Il peggior nemico di se stessi

Armando Fico
Crampi Sportivi
Published in
7 min readMar 28, 2018

Con nove giornate alla fine del campionato di Serie A, il Napoli ha in mano il proprio destino e una strada tracciata da percorrere: dare continuità al sogno scudetto cullato per tutta una stagione. Un sogno a cui squadra e allenatore si sono devoti con spirito indomito, pronti a dare tutto sé stessi per compiere un’impresa storica.

Davanti infatti c’è la Juventus dei sei scudetti di fila e delle due finali di Champions in tre anni — perse tra l’altro contro le due squadre che hanno dominato l’ultimo decennio del calcio europeo (Barcellona e Real Madrid) — del vulcanico Conte prima e del cinico Allegri poi, che sta cannibalizzando il campionato italiano e che dimostra una solidità progettuale e uno strapotere economico-societario paragonabili solo a quelli del Bayern in Germania e del PSG in Francia. Giusto per fare un esempio concreto: con i 130 milioni con cui Marotta ha pagato “solo” la coppia Higuain-Dybala, il Napoli ha formato — nel corso degli anni, dal ritorno in A a oggi — il suo attuale undici titolare (compreso l’acquisto nel 2014 proprio del Pipita).

Eppure, c’è qualcosa che non torna. Perché se per la Juventus si parla di “obiettivo scudetto” e “obiettivo Champions League”, del Napoli si parla sempre — e ancora — di “sogno”, o piuttosto di “impresa”, frustrando e ridimensionando le legittime ambizioni di vittoria di un club e di una tifoseria ormai abituatisi alle parti più nobili della classifica.

Tra l’orizzonte degli eventi di Juventus e Napoli c’è infatti un abisso pari a quello esistente tra i piani della programmazione e quello del caso; una differenza enorme, immediata, lampante… Ma il Napoli, il Napoli-società e il Napoli-ambiente sono davvero pronte per vincere come si crede? Oltre i meriti sportivi in sé per sé, si intende…

Il Napoli

Partiamo da uno dei pochi punti fermi di questo Napoli: il suo allenatore, Maurizio Sarri.

Il tecnico toscano ha infatti avuto il merito (meglio, l’umiltà) di mettersi in scia al lavoro di semina svolto nel precedente biennio della gestione Benitez. Se lo spagnolo, per così dire, ha ampliato le vedute del club, indicando alla squadra di alzare lo sguardo, Sarri ha piuttosto insegnato agli stessi calciatori a reggerlo, a tenerlo fisso in avanti, a credere sempre in un obiettivo: migliorarsi rispetto all’anno precedente. Se guardiamo i risultati ottenuti, ci sta indubbiamente riuscendo. Un lavoro durato circa due anni e mezzo, ma che infatti ora ha dato alla squadra un’identità precisa, proattiva e dominante, e che adesso ha proiettato il Napoli a essere in campionato una seria antagonista della Juventus.

L’operato di Sarri è stato quindi in primis valoriale, trasmettendo ai calciatori i suoi principi morali ancor prima che tattici: esempio, metodo, dedizione, applicazione, umanità, umiltà, identità, condivisione, supporto. Osservare il Napoli in campo equivale a leggere per 90’ una sorta di decalogo etico da cui si generano legami inscalfibili, interazioni, percorsi e storie attorno a cui si finisce fisiologicamente per stringersi, al di là che si vinca o si perda; oltre persino la maglia stessa. E ciò vale tanto per la squadra quanto per i tifosi, il cui affetto verso il proprio allenatore, ancor più che verso i calciatori — che paradosso nella città che fu di Maradona! — è stato dimostrato a più riprese e in maniera anche piuttosto forte.

Qualcuno ha parlato del Napoli di Sarri come “La Grande Bellezza”. Ma cos’è la bellezza, se non un valore da insegnare, trasmettere e soprattutto difendere?

“Siamo tutti Sarri”, il gesto di vicinanza della curva dopo le accuse di sessismo al proprio allenatore.

A fronte di tutto questo, però, Sarri qualcosa da farsi perdonare ce l’ha, e ci riferiamo ai suoi tre “peccati originali”: comunicazione, gestione rivedibile della rosa e rigidità tattica. Dettagli, a volte anche piccoli, capaci di far svoltare una stagione nei suoi punti topici o di massima pressione, ma che a Napoli sono stati spesso indigesti al tecnico toscano, anzi persino controproducenti.

Comunicativamente infatti troppi sono stati gli scivoloni che l’hanno visto protagonista e l’alibi della genuinità non reggerà all’infinito. Sotto il profilo gestionale (che è diverso dal minutaggio concesso alle seconde linee), i casi emblematici sono Diawara, Rog e Maksimovic, la cui involuzione prestazionale è palese ed espone ad un deprezzamento inaccettabile il patrimonio societario.

Infine, l’aspetto tattico. Nonostante l’applicazione dei principi da calcio totale, Sarri rimane intimamente un sacchiano, votato all’ultraspecializzazione dei ruoli abbinanta alla velocità di esecuzione per massimizzare l’efficacia della manovra. Tuttavia, contro alcune squadre questa “staticità” è un dazio troppo alto da pagare. Maggiore versatilità e imprevedibilità darebbero invece al Napoli (e alle sue possibili squadre future) tutto un altro passo.

Napoli-società e Napoli-ambiente

Ma si può essere i peggiori nemici di sé stessi nell’anno cruciale, quello della possibile consacrazione? Sì, e anche in grande stile (anzi, quasi sfacciatamente).

È il caso del Napoli-società e del Napoli-ambiente. Infatti, se da un lato la squadra si distingue per lavoro e risultati a fronte dei mezzi a disposizione, dall’altro società e ambiente hanno rimediato solo figure barbine, tradendo di fatto la bontà del progetto sportivo in essere.

E non bisogna andare troppo lontano per imbattersi in vicende imbarazzanti come il caso Younes o la squinternata gestione mediatica del caso Verdi, che hanno mostrato tutta la commovente fragilità della società di ADL. Oggi come oggi ancora non si sa se l’attuale esterno dell’Ajax sia o meno un calciatore azzurro (nonostante un contratto sottoscritto e depositato), mentre lascia perplessi la riapertura di credito per un profilo come Verdi, rimangiatosi il sì all’accordo col Napoli al momento stesso della firma. Una società solida, del resto, non solo non sarebbe mai più tornata sul calciatore, chiudendo ogni canale con lui e il suo entourage. Non solo, perché una società seria avrebbe anche arginato una fuga di notizie che ha sommerso di ridicolo vertici societari e dirigenti.

Senza contare poi le promesse mai realizzate della scugnizzeria, dello stadio di proprietà, di una maggiore strutturazione societaria, della cittadella dello sport o degli ormai tre mercati di riparazione consecutivi estremamente deludenti rispetto alle aspettative.

Viene quindi da domandarsi a cosa mira l’attuale progetto presidenziale di ADL; o meglio, a cosa mira davvero lo stesso Aurelio? Al momento, se domani quest’ultimo decidesse di vendere il Napoli, non lascerebbe nulla se non squadra ed equipe medica. Fate un po’ voi…

Ma a lasciare interdetti è piuttosto il Napoli-ambiente, con chiaro riferimento a una certa stampa sportiva, che pur di sfruttare al massimo business del calcio a Napoli si palesa nelle sue peggiori storture.

Le vicende della squadra vengono passate in rassegna, ventiquattro ore su ventiquattro, da radio, siti dedicati e soprattutto televisioni locali, che ogni giorno offrono uno spazio di almeno 6–7 ore agli azzurri. Ogni dettaglio è passato al setaccio, ogni momento buono per polemizzare, enfatizzare, criticare, persino destabilizzare intenzionalmente l’ambiente. In fondo, il Napoli muove i ricchi premi degli sponsor, che mantengono ore e ore di trasmissione pretendendo però ascolti e click (qui un pezzo illuminante in merito).

Non che sia una novità che la stampa preferisca fare intrattenimento piuttosto che fare reale informazione, sia chiaro, ma posizionarsi sui tifosi piuttosto che fornire loro chiavi di lettura, contenerne gli scoramenti o giustificarne gli entusiasmi (troppo spesso invece fomentati all’inverosimile) amplifica solo l’arcinota instabilità umorale della piazza partenopea, aggiungendo pressioni di cui la squadra farebbe volentieri a meno. Quasi come desse più gusto prendere a picconate la costruzione di qualcosa di concreto che ribadirne e difenderne, appunto, la bellezza.
I misteri di Pulcinella in chiave 2.0.

Da idolo ad epurato: la spropositata reazione dei tifosi all’accordo di Reina col Milan. Il sonno dell’informazione genera mostri.

A conferma di quanto si scrive, basta osservare — sempre da lontano, per carità — lo strampalato filone giornalistico che ha già etichettato la stagione del Napoli come “fallimentare” in caso di mancata vittoria dello scudetto. D’accordo con la deficitaria gestione (anche prospettica) delle tre competizioni in cui squadra, allenatore e società dovevano fare di più, ma il Napoli rischia di perdere uno scudetto con una proiezione a 100 punti: una situazione al di sopra di ogni canone sportivo nella storia di questo sport! E qualora non bastasse, la squadra è comunque pienamente in linea con l’obiettivo di inizio anno di giocarsi fino all’ultimo lo scudetto centrando un’altra, fondamentale per il bilancio, qualificazione in Champions League.

Ecco allora cosa significa, in definitiva, essere il peggior nemico di sé stessi: non voler in alcun modo preparare il terreno per la vittoria, che qualora arrivasse sarebbe di certo più frutto di congiunture sportive che non la sublimazione di tutte le forze in campo.

Ma forse proprio questo è il segreto: far in modo che non si vinca per poter continuare uno stantio quanto logorante gioco delle parti, che presto finirà per annoiare indistintamente tutti. Compresi gli attori di quella stessa farsa.

Come detto sopra, il Napoli ha in mano il proprio destino e una strada tracciata da percorrere: ma dove si dirigerà una volta giunto al bivio che questo finale di stagione inevitabilmente presenterà?

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