Se non ora, quando?

Armando Fico
Crampi Sportivi

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Come si stabiliscono il come, il quando e il perché un calciatore merita un determinato numero di maglia? Inoltre, quest’ultimo è una ricompensa per i meriti sul campo o piuttosto una condizione immanente dell’essere? Sì, perché il numero di maglia, al di là delle cifre che lo compongono, può essere considerato — al pari del nome e del cognome — un elemento caratterizzante che ci presenta, ci annuncia (vedi CR7)… insomma, un tratto distintivo da ogni altra entità su questa terra. Un attributo cui ognuno di noi, in definitiva, è destinato per natura.

Appunto: destinato. Così come pare esserlo Lorenzo Insigne per la numero 10 che fu di Maradona, unico possibile successore di una maglia che adesso reclama un nuovo proprietario per far proseguire un filone della storia calcistica partenopea interrottosi all’apice del suo quinquennio aureo. In merito alla probabile successione, il dibattito è stato lacerante e molteplici le scuse addotte pur di non incorrere in un supposto peccato di apostasia o blasfemia:

È la maglia di Diego. È stata ritirata e basta, troppo pesante. Diego è l’unico D10s

Quello che sfugge è che quella maglia ed Insigne tendono ontologicamente l’uno all’altra. Al punto che lo stesso Insigne pare essersene reso conto, considerate le sue ultime dichiarazioni. A esser sinceri, nemmeno noi abbiamo alcun dubbio: Lorenzo merita la 10, e quanto meno deve essere messo nelle condizioni di scegliere se vestirla o meno. Per tutta una serie di ragioni.

Crescita inesorabile

È il primo motivo che balza in mente quando si ripensa alla stagione del Magnifico: il percorso di crescita e consolidamento delle sue qualità è stato folgorante. Lorenzo ha infatti dimostrato quest’anno un miglioramento esponenziale tanto dal punto di vista caratteriale che, soprattutto, tecnico. La sua interpretazione del ruolo di esterno d’attacco è stata senza ombra di dubbio l’arma in più del Napoli 2016/17. Più che magnifico, Lorenzo, in campionato come in Champions, ha talvolta sfiorato le vette del sublime, convincendo il CT Ventura ad importare il suo eclettico modo di giocare persino in nazionale (e l’ultima uscita contro il Liechtenstein ne è stata incontestabile prova).

Certo, molto ha giocato anche la tranquillità e la consapevolezza della sua imprescindibilità tattica con le quali ha approcciato la stagione appena terminata. La partenza di Higuain, nonché la promozione di Mertens centravanti per l’infortunio di Milik, gli hanno infatti dato quella serenità di cui non aveva mai goduto in tutta la sua esperienza partenopea. Ma a questo va aggiunto, ironicamente, “la scoperta del primo palo” per le sue conclusioni a rete — in barba alla sua ossessione per il tiro a giro sul secondo palo — e l’utilizzo sempre più accentuato del piede sinistro, elemento che ha aggiunto ancor più imprevedibilità alle sue giocate dentro e fuori dall’area di rigore. Insomma, quello che appena la scorsa stagione era imputato come un calciatore di talento ma “limitato”, ha saputo trovare nella flessibile rigidità del modulo sarriano l’occasione per esprimersi in maniera sempre più variegata e completa.

Fuori quindi dalla bidimensionalità della promessa di talento, Lorenzo ha dato plastica rappresentazione di un talento straordinario finalmente maturato e posto a servizio della squadra. E non è un caso che il 10, simbolicamente parlando, rappresenti il compimento, la realizzazione personale e la perfezione; la stessa perfezione a cui Insigne può ambire definitivamente proprio indossando quel numero speciale.

Salto di qualità

Ma se indossare quella maglia sarebbe per Insigne un bene e una consacrazione definitiva, per la società e per tutto l’ambiente napoletano sarebbe un enorme salto di qualità mentale, culturale, dirigenziale come imprenditoriale. Inutile girarci attorno: la conservazione in naftalina del cimelio maradoniano è manifesto di una diffusa quanto insopportabile immaturità, figlia di un populismo ancora oggi voluto anche e soprattutto dalla società di De Laurentiis. Ma se si vuole davvero migliorare, il primo passo è quello di smettere di inseguire i tifosi preferendo parlare alla loro pancia piuttosto che alla loro testa. Anche perché per preservare quello speciale ricordo si sta ammazzando il sogno di vedere ancora una volta un vero numero 10 calcare l’erba del San Paolo, e chissà con quali risultati, emozioni e suggestioni. E in una piazza che vive (purtroppo o per fortuna) di suggestioni, questo è senza dubbio il delitto più grave.

A voler rincarare la dose, poi, questa della 10 a Insigne sarebbe davvero una scelta carismatica degna di un top club europeo. Basti pensare al Barcellona, che dopo Romario, Ronaldihno e Rivaldo ha saputo accogliere Messi per poi proiettarsi al prossimo talento che sappia fare ancor più grande il club. Processo di inevitabile ricambio generazionale già ora in atto, nonostante l’intoccabilità della Pulce argentina. O ancora basta guardare l’escamotage di Wenger — un po’ da mentalist e un po’ da prestigiatore — che la 10 di un certo Dennis Bergkamp l’ha affidata prima ad un difensore, Gallas, per non gravare eccessivamente sul suo diretto erede. E difatti, solo dopo diversi anni è arrivata a van Persie, Wilshere e magari ora sarà il turno di Ozil.

Così, per tutto quello che la numero 10 rappresenta — semplicemente il Calcio nella sua totalità e accezione più pura — si spera che De Laurentiis faccia il primo passo, che d’altronde Lorenzo ha già fatto, rivelando quanto tutto il suo enorme talento meriti un’investitura di tale portata. Perciò, se non ora quando?

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