La grande rimonta

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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6 min readFeb 5, 2018

L’Olimpiade rappresenta, per uno sportivo, il punto più alto. L’attesa è così frenetica, l’ansia per il grande appuntamento pervade l’atmosfera ancor prima dell’ingresso vero e proprio nella competizione. La scansione temporale, in questo, gioca ruolo chiave: la rassegna a cinque cerchi torna ogni quattro anni, quindi c’è un lungo intermezzo che ci accompagna da un’edizione a quella seguente.

Una sorta di ponte che collega due mondi, un torrente che via via assume dimensioni più ampie fino a esondare nei pressi dell’evento. Un crescendo emozionale che coinvolge non solo gli addetti ai lavori, ma accarezza anche gli appassionati. Quattro anni, come detto, e ore spese a inseguire un obiettivo, a caccia della miglior preparazione. L’Olimpiade in sé non è per solo lavoro e studio, sacrificio e sudore: è dettaglio e fortuna, un frullato multiforme da cui estrarre successo e sconfitta, gioia e dolore.

Manca poco ai Giochi di Pyeongchang 2018. La Corea del Sud ospita l’imminente Olimpiade invernale. Il contingente azzurro è definito, il calendario delle prove fissato da tempo. In un’epoca social non è difficile seguire i passi dei portacolori di casa Italia, selfie che raccontano partenza e arrivo, approdo e contorno nel panorama a cinque cerchi. Arianna Fontana è la nostra portabandiera, con i numeri raccontano di una stagione eccellente e sono il trampolino verso sogni da medaglia. Un ragionamento che vale un po’ in tutte le discipline. Cavalchiamo le buone cose di questi mesi, ci facciamo forza l’un l’altro. Spesso, quando si scruta un orizzonte ingombrante, si cerca un punto d’appoggio, un alleato da cui trarre forza e fiducia. Il passato, in questo senso, è fondamentale, è oasi di ristoro, una sorgente a cui abbeverarsi.

Le imprese delle precedenti edizioni hanno il sapore dolce della tranquillità, contengono un fuoco in grado di accendere e stimolare, sono al contempo portatrici di serenità e adrenalina.

Nel corso degli anni, nel corso della varie Olimpiadi invernali, l’Italia si è tolta diverse soddisfazioni: un paese che ha osannato figure in grado di proporre il meglio in un contesto ad alta pressione, in grado di spogliarsi del semplice abito di atleti per incarnare una nazione. Memorabile è la volata di Fauner a stampare la Norvegia nel fondo e sempre a proposito di fondo, indimenticabili le figure di Di Centa e Belmondo. Lo slittino di Zoeggeler, l’eleganza della Compagnoni, simboli di un’Italia nobile, operaia e vincente.

Nel pezzo corrente, vogliamo ripercorrere una tappa sì da medaglia, ma non del metallo più pregiato. Un’impresa, termine di cui forse abusiamo, può esser tale al di là dell’effettivo risultato. Non solo chi si impone, non solo chi si pone al petto un oro deve essere celebrato. Scegliamo qui, quindi, di ricordare l’Alberto Tomba di Lillehammer, secondo e battuto.

Prima di entrare nel merito della gara, una piccola introduzione sul personaggio Tomba. Quando parliamo di profili in grado di bucale lo schermo, di trascendere il mero ruolo di sportivo, ci riferiamo per l’appunto a gente come Alberto Tomba. Professione sciatore, in realtà molto altro. Esuberante, in pista quanto fuori, una carriera percorsa lungo il crinale tra successo ed eccesso. Una pioggia di vittorie, qualche interrogativo. Tutto e il contrario di tutto, con quell’aria guascona apprezzata ben oltre i confini del suolo natio. Alberto è stato patrimonio dello sport, si è espanso a macchia d’olio, contaminando, nel senso più positivo del termine, il circuito di coppa. Ha lasciato un segno tangibile in tre edizioni dei giochi invernali, da Calgary ’88 — due ori e un argento, firma in calce a un’ascesa poderosa — per giungere ad Albertville e Lillehammer.

Uno dei due ori a Calgary ’88. Tomba ha solo 21 anni.

Proprio in Norvegia, il nostro treno dei ricordi deve fermarsi. Qui risaliamo per raccontare l’Alberto sciatore. Fenomeno delle discipline tecniche, interprete di livello in gigante, padrone assoluto dello slalom. Tomba sbatte sul primo appuntamento cerchiato in rosso sul calendario: non conclude il gigante e si presenta così allo speciale con un unico colpo in canna, il rischio è quello di salutare la rassegna a mani vuote. Spalle al muro, confinato in un angolo, ha due minuti, qualcosa meno, per mutare la storia.

L’approccio non è di certo accomodante. Tomba indossa il pettorale n.1, ma paga un tracciato ghiacciato nelle prime dieci porte. La preparazione dei materiali non è ottimale, il campionissimo deve difendersi e fatica a tenere, finisce sempre oltre la linea perfetta. Un concentrato di sbavature che costa un ritardo pesantissimo. Alberto commette un secondo errore grave in uscita dalla tripla posta prima del pianetto conclusivo e scuote il capo. A conferma delle sue paure, le successive discese.

I principali rivali ritoccano il suo riferimento, Kosir, Jagge, Aamodt, ma soprattutto Stangassinger. L’austriaco, in palla all’alba della stagione ma poi in chiaroscuro prima della tornata olimpica, ritrova fluidità e sfrutta un pendio meno ostico. Stangassinger è uno slalomista puro, fonda le sue fortune su una tecnica sopraffina. Caschetto tipico, scivola via, assorbendo ogni quesito. I movimenti sono essenziali, ridotti al minimo. Solo una volta rischia, ma la rapidità d’azione evita ogni contraccolpo.

Il cronometro certifica la perfezione della prova, è primo. Tomba è addirittura a 1.84, un’enormità. Quel che più spaventa è per la mole di avversari che separa dal podio, Alberto è dodicesimo.

Serve un’impresa alla Tomba, serve una seconda d’eccellenza. L’azzurro basa la sua sciata su altri principi, riesce a coniugare potenza e rapidità: il suo segreto è riversare sul bianco del pendio una forza sovrannaturale senza per questo rallentare il suo incedere. Scappa via in uscita di curva, un balzo repentino accompagna alla successiva porta, una sorta di tamburo, un battito ritmato. Eppure, nonostante il cambio di materiali, anche la seconda porzione ci offre un Tomba in difetto. La seconda porta — il ghiaccio giocherà ruolo chiave più avanti — costringe Alberto a un miracolo, perde gli sci, ma riemerge e si salva. Qualche secondo per ritrovare il passo, per dare un senso alla sua Olimpiade. Nella zona intermedia è una scheggia, scompare per riapparire poi nei pressi del piano. Leggera imperfezione e poi l’ultima trenata. Tomba si abbassa, pattina, taglia il traguardo. Ancora una volta occhi bassi.

“Non ho sciato come volevo”, laconico.

Quel che Alberto non calcola, nell’occasione, è per l’imponenza dell’appuntamento. Tomba desta preoccupazione anche in una giornata grigia. Alla partenza, è inevitabile volgere lo sguardo alla classifica parziale e il nome di Alberto, lì in cima, blocca gambe e mente. In molti guadagnano in avvio, tutti prestano il fianco poco dopo. Lo scorrere dei secondi aumenta le possibilità di “Tomba la Bomba”, ma sono in pochi a credere ancora nell’impronosticabile.

Kosir incassa 36 centesimi al termine; Jagge, davanti di 8 decimi al primo intermedio, è già dietro al secondo. Punti di rottura, campanelli d’allarme. La tensione prosciuga Sikora, uno dei grandi rivali di Alberto. Sbanda a più riprese, fino a salutare anzitempo la competizione. Restano Roth, Aamodt e Stangassinger. Il tedesco, un veterano, inforca alla seconda porta, dove si accascia anche Aamodt, in uno speciale a prima vista costruito secondo le sue caratteristiche, con porte distanti e il giusto tempo per mutare direzione.

Stangassinger ha un cuscinetto di vantaggio cospicuo, non può perdere. L’oro olimpico, virtualmente appeso all’arrivo, inibisce anche l’austriaco, l’ombra di Tomba risale alle spalle di Stangassinger, minacciosa. Centesimi sul tracciato, pesanti. A Thomas ne restano solo sedici, validi per vincere la gara, non per cancellare la rimonta di Alberto, incontenibile al traguardo. Imprese che vanno oltre il successo.

Articolo a cura di Johnathan ScaffardiClasse ’84, la passione per lo sport coniugata al piacere della scrittura. VAVEL Italia da qualche anno la mia casa, sognare è doveroso.

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