La Copa delle sorprese — Los Sintéticos S2 E04

Crampi Sportivi
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10 min readJun 20, 2016

La Copa América Centenario prosegue nella sua ascesa verso la finale: i quarti non hanno mancato di regalare sorprese e noi l’abbiamo seguiti per voi, ben consci che non riavremo mai indietro le ore di sonno perse sui campi americani. Dove intanto, però, le gerarchie sono state messe a dura prova.

USA-Ecuador (Sebastiano Bucci)

Ecuador e Stati Uniti arrivano a questo quarto di finale della Copa America con speranze condivise: entrambe si trovano in un processo di crescita costante nella competizione continentale. La camera con vista prestigiosa da sulle semifinali, una prima volta emozionante e piena di lacrimoni per entrambe le compagini.

Klinsmann, dopo la sconfitta all’esordio contro la Colombia, ha lavorato sodo per consolidare il suo calcio basilare ma estremamente efficace: per il match contro la Tricolor deve fare a meno di Yedlin, caduto vittima di un raptus contro il Paraguay costatogli il rosso.

A sostituirlo va Bresler a sinistra, mentre Cameron inizia il match da centrale, ridefinendo il ruolo di tuttocampista per l’ennesima volta durante questa Copa. Quinteros punta sulla vena dei Valencia’s (Enner e Antonio) per far male ai padroni di casa. Si gioca nell’arena più calda della Lega, quella dei Seattle Sounders: il tutto esaurito latita, ma l’atmosfera è forte sin dal fischio d’inizio per la commozione in seguito agli attentati di Orlando.

Michael Bradley e un piccolo gesto (dovuto, ma bellissimo)

Il tema tattico messo in campo dagli States nei primi minuti di gioco è teso a far sì che l’Ecuador debba impostare con i due centrali, cosa che non risulta facile per gli ospiti. Dal canto loro, però, gli americani sono bloccati sulle fasce, ostaggio del poco lavoro propositivo in fase di spinta.

I reparti americani risultano troppo distanti e l’azione deve riniziare da Bradley, sceso a schermare davanti alla difesa.

Gli Stati Uniti capiscono che per sbloccare l’enpasse tattico devono accentrare il loro raggio di gioco, sfruttando la velocità di Zardes e Wood. Da una situazione del genere, nasce e si evolve il vantaggio di Dempsey.

È proprio il beniamino di casa a colpire di testa dopo aver iniziato l’azione, sfruttando la disponibilità datagli dai centrali avversari, troppo indaffarati a presso all’esplosività muscolare del nuovo acquisto dell’Amburgo per curare l’inossidabile voglia di gol del giocatore dei Sounders.

La terza rete di questa competizione è la dimostrazione lampante di come l’ex Fulham sia il vero metronomo di questa squadra, che deve sopperire a una palese mancanza di talento in mezzo al campo. Il lavoro di Dempsey colma le mancanze, con il numero 8 abile ad abbassarsi tra le linee e a far partire l’azione.

La difesa alta dell’Ecuador colpita dalla velocità di Wood.

Il primo tempo si chiude con il sostanziale controllo da parte degli americani: se si esclude un fenomenale riflesso coi piedi di Guzan in pieno recupero, l’USMNT non va mai in difficoltà.

La bagarre emotiva dei primi minuti della seconda frazione sconvolge i piani degli uomini di Klinsmann: il doppio giallo commutato a Valencia e il rosso diretto a Jones possono essere la riproposizione di una serie di fantasmi e di nervi che scoppiano. Wood becca due minuti dopo un giallo evitabile e subisce la ghigliottina della diffida.

Ma il raddoppio di Zardes al 61’ sembra mettere lo spumante in frigo. Ancora una volta è Dempsey il totemico feticcio che crea e porta alla distruzione delle barriere dell’Ecuador. La reazione è tardiva, ma efficace: lo schema su punizione di Ayovì per Arroyo colpisce gli States nel momento in cui avevano rinunciato ad attaccare, ponendosi in una linea da sei dietro.

https://www.youtube.com/watch?v=S1G0qMW7k0s

L’Ecuador approfitta apertamente la crisi da tennista dei ragazzi di Klinsmann, che a un passo dal match point sentono la racchetta pesare una tonnellata. Ciò nonostante, un (Enner) Valencia insolitamente sciupone e una sciagurata deviazione in pieno recupero di Brooks non guastano l’happy ending hollywoodiano a una squadra che merita l’Argentina di Messi, e, che comunque vada, uscirà dal campo tra gli applausi. Come successo a Seattle.

Perù-Colombia (Massimiliano Chirico)

È Paolo Guerrero contro James Rodriguez: El Depredator contro El Bandito, come in un improbabile film di Sergio Leone che se esistesse davvero allora si chiamerebbe “Tacchettata alle ore due”.

L’ultima volta a Barranquilla finì 2–0 per i Cafeteros, ma oggi — al MetLife Stadium, nel New Jersey — c’è Carlos Bacca che scatta prima ancora del calcio d’inizio: Guerrero e Rodriguez, i due capitani, hanno urlato qualcosa al termine degli inni (che questa volta sono andati via regolarmente) e i compagni sono partiti a mille all’ora su ogni pallone.

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Lo stesso Bacca scrive a lettere cubitali, dopo solo due minuti, la risposta al quesito madre con cui vivo ogni partita: che differenza vera c’è tra un giocatore forte e uno meno forte? Siamo tutti uomini, con più o meno le stesse caratteristiche ma cosa ci contraddistingue nel gioco del calcio?

Ecco, Bacca a pochi secondi dall’inizio della gara tira una bomboniera senza nemmeno guardare la porta e il portiere è subito chiamato a scaldare i guanti. Inoltre i sudamericani in casa loro sono proprio passionali, latini così come ce li immaginiamo e quindi la gara è un filo unico di falli, proteste e giocatori che si rotolano per terra in presa a spasmi.

In quest’inizio di gara macchinoso e ricco di falli, le telecamere indugiano spesso su un uomo che sta vivendo malissimo la sua vita e questa partita in particolare: Ricardo Gareca. Il tecnico argentino è innanzitutto la controparte calcistica di Iggy Pop ma per i suoi uomini è El Tigre, l’uomo che ha beffato il Brasile e che vorrebbe distruggere l’intero torneo con la sua manica di giocatori iper-tatuati e tendenzialmente anonimi.

Ma il Perù non punge, mentre la Colombia spinge forte sull’acceleratore: la partita si infiamma ma dei simpatici palloncini gialli che svolazzano proprio davanti alle telecamere, che si arrampicano su e giù per il campo guidati dal vento, che scoppiano sotto i tacchetti dei giocatori, ecco sono questi palloncini gialli ad assicurare un’atmosfera quasi infantile alla gara almeno fino al destro da compasso di Rodriguez che bacia il palo e torna in campo.

Forse è anche per questo che le tifose vorrebbero sposarlo. Alla mezz’ora di gioco i falli fischiati dall’arbitro sono appena 15, praticamente uno ogni due minuti se le regole della matematica sono ancora valide a quest’ora della notte. Ed è in questo momento che finisce tragicamente la gara di Daniel Torres, che abbandona il campo in barella a seguito di uno scontro con il roccioso Ramos. I giocatori accerchiano l’arbitro e si teme il peggio per Torres che viene trasportato fuori dai medici.

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C’è poco pathos però: Torres viene magicamente curato a bordo campo e dopo appena trenta secondi va in pressing su Cueva. Magie d’oltreoceano di cui noi non potremo mai godere.

Sulla panchina della Colombia siede invece Josè Pekerman, argentino come Gareca, più noto per le sue eliminazioni fisse ai quarti di finale, arrivate sia nell’ultima Copa América che negli ultimi due Mondiali, alla guida di Argentina prima e Colombia poi. Pekerman continua a richiamare i suoi giocatori dopo ogni fallo, per tenere alta la concentrazione e per invitarli a non tirare mai indietro la gamba, proprio ora che il numero di falli continua a crescere paurosamente ed i giocatori si lasciano andare a degli umani trailer delle gare di nuoto di Rio 2016.

È un nuovo sport, qualcosa che permette a rugby e calcio di incontrarsi e fare la pace per dare vita a qualcosa di nuovo, che possa entusiasmare i tifosi con delle vere e proprie faide, delle sottostorie sviluppate all’interno di questa partita, forse la più brutta partita mai vista, almeno fino al 40'. Il possesso palla è quel minuzioso dettaglio che qualcuno dimenticò di importare in questa terra di primizie tanti anni fa: le due squadre riescono a garantire agli spettatori manovre della durata media di 10 secondi e 5 passaggi, prima di perdere la sfera per ritornare a menare. La trama è talmente chiara agli spettatori che nessuno canta più.

Intervallo

Medio tiempo: 47 minuti, 7 tiri in porta, 19 falli, 0 cartellini gialli.

Alla ripresa della gara abbiamo il protagonista della serata: San Pedro Gallese, portiere del Perù con un passato da The Weeknd: è lui l’unico del Perù ad esser risparmiato dallo sguardo torvo del direttore di gara ed è forse lui il motivo per il quale i giocatori della Colombia cercano insistentemente dei calci da fermo, da qualsiasi posizione, battuti a spiovere in area o diretti in porta. Non conta come ogni punizione dovrà essere battuta, conta guadagnarla per fermare il tempo in questa partita giocata a velocità sonica, al punto tale da far rimpiangere la pacatezza delle gare di Euro 2016.

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Però a volte hanno più o meno ragione: mentre la partita prosegue sugli stessi binari del primo tempo, il telecronista ci porta a spasso per questa terra ricca di gioie e tra un “Aladino” Christian Cueva, tra un Cuadrado meglio noto come “un giocatore con le orecchie a sventola, Carlos Sanchèz becca una palla di cannone praticamente in bocca.

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Il mio è un grido di sofferenza diffuso nell’etere attraverso queste pagine: sono le 3.33 della notte ed ho mandato giù caffè, latte e plasmon assieme a quattro sigarette per assistere a un palo. Un palo, unico e unica occasione degna di nota. E mentre si profila all’orizzonte la terrorizzante possibilità di tempi supplementari e rigori, la gente prega e spera in un gol, un solo gol da una delle due squadre per porre fine a questa agonia.

Perché il Perù ha deciso già dal primo minuto di porre la gara sul piano fisico, isolando Guerrero tra i difensori avversari e affidando a Ramos e Cueva il compito di organizzare le ripartenze. Compatti dietro e dinamici avanti, rinsaldando le ginocchia e provando a respingere in tutti i modi i tentativi dei colombiani. I ragazzi di Pekerman sono riusciti a sbagliare praticamente di tutto, in particolar modo con Carlos Bacca che non è riuscito a concludere una azione da gol senza vedersi fischiare un fuorigioco.

Poi i calci di rigore, e tutti conoscono la fine della storia.

Argentina-Venezuela (Sebastiano Iannizzotto)

https://www.youtube.com/watch?v=CyBu6PQMdhw

Il risultato finale potrebbe trarre in inganno: tre gol di scarto sembrerebbero il riflesso di una partita senza storia, la superiorità dell’Albiceleste che si traduce in numeri, che passa senza sforzo dal valore dei nomi che compongono la rosa a un valore numerico che sembra dirci “è così che deve andare”. La storia di Argentina-Venezuela, invece, è un po’ diversa.

C’è una cosa che tutti aspettavano con un’ansietta considerevole. Non stiamo parlando del nuovo disco dei Radiohead, della nuova stagione di Game of Thrones, del nuovo film di Star Wars, no. Quello che tutti stavano aspettando era il primo gol di Gonzalo Higuaín in questa Copa. Dopo sette minuti, Leo Messi fa un lancio luminoso su cui si avventa El Pipita con il killer instinct di un predatore.

Sbam.

Alla mezz’ora la pratica sembra già chiusa: Higuaín approfitta di un retropassaggio sciagurato di Figuera e raddoppia.

Di rapina.

Poi arriva il blackout argentino o la riscossa vinotinto, dipende dai punti di vista: si risveglia il triangolo magico Guerra-Rincón-Rondón e Romero torna ai fasti di quando indossava la maglia della Samp.

Buonanotte, Mascherano.

Rondón è una furia: stacca di testa come un titano e prende il palo.

Adiós, Otamendi!

Fomentatissimo, Romero si fa prendere la mano e travolge Martínez.

Un po’ troppa irruenza.

Va sul dischetto Seijas e mette in scena una delle più grandi figure di merda della storia del calcio. In quel momento, a Roma, Totti ha sentito una fitta allo sterno.

Da questa angolazione, invece, possiamo ammirare l’espressione di Seijas, che probabilmente si rende conto di aver fatto una minchiata colossale.

https://twitter.com/TIP_RETURNS/status/744317563467882496

I tifosi non la prendono benissimo.

Scampata a questi pericoli, nel secondo tempo l’Albiceleste chiude la partita con Messi, il giocatore simbolo, quello che sembra (e sottolineiamo sembra) essere assurto finalmente al ruolo di leader del gruppo, personalità capace di illuminare il cammino della sua nazionale con sicurezza.

https://twitter.com/Placard365/status/744353419348021250

La bellezza delle cose semplici.

Come ogni supereroe, anche Messi ha il suo mezzo di trasporto personale.

https://twitter.com/MessiMobile/status/744267828170108928

Quanto paga di assicurazione?

Al secondo tentativo di testa, Rondón segna e riaccende le speranze venezuelane.

Otamendi dove sei?

A chiudere la partita ci pensa Erik Lamela con la complicità di Hernández.

Nel Venezuela quello che ci ha fatto innamorare è Salomón Rondón. Uno che ha garra da vendere.

https://twitter.com/BasiaGortych/status/744330593039679488

E stavano già sotto di tre gol.

L’Albiceleste sembra ormai la favorita numero uno. Riuscirà a reggere il peso dei favori del pronostico? Ma soprattutto riusciranno i calciatori argentini a fare gruppo e a essere un po’ più contenti per il raggiungimento della semifinale?

Messico-Cile (Gabriele Anello)

Peccato che il quarto di finale disputato stanotte a Santa Clara abbia smontato qualunque convinzione di vittoria da parte dei messicani. Il Cile per una sera è tornato quello di un anno fa, anzi: ha fatto qualcosa di diverso (e quindi di migliore).

https://www.youtube.com/watch?v=hAv8Uz48BKU

Nel nuovo corso guidato da Juan Carlos Osorio, il Messico aveva giocato dieci partite, vincendone nove e pareggiandone una. La prima sconfitta è sempre quella che rimane più impressa, specie se è un 7–0 in un quarto di finale di Copa América.

Sono le statistiche a certificare quest’impressionante black-out avuto da El Tri:

Un tiro in porta. Uno contro UNDICI.

Alexis Sanchez ha raggiunto 34 reti (come Ivan Zamorano), Vargas ha superato lo storico Caszely e la sua media-gol in nazionale fa onestamente spavento: 31 marcature in 58 partite con La Roja.

Il resto della partita dice poco, se non su Edson Puch: sarebbe dovuto esser parte del gruppo che ha vinto la Copa América dell’anno scorso, ma un infortunio lo lasciò fuori a beneficio di Francisco Silva. Ieri invece Puch — carriera da giramondo tra la propria patria, Dubai, l’Argentina, l’Ecuador e attualmente il Messico — ha segnato i primi due gol in nazionale.

Chissà, magari è stata la partita della svolta anche per Pizzi. Il nuovo ct, erede del dimissionario Sampaoli, porta con sé il fardello di questa eredità: nonostante la qualificazione dal girone, le prime tre partite e le precedenti amichevoli non avevano convinto la critica. E ora questo 7–0, che però Pizzi ha accolto con molta tranquillità: «La partita è stata simile a quella di venti giorni fa (Messico e Cile si erano affrontate in un’amichevole pre-Copa, ndr), ma questa volta siamo stati molto concreti. Certo, abbiamo alcune cose da rivedere, ma abbiamo giocato bene».

https://twitter.com/LaRoja/status/744378470654959617

https://twitter.com/ESPNStatsInfo/status/744376190979481600

https://twitter.com/ESPNStatsInfo/status/744387965598720000

https://twitter.com/ESPNStatsInfo/status/744379754606895104

Non benissimo, diciamo.

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