi, perché il respiro ti si spezza e le gambe ti si impastano. Ti fanno male pure petto e braccia, per la fatica di rimanere in equilibrio. Aneli unicamente a una spinta (una gran bella spinta), oppure a un motorino.
Mario Aerts ha vinto qui nel 2002: “Ci sono così tante persone intorno, che sembra di essere nel bel mezzo di un concerto rock, o di una partita di calcio. Non ho mai provato così tanto dolore e così tanta estasi contemporaneamente.” Ma non è finita. Il serpentello è un filtro, che respinge chi bluffa. Chi ne ha ancora, può dare fondo alle ultime energie sul tratto finale, duecento metri al 10%, dove la vista della settima e ultima cappella (quella della statua miracolosa) fa realizzare che, forse, può esistere una salvezza anche dopo l’agonia di Huy.
In cima (si fa per dire, siamo a 200 metri sul livello del mare) è una questione di pura forza. Tutti pedalano il loro rapporto più agile, c’è poco da studiarsi.
Il primo in assoluto a vincere a Huy è stato Bernard Hinault, nel 1983, capostipite di una serie di arrampicatori selvaggi, da Criquelion a Jalabert, da Armstrong a Evans. Le ultime due edizioni della Freccia Vallone sono state appannaggio di Valverde, uno che sembra progettato per un arrivo così e che è il favorito d’obbligo anche per la tappa di oggi.
La Anversa-Huy, in effetti, è un’autentica classica, finita quasi per caso all’interno del percorso di un grande giro. Oltre al muro finale, sono tre le côtes che il gruppo affronterà in 160 chilometri tra boschi e miniere di carbone. La vittoria se la giocheranno tutti quelli che amano gli sforzi brevi ed intensi (Van Avermaet, Martin, Kwiatkowski, Rodriguez, Rui Costa), ma gli uomini di classifica — dopo che ieri la dichiarazione di guerra è stata ufficialmente consegnata alle varie delegazioni — non resteranno certo a guardare. Anche solo prendere lo strappo finale nelle posizioni buone, sarà un’impresa.
Uno che non è mai riuscito a spianare la verticalità estrema di Huy, sacra abbuffata di sudore e imprecazioni, è Paolo Bettini. La sua definizione del Cammino delle Cappelle è sintetica ed efficace: “Quel muro è semplicemente troppo duro”.
(Qualora foste interessati, i prossimi festeggiamenti solenni per i Septennales saranno nel 2019.)