Il sogno di Samaras

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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4 min readJun 8, 2016

Sono passati quanti, quasi quattro anni? E ora dove sei? In un letto spazioso a rigirarti, cercando pace inconsolata.

Ricordi? Ma certo che ricordi. Ah, invero, se solo tu sapessi dimenticare! Il contropiede disperato e consapevole, la corsa ad ampie falcate, ogni passo calibrato su quello del tuo marcatore, per non aprire gli occhi e scoprirti in fuorigioco. La speranza che gli dei guidassero la tua corsa, e la corsa del tuo compagno libero sulla fascia destra, pronto a servirti con una freccia rasoterra, a un’altezza che avrebbe addotto gravi lutti anche al pur pratico Filottete.

L’attesa dello scocco da parte del compagno, poi il tuo pie’ veloce che accelera, e quindi eclissasti con il tuo torso il marcatore avversario, e scivolasti nel manto verde affinché fosse perforata la fino ad allora distante porta Iperborea.

Ricordi la sfera nella rete e il tuo capo che si volta a consultare l’oracolo del guardalinee, l’occhio sgranato ad attendere la notizia che già sapevi, ovvero che il vantaggio iperboreo era annullato, e forse, e dico forse, gli dei avrebbero arriso al tuo desiderio di addurre lutto all’empio Fiscal Compact.

D’altronde era quello l’anno, quello il giorno, quella l’ora, di ricacciare i Titani al loro nord e impartirgli una pesante sconfitta, per quanto relativa all’agone. Non una medaglia avrebbero appeso al loro petto i tracotanti atleti biondo crine e bianche vesti, sudditi dell’arroganza che aveva svilito e umiliato il soldo ellenico caro al tuo cuore, e con esso rovesciato il tavolo già umilmente imbandito dei popoli Achei. Non una medaglia avrebbero sventolato al cielo quel giorno, a stuzzicare la barba del padre Zeus, non finché gli dei ti avrebbero concesso un contropiede.

Ma quanta hybris si cela nello sguardo di colui che la hybris altrui vuole castigare?

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Questa è la domanda alla quale non avresti saputo rispondere, tu insieme ai tuoi compagni, quando dopo solo qualche ora ritornavate alle solide navi per salpare, con ancora nelle membra il veleno di quelle altre tre reti subite da lì fino al fischio finale. A nulla era valso il rigore di Salpingidis, se non a urlare al popolo Acheo, che seguiva dagli spalti le sorti dell’agone, che i nobili guerrieri d’Ellade erano sconfitti ma il loro nocchiero sulla via di casa non era certo Caronte. E che lì dove il Fiscal Compact non si era lasciato scalfire, si sarebbe cionondimeno nascosta la promessa di una rivincita.

E nell’anno, nel giorno e nell’ora in cui avresti potuto solcare il campo di battaglia ancora e reclamare la tua seconda occasione, dove sei? Ah, non a chiedere al nuovo auriga Tachtsidis una nuova freccia, magari scoccata in alto, per sfidare la porta Iperborea con un colpo di schiniero, la tua arma favorita, no.

Sono forse tornate ricche le tavole da pranzo achee? Si è dunque cancellato il dazio che alle petrose sponde d’Egeo veniva richiesto dalla plutocrate indifferenza iperborea? Forse è tornata prospera l’economia ellenica? No. E allora dove sei? Oltreoceano, a cercare ventura nelle poche ore di luce risparmiate dalla Moira alla tua carriera: le imprese tue e dei tuoi compagni non sono state sufficienti a regalare all’Ellade la rinnovata occasione che essa attendeva da quattro anni, e inoperosi come te sono i guerrieri di Sparta e Micene, in questa notte di velenoso rimorso.

Vorresti urlare, stracciarti le vesti e aver fatto di più, per poter essere oggi presente alla competizione che il tuo cuore troppo tardi anela, quella che prende il nome dalla donna che il padre Zeus rapì, prendendo la forma di un toro.

Mentre torni dalla cucina, dove ti sei recato a prendere una coppa d’acqua, poiché non prendi sonno, un servizio alla televisione manda in onda gli aggiornamenti relativi alla Nazionale tedesca, e il tuo cuore sprofonda in un Erebo che neanche guardandosi allo specchio si era mai scoperto tanto oscuro e privo di riflessi lunari.

D’improvviso si stringono i denti e i pugni si fanno chiusi. Perduto per sempre, in te c’è la notte più nera, e nel tuo petto esplode il boato di un tuono, è il tuo spirito si ribella. Con i pugni al cielo invochi gli dei, e gli chiedi il conto del loro sordo silenzio, che si è protratto fin troppo a lungo. Hanno forse deciso di abbandonare l’Ellade? Si sono forse distratti dopo quel contropiede, da cui ormai sono passati quattro anni? Ah, se solo potessi fare ricorso all’Uefa, singhiozzi, mentre le tue membra cedono e in un rantolo ti accasci ai piedi dell’ampio letto.

In quel momento dalla finestra aperta una civetta dalle bianche ali entra nella tua stanza, e si poggia sopra la sedia dove avevi posto la tua maglia di quel giorno, la numero 7. Il leggero battito delle sue ali si placa solo quando ha ottenuto lo scopo di farti girare il capo, e di distendere il tuo viso rigato dalle lacrime in una smorfia di sbigottimento.

«Asciuga le tue lacrime, Georgios»

La voce non giunge dal becco minuto del volatile, d’altronde che sortilegio sarebbe mai questo, forse gli dei hanno deciso di beffarti togliendoti il senno?

«… e alzati».

Quando ti volti, le tue caviglie tremano. Non uno stop potresti mettere a segno ora, tanto sei atterrito, né di petto, né di collo. E ne hai ben donde, è la donna più bella su cui si siano mai posati occhi mortali, ma il desiderio che la sua immagine genera in te è puro, fame di verità, e magnetica attrazione verso l’armonioso progresso. Nella dolcezza del suo sguardo alberga comunque l’ardente fermezza della giustizia, e ti è subito chiaro che è solo dormiente la furia che si scatenerebbe se questa venisse negata o tradita. Parla — pensi — o dea. Rivelami lo scopo insperato che ha condotto la tua pia attenzione a me.

A un tratto la mano che impugnava sicura l’Egida lo ripone piano contro la parete ed estrae dalle bianche vesti leggiadre una tavola di coccio, e uno scalpello.

«È tempo di scrivere un ricorso all’Uefa».

(continua…)

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