Il nuovo che avanza

Crampi Sportivi
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4 min readOct 30, 2017

Domenica sera, ore 21:30 circa. Sono allo stadio, apro dal cellulare il sito del principale quotidiano sportivo italiano per vedere come sta andando quello che con ogni probabilità sarà l’ultimo atto del Mondiale di Formula 1 2017. Spulcio la sezione motori con un misto di sorpresa e fastidio: il mondiale di Formula 1 è chiuso, con Vettel e la Ferrari che anche quest’anno diventano campioni l’anno prossimo.

Scorro le notizie della home e mi consolo solo in parte con Dovizioso e la Ducati che tengono aperto uno spiraglino minuscolo per il Mondiale MotoGP; poi pezzi di commento, video, pezzi pruriginosi, post sponsorizzati, e in fondo alla pagina, tra i post più commentati, finalmente appare la notizia che cercavo: Franco Morbidelli è matematicamente campione del mondo di Moto2.

Causa forfait di Luthi, a dire il vero, Morbidelli era già campione prima del via, ma alla bandiera a scacchi ha comunque trovato un posto sul podio che gli ha permesso di festeggiare il primo titolo di un pilota italiano nel motomondiale dal 2009, quando Valentino Rossi vinse il suo (finora) ultimo titolo in MotoGP. L’ultimo nella “seconda categoria” del mondiale era dell’anno prima, quando il Sic si laureò campione del mondo in quella che ancora si chiamava 250.

In mezzo, tante delusioni, troppe polemiche e qualche occasione sprecata. Certo, c’erano stati i due titoli di Max Biaggi in Superbike in sella all’Aprilia, nel 2010 e 2012, ma — permettetemi — non è la stessa cosa.

Finisce un periodo di astinenza durato fin troppo a lungo. Franco “Franky Morbido” Morbidelli è campione 2017 della Moto 2, meritatamente, con una gara di anticipo.

Un titolo arrivato al termine di una stagione che l’ha visto — forse anche un po’ a sorpresa — dominatore della categoria. Eppure la cosa è passata un po’ sotto silenzio, perché a parte la MotoGP — e anche lì, tutto ciò che fa notizia o quasi è rapportato a Valentino Rossi — siamo tutti figli di un dio minore.

Franco Morbidelli, però, va festeggiato come si deve: non solo perché ha vinto il Mondiale ponendo fine al più lungo periodo di astinenza del tricolore sul tetto del mondo delle due ruote che si ricordi, ma anche per il modo in cui ci è arrivato. A fari spenti, senza sponsor altisonanti, da campione europeo della categoria Superstock600 nel 2013.

Una stagione da esordiente fatta di tanti piazzamenti l’anno dopo, col podio sfiorato ad Aragon e l’undicesimo posto nel mondiale; il primo podio a Indianapolis l’anno dopo, con 90 punti accumulati nonostante le quattro gare saltate per un infortunio in allenamento; una splendida seconda parte di stagione lo scorso anno, con otto podi totali nelle ultime 11 gare e il quarto posto finale nel mondiale. Quest’anno, poi, l’avvio sprint, con tre vittorie nelle prime tre gare, primo pilota a riuscirci nella classe “intermedia” dal 2001, scusate del poco.

Le vittorie, ad oggi, sono otto, a cui aggiungere altri tre podi: una supremazia insidiata solo dalla regolarità di Thomas Luthi, anche lui per ben 10 volte sul podio (più un quarto posto) nelle prime 13 gare. E dire che il suo compagno di squadra era visto da molti addetti ai lavori come uno dei favoriti per la vittoria finale: Alex Marquez Alenta, fratello di quel Marc Marquez di cui non è questa la sede adatta per parlare perché bla bla bla.

Morbidelli è figlio d’arte: il padre Livio ha dei trascorsi da vice-campione italiano nella classe 80 e 125. Ma non paragonatelo a Valentino Rossi, per carità. Nel gennaio del 2013, quando Franco si apprestava a correre nell’europeo Superstock e aveva da poco compiuto i 18 anni, Morbidelli Senior — che nel frattempo aveva portato la famiglia da Roma a Tavullia (“l’unico luogo dove far diventare Franco un campione delle due ruote”) — , lascia questo mondo in modo improvviso e inatteso.

Con sangue carioca (la madre è di origine brasiliana), Franco decide che è il momento di non mollare, di non fermarsi, di correre sempre più forte. E della propria vita, qualche mese fa, ha detto:

Avrei voluto anch’io continuare con la scuola, diventare ingegnere. Sarebbe così bello avere due vite. Invece ho dovuto scegliere: ringrazio i miei per avermene dato la possibilità.

Ha festeggiato la prima vittoria “chiuso in camera da solo ad ascoltare della samba: Seu Jorge, Daniela Merkury, Ivete San Galo. Perché è bella e un po’ triste, l’allegria.”

Ed ecco spiegato perché questo classe ‘94 dal talento cristallino, che — mentre scriviamo questo pezzo non ha ancora twittato nulla del suo essere campione del mondo — non è stato celebrato come merita: perché è bella e un po’ triste, per lui, l’allegria. Salutiamo così, con rispetto e ammirazione, la consacrazione di un nuovo campione, così atipico, così veloce.

Articolo a cura di Roberto Gennari

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