La galassia di Starbury

Marco A. Munno
Crampi Sportivi
Published in
7 min readMay 25, 2018

Con la generazione attuale di campioni nel loro prime (da James a Curry, passando per Durant, Harden e Westbrook) e quella futura che si affaccia alla lega (capitanata da Towns, Antetokounmpo, Embiid, Jokic e Porzingis), poco è rimasto delle stars NBA di inizio millennio.

Dirk Nowitzki ha ceduto lo scettro di prima punta dei Mavericks; Pau Gasol ha raggiunto Ginobili e Parker per un’uscita di scena rallentata nel sistema di pallacanestro aulico degli Spurs; Paul Pierce, ritirato a fine stagione scorsa, ha completato il giro dei palazzetti quasi sempre da spettatore non pagante; Vince Carter ha collezionato scampoli di partita a Sacramento, piazzando talvolta giocate bonus degne del Vincredible che fu.

Alla rassegna si è da poco aggiunto un altro appartenente alla categoria, che ha chiuso la sua esperienza da cestista l’11 febbraio scorso, 41 enne nella lega cinese: rullo di tamburi, si parla della più controversa stella di quei tempi che era ancora in attività, Stephon Marbury.

Non è stata aperta la busta col nome sbagliato: il nominato è proprio la stella newyorkese, che mescolando una parte di nome e una di cognome coniò il soprannome Starbury e si fissò centro della propria galassia nel sistema EGO.

Quella che andiamo ad esplorare per vedere cosa gravita intorno a Stephon.

Il gioco

La carriera NBA di Starbury recita medie di 19.3 punti e 1.2 rubate a partita. Con 6471 assist in totale, è il 25° nell’intera storia della NBA. Insomma, le cifre ci raccontano che grande attaccante fosse, letale al tiro e nell’uno contro uno, nonché ottimo passatore.

I numeri non dicono tutto però: per sua fortuna non raccontano le pause prese in difesa e per sua sfortuna non mostrano quanto fosse decisivo quando le motivazioni erano al massimo.

Primo All Star Game in carriera per Marbury, gara punto a punto: chi prende il tiro della vittoria?

La famiglia

Dopo il ritiro di Mark Jackson, in quel di New York erano alla ricerca del prossimo playmaker autoctono in grado di far la differenza in NBA, nel ruolo prediletto nella Grande Mela.

Si sparse la voce che il prossimo sarebbe uscito dal sobborgo di Coney Island: in zona gioca un tale Jamel Thomas e il suo fratellino Sebastian Telfair sta crescendo seguendo le sue orme. Ma il migliore è il cugino, non a caso chiamato Coney Island finest: tutti gli pronosticano un futuro da stella nella lega, sin dalle gare fra high school è una sorta di celebrità, col giornalista Darcy Frey a seguirlo documentandone la storia nel suo libro “The Last Shot”.

Il miglior rampollo familiare

E infatti sarà lui, Stephon Marbury, quello che in futuro brillerà fra i parquet NBA: il piccolo Telfair arriva nella lega, ma non incide, e Jamel Thomas, uscito in fretta dal giro dei pro, siamo sicuri abbia ascoltato nelle cuffiette, nei suoi trascorsi italiani a Biella e Teramo, un certo pezzo di Elio e le Storie Tese.

Lo streetball

Si può capire come i giocatori che primeggiano in uno dei due lati della forza spesso non riescono nell’altro (chiedere a “Skip to my Lou” Rafer Alston), esclusi pochi eletti nella storia.

Fra questi, rientra il nostro Stephon: per referenze, citofonare a Vlade Divac.

Sommando il tutto alla città di provenienza, così famosa per i suoi playground a partire dal Rucker Park, quando fu lanciato il videogioco NBA Ballers, quello dedicato alle sfide face to face ai campetti, vi viene in mente un testimonial migliore?

Le scarpe

A partire da Kareem Abdul Jabbar, ogni star NBA che si rispetti ha avuto una linea di scarpe a lui dedicato: le Kobe, le Lebron, le KD, le Harden, per non parlare dell’iconico marchio Jordan.

Allora cosa hanno di particolare quelle di Stephon? Il fatto che la sua linea di scarpe l’abbia inventata lui.

In memoria dei tempi in cui non poteva permettersi un paio di scarpe di marca, Marbury creò la propria linea Starbury, con la Steve & Barry’s azienda partner per la vendita, così da mettere sul mercato modelli performanti a prezzi popolari.

Al progetto crede tantissimo, tanto da tatuarsi direttamente il logo sul cranio.

Furore ai colloqui di lavoro

Peccato che Steve & Barry’s sia fallita poco dopo il lancio, e solo dal 2015 la linea sia di nuovo disponibile in vendita su www.starbury.com.

Se affidarvi all’ultimo modello, quello controllabile via bluetooth da una app sullo smartphone, giudicate voi:

L’autostima

Si dicono tante brutte cose sull’egoismo di Marbury, ma vi assicuriamo che non è così.

Certo, a suo tempo dichiarò che dopo la NBA avrebbe giocato in Italia, visto che alla moglie piaceva il paese e il suo trasferimento sarebbe stato iconico come quello di David Beckham ai Los Angeles Galaxy. Senza che poi nel Belpaese si sia mai visto, forse perchè nel frattempo ci arrivò lo stesso Spice Boy a portare la luce della propria stella.

Furore ai colloqui di lavoro pt.2

Vero, andò via da Minnesota dopo averla portata ai primi playoffs della storia della franchigia, ma quel Garnett era proprio un cattivone per andarci d’accordo. E poi lui nelle foto sui cartelloni pubblicitari veniva molto meglio per restare dietro a KG nei photoshoots e nel libro paga.

Certo, durante gli anni ai Nets si presentò con la scritta sulle scarpe “All Alone 33”, ma non era un segno di sfiducia nei compagni: si trattava solo di una prova per il disegno delle future Starbury.

E poi, coach D’Antoni lo caccia dai Phoenix Suns dopo un paio di mesi di convivenza, e una volta coronato il sogno da ragazzino di essere la stella del team della nativa New York, i Knicks assumono proprio coach Mike?

“Are you kidding me?”

Va bene. Tutti i coach precedenti ebbero un rapporto problematico con Starbury, ma l’arrivo dell’allenatore col baffo fu un totale affronto, col torto aggiunto di impedirgli la sola presenza ad allenamenti e partite finché non fosse ceduto. Però Stephon non si può mica trattare come Enzo Jannacci: allora contro i Lakers la partita la vede, in prima fila allo Staples Center. È un suo diritto, il biglietto l’ha comprato, per vedere un po’ alla luce del sole l’effetto che faceva.

La Cina

Non c’è Tevez o Oscar che tenga: Starbury portò i suoi talenti al servizio delle facoltose platee orientali before it was cool.

Nel campionato cinese è una supernova: cifre da sogno, MVP della stagione regolare, MVP delle finali, i primi tre titoli in carriera conquistati.

La grandezza raggiunta però va oltre: per Starbury arriva la statua celebrativa fuori dal campo d’allenamento.

Poi addirittura un museo dedicato, la “House of Marbury”.

Infine un film sulla sua biografia, con la personale e assolutamente non egomaniaca interpretazione di sé stesso.

Insomma, manca solo la sua aggiunta come quinta stella sulla rossa bandiera nazionale.

La cultura popolare

Una tale luce non poteva certo lasciare indifferente il mondo contemporaneo, desideroso di attingerne il riflesso per riversarlo nei più svariati campi artistici.

Nel cinema: il famigerato regista Spike Lee, nel suo capolavoro He Got Game, lo menziona come esempio di leggenda newyorkese ad aver sfondato in NBA al protagonista del film Jesus Shuttlesworth, studente nella high school di Abraham Lincoln, come Stephon stesso.

Nel teatro: nell’amata Cina va in scena un musical allegoricamente inspirato alla sua vita, “I am Marbury”, in cui un paio di musicisti da strada provano a sfondare nell’industria che conta superando gli ostacoli che si presentano. Se vi chiedete cosa c’entri quindi Stephon, la spiegazione è stata che egli rappresenti un’ispirazione per tutti gli sfavoriti che arrivano al trionfo. Se neanche questo vi convince, vi rapirà forse il motto finale:

“I am Marbury. You are Marbury. We are all connected”.

Come non farsi convincere da un’entrata in scena così?

Nella musica: nel singolo “Whatcha Gonna Do” di Big Pun’s, insieme a Kenny Anderson, altro playmaker newyorkese dal cristallino talento sprecato, illumina col 2 vs 2 direttamente from da hood.

In tv: citato per il suo arrivo ai Knicks nell’episodio “My Porcelain God” di Scrubs, è sempre stato indefesso nell’apparire sul piccolo schermo per cantarcele tutte. Pure quando le condizioni psicofisiche suggerivano almeno un riposino da questa missione.

Rispondere in diretta definendo la moglie come la sua miglior sgualdrina regala un momento televisivo molto fine

Nella letteratura: Marbury è co-autore del libro per bambini intitolato The Adventures of Young Starbury: Practice Makes Perfect. Sperando che prendano esempio dalle sue gesta, ma con la psicologia inversa.

Nel wrestling: la superstar WWE Montel Vontavious Porter dichiarò di trarre ispirazione da Marbury nel character che impersona sul ring. Arrogante, insolente e presuntuoso: “I am better than you.”

Nel web: in streaming sul sito di Justin.tv, nel 2009 Marbury trasmise la sua vita 24 ore su 24. Per soddisfare la curiosità di chi avrebbe sempre voluto vederlo mangiare vaselina.

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Marco A. Munno
Crampi Sportivi

Pensa troppo e allora scrive. Soprattutto di pallacanestro.