Il ponte sulla Drina

Crampi Sportivi
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8 min readJan 19, 2017

«Di tutto ciò che l’uomo, spinto dal suo istinto vitale, costruisce ed erige, nulla, secondo me, è più bello e più prezioso dei ponti. I ponti sono più importanti delle case, più sacri, più utili, dei templi.»

(Ivo Andrić, Romanzi e racconti — Meridiani Mondadori, 2001)

La Fiorentina ha vinto la partita più importante della sua stagione: la sfida casalinga contro la Juventus. La compagine di Paulo Sousa ha avuto ragione dei bianconeri e il perentorio due a uno ha portato alla ribalta nomi già noti come quello di Nikola Kalinić. Inoltre Federico Chiesa, figlio del celebre Enrico, ha dimostrato tutto il proprio valore: spostando l’attenzione mediatica sulla propria figura.

Il match dell’Artemio Franchi però ha avuto un altro, serafico, protagonista: Milan Badelj. Il centrocampista croato è uno dei capisaldi del dettame tattico del tecnico portoghese e risulta imprescindibile per i Gigliati.

I primi mattoni

«Ma, più dei prezzi e della miseria, alla popolazione del luogo pesavano l’ansia, il disordine e l’incertezza di cui soffriva la città a causa del gran numero di operai giunti da ogni parte del mondo.»

(Ivo Andrić, Il ponte sulla Drina — Meridian Mondadori, 2001)

Milan Badelj nasce a Zagabria, in una pungente giornata di febbraio del 1989. La famiglia di Badelj proviene dal quartiere di Stenjevec, localizzato nella parte occidentale della capitale croata. Nel 1995 si iscrive al NK Ponivke, compagine fondata nel 1945. Il NK Ponivke è la risposta alla seconda guerra mondiale dal punto di vista culturale-sportivo: il “Piccolo Verde”, denominato in questa maniera a causa dei colori sociale, nasce dalla necessità e desiderio di giocare al pallone di parte della popolazione zagabrese. Il club si concentra nel corso degli anni sulla gestione del proprio settore giovanile, ponendo la lente d’ingrandimento sui cosiddetti Primi Calci ed il proprio “Settore Giovanile” è rinomato nel territorio di Zagabria.

L’attrazione immediata verso il pallone porta con sé una forte disponibilità al sacrificio agonistico. Il calcio non è l’unico atto formativo che coinvolge e stravolge il ragazzino, poiché la sua giovinezza coincide con il periodo in cui la Croazia lotta per la sua indipendenza dalla Jugoslavia. Inevitabilmente Milan risente dell’incertezza e del movimento continuo al quale il popolo croato è inevitabilmente sottoposto, e cresce in un’atmosfera di navigazione alla cieca, laddove regna il sangue che scorre dei propri cari ed il terrore. Un’esperienza che necessariamente porta ad una maturazione repentina da parte dell’infante di zagabrese.

La costruzione

«I contadini che di notte ascoltavano il suonatore di gusle: la ninfa del fiume che distruggeva il ponte aveva fatto sapere ad Abid-Ga che non si sarebbe fermata fino a quando nelle fondamenta non fossero stati murati due gemelli, fratello e sorella, di nome Stoja e Ostoja.»

(Ivo Andrić, Il ponte sulla Drina — Meridian Mondadori, 2001)

La carriera di Milan Badelj inizia da un sacrificio necessario ed inevitabile, come all’interno de Il ponte sulla Drina. Milan aveva lasciato il “Piccolo Verde” del NK Ponivke in favore del NK Zagrabia, una delle compagini storiche della capitale croata. Il suo “soggiorno” fra le fila del NK dura tre anni ed è un periodo chiave per la formazione di Badelj, poiché gli viene sostanzialmente cucito un ruolo addosso: il centrocampista centrale con compiti di regia. Un ruolo che è adatto ai poeti lirici, non certo all’espressionismo dei ragazzacci formati dalle guerre e conflitti. Badelj si contraddistingue immediatamente dai propri coetanei, grazie a questo abito del costruttore di gioco. Ogni costruttore, ogni manovale ed artigiano della penisola Balcanica e dell’Europa centrale è a conoscenza della inesorabile ricorrenza del sacrificio per poter dar stabilità alla propria costruzione o edificio. Alla stregua di Mastro Manole, celebre protagonista dell’omonimo cântec bătrânesc — canto popolare diffuso in Serbia e Romania — è costretto ad effettuare un sacrificio: non mura la moglie come il Mastro, ma decide di trasferirsi alla Dinamo Zagabria. Fra le fila di Dinamo e NK non corre buon sangue ed è la stracittadina più sentita nella capitale croata. Lo sgarbo è notevole, soprattutto per un ragazzo di sedici anni.

Badelj arriva a vestire la maglia delle giovanili della Dinamo con un certo pedigree: quasi trenta presenze nelle nazionali giovanili. I primi due anni nella primavera della dinamo sono all’insegna della formazione calcistica e fisica. Il club decide di girarlo in prestito alla Lokomotiva Zagabria nel 2007. Nel club di terza divisione croata, affiliata alla Dinamo, gioca ventotto partite e sigla sette reti.

L’esperienza alla Lokomotiva lo porta a guadagnarsi la fiducia della Dinamo, orfana di Luka Modrić in viaggio verso la sponda biancheggiante di Londra. Zvonimir Soldo, tecnico della Dinamo, punta fortissimamente su Milan per sostituire lo Johan Cruijff dei Balcani. Badelj effettua il proprio esordio contro il Linfield, compagine nordirlandese, in una gara di qualificazione ai preliminari di Champions League. La Dinamo vincerà quella partita due a zero e Badelj giocherà una buona mezz’ora. La prima stagione alla Dinamo è di rilievo per Milan: giocherà cinquanta partite al termine del proprio primo anno, fra campionato e coppe europee. Una stagione soddisfacente anche dal punto di vista delle vincite: al primo anno da “senior” Badelj colleziona una Coppa di Croazia ed il campionato croato. L’unica delusione rimarrà il non aver potuto esordire in Champions League, poiché la Dinamo è uscita con le ossa rotte dalla coppia contesa contro lo Shakhtar Donetsk in occasione dei preliminari.

Nell’estate del 2009 conquista il titolo di Speranza del calcio croato dell’anno, premio riservato per le giovani stelle del calcio dalmata. Le successive tre stagioni con la maglia della Dinamo risultano essere soddisfacenti: i titoli fioccano e Milan riesce a trovare lo spazio adeguato. Baldej gioca con continuità e questo lo porta ad essere convocato con la nazionale croata. Nel settembre del 2011 segna il suo unico goal in nazionale contro Malta, in una gara valevole la qualificazione ai campionati europei di Polonia e Ucraina. La gara terminerà 3–1 in favore dei dalmati. Slaven Bilić, c.t. della Croazia, concederà una maglia a Milan Badelj per la spedizione in Polonia e Ucraina. Sfortunatamente, Baldelj non riuscirà a trovare mai il campo e la Croazia venne eliminata nel Gruppo C; guidato da Spagna e Italia.

La carriera di Milan Badelj in nazionale è soddisfacente, in quanto si conferma uno dei punti fermi della selezione dalmata. Le presenze all’attivo, ad ora, sono venticinque. Fra le quali delle ottime prestazione nel campionato europeo francese.

Sempre innalzato

«Oltre le inondazioni, altri pericoli minacciavano il ponte e la sua kapija: li portavano lo sviluppo degli eventi e il corso dei conflitti umani che opponevo gli uomini, gli uni e gli altri.»

(Ivo Andrić, Il ponte sulla Drina — Meridian Mondadori, 2001)

Le prestazioni di rilievo da parte di Milan Badelj gli permetto di garantirsi una possibilità di trasferimento assolutamente interessante: l’HSV si presenta alla porta della Dinamo Zagabria e strappa il cartellino del centrocampista per cinque milioni di euro. Una cifra che appare come un vero e proprio affare.

Amburgo, città della Germania settentrionale, è una vera e propria kapija: un luogo di compenetrazione culturale e grande fermento ideologico, nello specifico la zona centrale di un ponte — nella fattispecie quello sulla Drina — laddove si trovano caffè e salotti. Si dice che siano questi luoghi le “vere scuole” dei Balcani: una sorta di accademia e circolo culturale della strada, laddove le culture si storicizzano su stesso e si stratificano. Nella kapija si discute così a lunga da dimenticare cosa si è nell’autodefinirsi. L’autodefinizione è quello che ricerca trasversalmente Milan Badelj nella nazione tedesca. L’impatto non apparve, nel lontano 2012, così scottante: Zagabria è una cittadina tedesca, si sostiene nei Balcani. Ventitré anni non sono molti, ma il taciturno e stoico Badelj è pronto a vestire una maglia pesante come quella dell’Amburgo. La squadra, per eccellenza, in Germania; con molta più storia e sentimento di quei bavaresi di stampo sudiciamente cattolico del Bayern Monaco. La prima parte di stagione, ovvero i primi due mesi, sono il “riscaldamento” necessario per salutare Zagabria. Gioca le ultime gare con la Dinamo da capitano e nell’agosto del 2012 si trasferisce in Germania.

L’Amburgo non gode della prepotenza di un tempo: ad ora è una selezione che tenta di salvarsi alla meno peggio, ma il più delle volte incappa negli spiacevoli playout che sono propri della massima divisione tedesca. Il tecnico dei tedeschi, nel 2012, è Thorsten Fink e si innamora calcisticamente di Badelj. Il mediano croato viene affiancato da Tomás Rincón, che troveremo come avversario da dove inizia la nostra storia, o il serbo Gojko Kacar. Badelj giocherà trentuno partite in Bundesliga, impreziosite da una rete e cinque assist. La rete arriva nella importante vittoria, in casa, contro lo Schalke04 per 3–1.

Il talento e le geometrie di Badelj stentano a decollare: la situazione del club tedesco non è delle migliori e puntualmente i migliori giocatori vengono ceduti a fine stagione. I ricambi, inoltre, non si rivelano mai all’altezza e l’HSV diviene una sorta di bazar infernale laddove esprimersi è un’opera titanica e nulla di meno. Nel giro di un paio di anni l’HSV arriverà a cambiare ben quattro tecnici, dopo Fink arrivano Cardoso, van Maarwijk e Slomka. L’HSV si salva sempre per il rotto della cuffia e nonostante Badelj sia sempre schierato e sia punto fermo per ogni tecnico, questo calderone continuo nord-tedesco limitano l’ascesa del sapiente Badelj.

È il momento di respirare un’aria nuova: è il momento di abbracciare una città più adatta alla propria lirica. La sua manovra e gestione del pallone non è una prosa che vuole rimescolare le percezioni dell’autore. È il preciso specchio di una concezione religiosa del calcio, tradotta in un sentimento amoroso. Puro e casto.

Il ponte

«Quando evoco i ponti, non mi vengono mente quelli che ho attraversato più spesso, ma quelli che più hanno impegnato il mio spirito.»

(Ivo Andrić, Romanzi e racconti — Meridian Mondadori, 2001)

Firenze, patria culturale di Francesco Petrarca, rappresenta il luogo ideale per esprimere la sua cifra poetica. Un’eco, quello di Petrarca, che ha franto la tradizione letteraria croata nel 1500. Dubrovnik, ovvero Ragusa, sarà sede del più celebre movimento petrarchista europeo. Una vera e propria città a sé quella di Ragusa, capace di influenzare tutto l’apparato letterario croato con il suo apporto. Badelj, figlio illegittimo di Ragusa, “riabbraccia” Firenze. Milan Badelj è un ponte che da Firenze ci riporta in Croazia. Nella prima stagione trova spazio in Europa League, mentre in campionato le presenze in campionato sono circa venti. L’esordio arriva in Europa contro il Guingamp, mentre la prima rete Viola coincide con l’ultima gara di campionato contro il Chievo Verona. L’ambientamento non è agevole, ma Badelj impara a far poesia nella nazione dei poeti. Impara dai maestri: apprende il gergo dello spagnolo Borja Valero, una sorta di Federico García Lorca della nostra contemporaneità calcistica. Il tecnico Montella gli consegna ruoli prettamente di regia, affrancandolo da ruoli prettamente difensivi. E lui ci prende l’abitudine.

Nella stagione seguente e in quella in corsa, infatti, Paulo Sousa trova il modo di sfruttare la sua verve, e di valorizzarla, e permette alla Serie A tutta di apprezzarlo. La gara contro la Juventus è il massimo manifesto di una sapienza superiore della gestione del pallone. Non essendo estremamente dinamico, Sousa gli affianca Vecino che predilige un calcio in movimento. Badelj è il Mastro, la mano che impugna la penna. Il suo costruire gioco a livello della cintola della squadra è la struttura della Fiorentina di Sousa, che sta facendo di tutto per trattenerlo a Firenze. Badelj non è solo poeta petrarchista, Badelj è un ponte fra difesa e centrocampo. Quando gli attaccanti limitano la regia arretrata di Gonzalo Rodríguez: la sfera è presa in consegna dal croato che annulla la pressione avversaria scaricando sulle fasce. La verticalizzazione non è mai forzata, ma sempre accompagnata e precisa. Un verso di Petrarca e niente meno. Gli esterni di centrocampo o difesa sono serviti con precisa puntualità per poter costruire una manovra avvolgente e, soprattutto, bilanciata che permette a tutta la squadra di salire. Milan Badej è uno splendido edificio di pietra che si erige sul fiume del pressing avversario, imperturbabile resiste, non si piega e non crolla. Perché i ponti non possono crollare e Milan Badelj non perde il contatto con la sfera a centrocampo.

Milan Badelj è il protagonista de Il ponte sulla Drina di Ivo Andrić.

Articolo a cura di Edoardo Battaglion

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