La fallita redenzione filosofica di Joey Barton

Crampi Sportivi
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8 min readDec 16, 2016

Cito testualmente: “Barton è veramente un cretino però, nell’occasione più importante della sua squadra, da capitano…e adesso dà un calcio ad Aguero! Barton è un criminale, un criminale, infatti è stato in galera due volte. È uno stupido e un criminale, è uno stupido per la sua squadra ed è francamente un criminale e difatti è un ex galeotto”.

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Massimo Marianella, anno del Signore 2012, continua la reprimenda più famosa ad opera di un telecronista italiano aggiungendo aggettivi come “vigliacco” e insistendo sulla non necessità di vedere uno come lui su un campo di calcio. Conclude con, “è un giocatore vergognoso”.

Il giocatore in questione, Joseph Barton, veste in quel momento la maglia del QPR, la sfida è contro la sua ex squadra del Manchester City. È passato tempo ma quell’invettiva mi ha sempre turbato: quello che fa Barton quel giorno è antisportivo e meritevole di espulsione, ma serviva tutto quel fiume di parole? E soprattutto, rivangare il passato, per quanto discutibile, di un uomo serve a giudicarlo per un’azione nel presente?

Sono partito da quella telecronaca ed entrato nel campo della “filosofia” spicciola perchè di lì a poco sta per nascere, o almeno sta provando a farlo, un nuovo Joseph Barton, che a me, involontariamente, affascina. L’ormai ex calciatore dei Rangers Glasgow, scelta di pancia quanto mai fallimentare, si è iscritto da qualche anno alla Roehampton University di Londra. Il corso è proprio quello di filosofia. Da quel settembre 2013, mese della sua iscrizione, Joey Barton tramite il suo profilo Twitter è diventato un opinion leader, con oltre 3 milioni di followers. Ha condiviso frasi di grandi filosofi e dispensato le sue passioni letterarie e frasi ad effetto su ogni singolo evento. Tramite alcuni estratti di interviste, tweet e citazioni ripercorriamo la sua vita. “Occhi spalancati, orecchie aperte, cervello impegnato”.

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“Per 32 anni ho affrontato questo viaggio, questa ricerca del senso, che mi ha portato in alcuni luoghi bui, fino ad una cella di prigione”, Joseph Barton, settembre 2014

Partiamo con il concetto principe della filosofia: la ricerca del senso dell’esistenza. In un’accezione quasi esclusivamente metafisica il filosofo deve occuparsi di questo, del viaggio disinteressato verso la verità. Il senso profondo delle cose e il significato stesso della nostra esistenza sono il motivo che muove la filosofia e in questo caso Barton ad iscriversi speranzoso all’università. I luoghi bui che nomina in questa intervista sono per prima cosa quelli della sua infanzia, il sobborgo di Huyton a Liverpool, “da dove vengo io, la violenza è la norma”. Cresce con la nonna, con la negatività della separazione dei genitori e i rifiuti da parte del club per cui faceva il tifo, l’Everton. In quel periodo ha reso la rabbia la sua benzina, l’energia con cui superare le difficoltè quotidiane e la superiorità tecnica evidente degli altri giocatori. Quando quel carburante si è scontrato sulla realtà del calcio inglese, della pressione di un club come il City e sull’impossibilità di sbagliare anche una sola partita, si è ricaricato con altri mezzi: l’alcol.

Non ha bevuto fino a 17 anni, ma dai 22 ha iniziato con regolarità. “Non mi piaceva il sapore”, ma nonostante tutto basa la sua sicurezza sul buio di un pub. Curiosamente è proprio in quel momento che un giornalista lo chiama “Joey”. È la prima volta, nessuno in famiglia lo ha mai fatto, dove veniva utilizzato invece il suo vero nome Joseph; è come se in quel momento cambiasse qualcosa in lui e nascesse un nuovo, più cattivo, Barton.

“Abbi il coraggio di conoscere”

Immanuel Kant, 1784

Sapere aude, il motto oraziano dell’Illuminismo secondo il filosofo tedesco, è la frase che Barton contrapporrebbe idealmente a suo padre se potesse tornare nel passato, ripensando all’incapacità paterna di frenare la sua irruenza. Nonostante tutto la forza delle sue idee non lo spingono verso la conoscenza, ma più che altro ad un’esistenza alla Peter Pan, un bambinone che non vuole crescere e lo dimostra con le sue sconsiderate azioni. Mi soffermerò solo sui gravi eventi principali, soprassedendo sulle varie risse ed espulsioni in campo: durante la festa di Natale del 2004 con i Citizens, spenge un sigaro sul volto di James Tindy, calciatore delle giovanili; in Thailandia per un tour estivo litiga con un ragazzino, tifoso dell’Everton. L’evento lo si può collegare a quello dell’anno dopo, il 30 settembre 2006, quando mostra il sedere alla curva dei Toffees a fine partita.

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Dopo essere finito a processo (verrà scagionato) per una rissa con un tassista di Liverpool, durante un allenamento nel maggio del 2007 riempie di pugni il compagno Ousmane Dabo, che lo denuncia portando Barton nel carcere di Manchester e lontano dai Citizens; condannato a 4 mesi di prigione con pena sospesa e più di 200 ore di servizi sociali, Barton finisce la sua esperienza a Manchester e finisce alla corte di Allardyce con la maglia bianconera del Newcastle. Il “Ban him” con cui titola il “News of the World” dopo un’entrataccia nel derby, dà il polso della sua esperienza sul Tyne.

La sua vita svolta in negativo: una rissa, l’ennesima, per il centro di Liverpool, ripresa dalle telecamere di sicurezza, gli costa il carcere, stavolta per davvero. Sconta solamente 77 giorni, ma quando esce, il 28 luglio 2008, ha ormai dichiarato di voler farla finita con questa vita e con l’alcol. Non sarà proprio così: prosegue tra alti e molti bassi la sua carriera con i Magpies. Il simbolo delle successive tre stagioni in Premier non sono tanto i falli o i litigi in campo, quanto l’accoglienza che gli viene riservata dopo i due mesi in cella dai tifosi dell’Arsenal.

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In quello stadio, quel giorno, Joey Barton capisce di non piacere a nessuno. Probabilmente non piace neanche a se stesso ma la sua ricerca della normalità si infrange sulla cessione decisa dal Newcastle. Come lui stesso ha ammesso, per 28 anni, quindi pressapoco fino al momento del suo arrivo al QPR, non si è fidato mai delle persone che lo hanno circondato, nessun amico intimo, nè una donna al suo fianco (la prima che ha amato dice di averla lasciata a Newcastle proprio andando verso Londra). Con il QPR prova per la prima volta un senso di superiorità, quello che ha patito in passato, ma che ora ha l’impressione di poter provare; si trova in una realtà più piccola rispetto al City e al Newcastle, e sente di poterla dominare a suo piacimento.

“C’è sicurezza nel gregge, ma mai illuminazione o l’individualismo”, 20 luglio 2011

Così la pensa Barton quando raggiunge il QPR. Ne diventa il capitano, ma senza volerlo: “l’unico modo che conoscevo per guidare era la violenza bruta”. Capisce di non essere nè carismatico, nè un sapiente comandante come Kevin Nolan nei Magpies. In quella giornata contro il Manchester City, quando Marianella lo distrugge in telecronaca, Joey Barton mette un punto alla sua carriera, o almeno a quella che ha vissuto fino a quel momento. Resta fuori squadra, si allena con un club di League Two ma ottiene il trasferimento in prestito a Marsiglia.

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Potete tradurre da soli

La stagione 2012–2013 non cambia la sua attitudine e questo tweet che non necessita di traduzione segna, a mio giudizio, il punto più basso della vita di Joey Barton. L’insulto gratuito verso Thiago Silva lo spinge lontano da Marsiglia e dal calcio francese, dove, a suo dire, si trovava magnificamente.

A segnare finalmente una svolta è l’estate del 2013. Un evento tragico lo costringe ad assumersi la responsabilità delle sue azioni: la morte di suo nonno, l’uomo che lo ha cresciuto.

Reazione alla francese

“Ero al capezzale di mio nonno e vedevo tutta la gente che era accanto a lui, e forse mio nonno non aveva mai realizzato come aveva influito sulle persone che gli erano vicine. Mi ci sono immedesimato, e ho capito. Quale sarà il mio influsso sulle persone, cosa lascerò? Essere bravo a pallone? Lascito di merda”, settembre 2014

In quel momento Barton sta leggendo la vita di Gengis Khan e si sofferma in particolare sulla ricerca da parte dell’imperatore mongolo dell’amicizia dei monaci per trovare la “chiave” della vita eterna. Vedendo spirare quello che ha rappresentato il suo vero genitore, Barton finalmente viene “illuminato”. Essere bravo a pallone, può giovare solo a lui, ma essere “un padre orribile e una testa di cazzo nella vita” può creare danni a tutti, anche a se stesso. Il senso della vita si trova, parafrasando il suo concetto, nella conquista dell’eternità tramite la propria famiglia: “io credo che si vive in eterno attraverso i proprio figli, loro sono l’eco dei loro genitori”.

Qui trova la forza di cercare la soluzione dei suoi problemi non più nell’alcol o nella rabbia (anche recentemente ha seguito un corso per la gestione della rabbia), ma nella conoscenza, impersonata dai corsi di filosofia a cui partecipa e ai libri che legge, dal Principe di Machiavelli alla Repubblica di Platone, fino alla Lettera a Meneceo di Epicuro.

“Io amo causare caos, non fisico, ma intellettuale”, aprile 2014

Questo è il nuovo Barton nella rappresentazione mediatica che lui stesso ha dato di sé. Il caos ne rettangolo verde viene sostituito (ho forse solo accompagnato) dal suo essere politicamente scorretto su Twitter o sui suoi libri. Ha creato un’immagine totalmente diversa rispetto a quella che, secondo lui, i media convenzionali hanno dato della sua persona. Usa Twitter per “negare” in maniera provocatoria gli altri mezzi di comunicazione; come lui stesso ha ammesso, “è stato come dare una scatola di fiammiferi a un piromane”. Si è trasformato nell’uomo buono che ha preso cattive decisioni e che ora riesce a comprendere la realtà che lo circonda con un rinnovato spirito critico. Così le sue opinioni, che raggiungono oltre 3 milioni di persone (per fare un raffronto l’ex Primo Ministro Cameron sta sull’1.61 milioni), spaziano dagli argomenti più differenti: contro l’omofobia, la crisi dei rifugiati, gli attacchi terroristici di Parigi , sulla Brexit e Boris Johnson, sugli hooligans all’Europeo e addirittura sulla morte di David Bowie. Tra i suoi vari tweet aveva anche espresso la sua preferenza per il Celtic, subito negata non appena ha firmato con i Rangers (qui c’è il vecchio tweet, più un sondaggio “Joey Barton verrà espulso durante l’Old Firm?”).

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Un altro tipo di accoglienza

Ormai il suo motto è: “Io sarei felice di andare in carcere in nome del libero pensiero. Io non ho problemi con ciò che ho detto. Make me a martyr…”.

Di certo il percorso di redenzione filosofica sembra ufficialmente fallito. Lo hanno stabilito proprio gli scozzesi dei Rangers che, dopo avergli dato una possibilità, hanno deciso di sposare cause più probabili dopo la lite con il mister Warburton a seguito del 5–1 contro il Celtic. Il peso delle aspettative lo ha schiacciato come ai tempi del City: “mi hanno costruito come fossi Neymar o Messi, ma io non sono quel tipo di giocatore”. Vecchi problemi, nuova citazione da utilizzare riportata, ancora una volta, da Barton sul suo profilo Twitter; l’autore stavolta è il suo filosofo preferito, Friedrich Nietzsche.

“Tu hai la tua strada. Io ho la mia.

Come per la strada giusta, la strada corretta, un’unica strada non esiste”.

Articolo a cura di Lorenzo De Alexandris

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