La griglia che vorremmo per la F1 2017 (e che invece non avremo)

Crampi Sportivi
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16 min readAug 25, 2016

Che caldo che fa. Sono le 16 del 31 luglio 2016 e l’unico pensiero che hai è quello di spegnere la televisione. Si è appena concluso il GP di F1 in Germania, in una stagione che si prende una pausa dopo l’appuntamento di Hockenheim, l’ultima prima delle vacanze estive.

Il campionato — almeno in testa — sembra aperto. Qualche cambio nelle gerarchie s’intravede, ma non a livello di costruttori. Ho visto la Formula 1 anche in tempi meno competitivi: se ripenso ai domini Ferrari con Schumacher (2001, 2002 e 2004) o Red Bull con Vettel (2011 e 2013), c’è quasi da esser sollevati: un dominio di un costruttore propone per tre anni di fila un Mondiale comunque competitivo. Magari solo all’interno della casa dominatrice, ma almeno c’è un filo di combattimento.

Eppure la Mercedes e la sua superiorità sono solo la punta dell’iceberg. Visto quanto la F1 2016 ha offerto, sono altre le preoccupazioni.

Un formato delle qualifiche prima promosso dalla dirigenza, poi bocciato da piloti e fans e infine sostituito dopo due gare.

Il divieto alle comunicazioni radio (che da sempre hanno costituto un elemento di questo sport: just leave me alone).

Le partenze sotto la Safety Car di fronte alla normale pioggia.

La scelta di costruire circuiti in posti che non hanno niente da offrire (se non molti soldi), con un lay-out deciso SEMPRE DALLO STESSO UOMO. Per non parlare di un capo critico verso lo stesso prodotto che tenta di vendere.

L’ultima goccia è stata la confusione nei regolamenti. Rosberg ottiene la pole in Ungheria con doppia bandiera gialla? Tutto ok. Ci sono contatti netti in pista che meriterebbero uguale trattamento? Niente da fare. C’è un direttore di corsa ormai inadeguato? Lo si lascia lì, nonostante abbia probabilmente sulla coscienza fatti ben più gravi.

Quando ho spento il televisore dopo la gara di Hockenheim, la sfiducia ha riempito l’aria attorno a me. Come migliorare uno sport che non sembra voler cambiare, almeno nelle sue componenti dirigenziali? Tra il caldo e il mind-fuck causato da queste domande, il sonno mi ha accompagnato verso l’estate più profonda.

Arriva il tempo perfetto per chi ha deciso di andare in vacanza. Per una volta mi sono allineato e mi sono ritrovato a un bar sul mare. Di fronte al mio cocktail e alle onde del mare, ho incontrato qualcuno veramente simile a un vecchio amico che non vedevo da un po’. Ha un cappellino al contrario e una maglietta attillata, ma un simbolo tricolore mi fornisce l’associazione giusta.

«Scusi… ma lei è per caso Pastor Maldonado?».

«Sì, dimmi pure».

«Signor Maldonado, è un piacere conoscerla. Posso scambiare due chiacchere con lei?».

«Figurati. E basta con questo lei, diamoci del “tu”».

«Ok, Pastor… come te la passi? Intendo dopo la F1? Mi dispiace che la Lotus ti abbia appiedato».

«Beh, ora si chiama Renault e io intendo comunque rientrare, anche se sono rimasto a piedi…».

«A giudicare dalle performance delle Renault, non ti sei perso niente».

«Capisco che non possono ancora puntare al Mondiale, ma stare su una macchina che va regolarmente a punti è qualcosa che non mi è mai capitato».

Trasalisco un attimo. La Renault a punti? Ma quando? Nel 2016?

«Scusami, Pastor… non mi sembra che vada granché quel camion giallo».

«Scherzi? Dai, capisco che magari non stanno crescendo velocemente come vorrebbero, ma han fatto due podi. Sono buoni risultati».

«Ma quando? Non hanno fatto solo sei punti in Russia?».

«No, podio a Montecarlo e in Cina. E sono solo tre mesi che è iniziato il campionato 2017».

«Pastor, ma che giorno è oggi?».

«Mi prendi in giro?».

«No. Ammetto di no. Vorrei dirti che sono ubriaco come Kimi Raikkonen ai tempi d’oro, ma no».

«10 giugno 2017».

«Non è uno scherzo, vero?».

«No».

Avevo due chance: scappare urlando come un pazzo o farmi raccontare per filo e per segno cos’era cambiato in quella Formula 1. Perché se un ex pilota parlava con naturalezza di un camion improvvisamente da podio, allora anche qualcos’altro doveva esser cambiato.

«Pastor, hai un mezz’oretta per farmi un riassunto?».

«Seguro. Dai, offro io».

F1 2017

Sapevo che la Formula 1 sarebbe stata molto diversa dal punto di vista tecnico e regolamentare. Nuove gomme dal diametro molto più largo e quindi che si consumano di meno, macchine sconvolte come nel 2014, quattro power unit all’anno invece che cinque. Quello che invece non sapevo è quanto la griglia sarebbe cambiata nel 2017.

Il 2016 si è concluso con la vittoria di Lewis Hamilton. Dopo esser andato in pausa estiva con la guida della classifica, non l’ha più mollata: non ha vinto così in anticipo come nel 2015, ma a un GP dalla fine — nella cornice di San Paolo — ha chiuso la pratica portando a casa il suo primo GP del Brasile, un circuito per lui maledetto.

Eppure sapeva che avrebbe festeggiato: si è tolto anche lo sfizio di vestire per l’occasione una replica del casco di Ayrton Senna, da sempre suo idolo assoluto. E del resto, c’è un dato statistico che l’ha segnato sin dalla vittoria a Silverstone: ogni volta che ha trionfato nel suo GP di casa, Hamilton è stato campione del Mondo alla conclusione di quell’annata.

Abu Dhabi si è trasformato in un gigantesco ultimo giorno di scuola. Anzitutto perché non c’era più nulla da giocarsi. Anche nei costruttori tutto chiuso in anticipo, con la Red Bull e la matematica certezza di aver conquistato il secondo posto nei costruttori sulla Ferrari. I botti sono arrivati prima e dopo la corsa.

Il pre-gara ha visto molti abbracci. Conscio di un rinnovo che non sarebbe arrivato, Felipe Massa ha salutato la Williams dopo tre stagioni. I media sono subito volati da Jenson Button per capire se il sostituto sarebbe stato lui, ma l’inglese ha a sua volta confermato l’addio alla F1: «Penso di meritarmi un top team: se non posso averlo, forse è meglio chiudere qui».

Ma la vera bomba è stata quella su Kimi Räikkönen. Il finlandese, dopo un terzo posto in griglia, dice che sarà l’ultima gara in conferenza stampa. Qualcuno pensa che l’alcool gli abbia trapanato il cervello. E invece no. Con quel suo fare costantemente scocciato di chi ti sta facendo un favore, il pilota dichiara: «I love my son». Basta così. Spallucce e via.

Il riferimento è a un incidente che Raikkonen ha avuto ad Austin, dov’è uscito senza un graffio per miracolo. Lui, da sempre senza paura, ma ora risposato e con un figlio al suo fianco, ha deciso di smettere. Forse qualche gara di rally, ma niente più.

La gara è un apostrofo tra il pre e il post. Vince Rosberg, ma in conferenza stampa — stretto tra i due piloti Red Bull — ci va giù duro pesante: «È stato un anno orrendo: ho vinto sette gran premi e sono arrivato secondo per la terza volta. Se rimarrò con Lewis, non vincerò mai il Mondiale». E fin qui, tutti tacitamente d’accordo, ma in sala stampa è calato il silenzio.

Quindi? Stai cercando di dirci qualcosa, Nico?

«Ho deciso di lasciare la Mercedes. Nei prossimi giorni vi comunicherò la mia prossima destinazione, ma Toto e Niki (Wolff & Lauda, ndr) sono al corrente di tutto da qualche giorno». Il tutto nonostante un rinnovo fino al 2018 firmato giusto qualche mese prima.

Mentre Rosberg lascia la sala stampa con Ricciardo e Verstappen al seguito, la gente che ha appena chiuso il collegamento reagisce più o meno così.

È la più grande manovra di mercato che potesse avvenire. Unita ai ritiri di due ex campioni del Mondo e di uno che ha comunque disputato poco più di 250 GP, è un terremoto totale per la Formula 1, che non vedeva grossi movimenti tra scuderia dall’inverno 2013–14, quando Vettel, Alonso, Räikkönen e lo stesso Massa avevano cambiato scuderia.

Quando ci si ripresenta per i test di Barcellona del febbraio 2017, il mercato piloti e i cambiamenti nel regolamento non sono le uniche novità della nuova stagione. Pastor mi porta su una pagina Wiki dove c’è lo nuovo schieramento. Per poco non svengo.

Red Bull TAG-Heuer — 3 Daniel Ricciardo (AUS), 33 Max Verstappen (NED) / 40 Antonio Giovinazzi (ITA)

Fin dal dicembre dell’anno passato, tutti hanno la sensazione che le nuove regole mischieranno nuovamente la griglia, proprio come nel 2014. E l’impressione è che la squadra che ha fatto meglio i compiti a casa sia la Red Bull.

Non solo perché ha confermato i due piloti titolari, che riescono a rispettarsi nonostante partano alla pari nel pre-stagione (Ricciardo ha concluso il 2016 davanti a Verstappen di un punto, ma poco importa). Più che altro perché la Red Bull sembra tornata competitiva: le sette vittorie raccolte in tre anni di dominio Mercedes potrebbero replicarsi nel corso dell’intero 2017.

La buona notizia riguarda anche Antonio Giovinazzi: seppur da test driver, c’è di nuovo un italiano in griglia. E sembra già pronto un posto in Toro Rosso per il 2018.

Ferrari — 5 Sebastian Vettel (GER), 6 Nico Rosberg (GER) / 21 Esteban Gutierrez (MEX)

L’inverno è una tormenta per la Ferrari. Neanche una vittoria in un GP, terzo posto in classifica costruttori e armonia fra i piloti spezzata. L’addio di Räikkönen gela Vettel, che sperava nella riconferma dell’amico. Oltre alla volontà del finlandese, una piccola zampata l’ha messa Sergio Marchionne, che ha ordinato due mosse.

La prima: fuori Arrivabene. Il team manager non fiata e viene panchinato per il 2018, quando ci sarà la probabile entrata dell’Alfa Romeo in Formula 1. La seconda riguarda un chiaro imput del presidente: «Voglio due piloti in grado di lottare per il Mondiale. Anche a costo di scontrarsi fra loro e rubarsi punti: è chiaro come questa filosofia non ci porterà da nessuna parte».

Ed è così che a Maranello compare la sagoma di un altro tedesco, voglioso di prendersi la rivincita definitiva.

Nico Rosberg non ci mette molto ad ambientarsi a Maranello, essendo il più italiano dei tedeschi: se non per spirito, quanto meno per storia personale, senza bisogno di imparare l’idioma nostrano. Vettel non la prende benissimo, ma deve stare al gioco: la Mercedes, del resto, ha scelto un’altra strategia.

Mercedes — 44 Lewis Hamilton (GER), 94 Pascal Wehrlein (GER) / 15 Paul Di Resta (GBR)

Se Atene piange, Sparta non ride. La Mercedes è campione da tre anni, ma il cambio di regolamenti preoccupa e non poco la scuderia di Stoccarda. L’addio di Rosberg, però, fa respirare un attimo Toto Wolff: «Credo che quest’anno proveremo un approccio differente nella scelta dei piloti».

Dopo sei anni di coabitazione tra due buoni piloti, la Mercedes opta per gli ordini di scuderia: Hamilton è il leader indiscusso e si vede il contratto rinnovato fino al 2020. Accanto a lui, solo a gennaio la scuderia tedesca scioglie le riserve: Pascal Wehrlein torna alla casa madre dopo tre punti con la Manor e fa il salto di qualità. Un tedesco e un inglese, entrambi di colore: una coppia più fotogenica di loro non poteva esserci.

Il collaudatore dovrebbe essere un giovane virgulto, ma Wolff si protegge con Di Resta, che conosce bene sia il mondo della F1 che la Mercedes.

Williams-Mercedes — 12 Felipe Nasr (BRA), 77 Valtteri Bottas (GER) / 93 Alex Lynn (GBR)

Giunta quarta quasi sul filo di lana nel 2016, la Williams ha bisogno di soldi. La situazione non è grave e l’accordo per i motori Mercedes varrà altri due anni, ma lo sviluppo della macchina non procede. Dai nove podi del 2014 si è scesi ai due del 2016: per avere un passo in avanti, qualche pilota pagante andrà preso.

Con la garanzia Bottas, ci si guarda attorno per sostituire Massa: si annusano Button e Hulkenberg, ma servendo soldi, arriva la soluzione interna. La Sauber — venduta a una finanziaria svizzera — non ha confermato Felipe Nasr, ma i soldi del Banco do Brasil farebbero comodissimo. E poi Nasr è stato terzo pilota Williams nel 2014: in due settimane l’affare è fatto.

Ci vorrà un po’ di tempo, ma almeno la Williams si è assicurata un futuro (ancora) competitivo.

Aston Martin Racing — 11 Sergio Pérez (MEX), 26 Daniil Kvyat (RUS) / 34 Alfonso Celis jr. (MEX)

Se il mercato dei piloti ha provocato discreti terremoti, non ha fatto eccezione quello dei costruttori. L’ingresso meno inaspettato è quello dell’Aston Martin, che già nel 2015 aveva cercato di acquistare la Force India. Tuttavia, un paio di mesi più tardi era nato un accordo con la Red Bull per promuovere il proprio marchio.

Eppure l’Aston Martin voleva di più: la prospettiva di un team tutto proprio è accattivante. Già, ma chi ci costruisce la macchina? Il terremoto arriva in Brasile: mentre Hamilton festeggia il Mondiale, Adrian Newey — genio progettistico della Red Bull — dice che lascia Milton Keynes. Vabbè, non è la prima volta che lo fa. E in fondo la macchina del 2017 è praticamente fatta.

Quello che in Red Bull non sanno è che Newey è già d’accordo con l’Aston Martin, che stavolta preleva la Force India per davvero prima della fine dell’anno. Di norma il gardening impedirebbe agli ingegneri appena rilasciati da altre case di lavorare per nuovi costruttori immediatamente, ma Newey non ha quella intenzione. A metà anno, il suo ruolo di techinical advisor è al muretto, non in fabbrica.

Il patto per la cessione della Force India prevede però due postille. La prima: la fazione messicana di Pérez e Celis jr. tiene il posto. E fin qui nessun problema. Però per portare a termine l’operazione, Newey vuole un pilota che già conosca il suo modo di fare. Eh, però in Red Bull son tutti bloccati, in Toro Rosso pure e quelli bruciati da Marko sono ormai fuori dal circus. A meno che….

A meno che non spunti Daniil Kvyat, ancora col dente avvelenato dopo il trattamento subito nel 2016. Così incazzato che ha lasciato la Toro Rosso già in Messico, lasciando spazio a Gasly.

Kvyat non fa nemmeno finire la proposta a Newey: «Sì, Adrian: ci sono». Quando il russo si presenta ai test di Barcellona, l’Aston Martin gira già abbastanza veloce per essere una nuova arrivata. E il tempo migliore del Day 1 è di quel russo vendicativo, che l’ha fatto con il casco della Red Bull ancora a proteggere la propria testa.

Toro Rosso-Renault — 10 Pierre Gasly (FRA), 55 Carlos Sainz jr. (ESP) / 99 Niko Kari (FIN)

Chiusa l’esperienza Kvyat, la Toro Rosso è l’unica scuderia a non cambiare piloti insieme alla casa madre. Gasly era già test driver alla Red Bull, Sainz non vede l’ora di spiccare il volo verso altri lidi. Lo spagnolo però ha visto quanto andavano veloci le Lattine a fine 2016 e allora quasi quasi rimane, dai. Anche perché la Toro Rosso ha abbandonato la motorizzazione Ferrari dopo un anno ed è tornata con la Renault.

McLaren-Honda — 14 Fernando Alonso (ESP), 47 Stoffel Vandoorne (BEL) / 23 Nobuharu Matsushita (JPN)

Dopo essersi liberato di Jenson Button e aver visto ulteriori miglioramenti della McLaren nei primi test (il podio non è più impossibile), Alonso dichiara: «Questo è il mio ultimo anno: spero di vincere il Mondiale». In molti non gli credono e fanno bene. Anche perché Vandoorne sembra tutt’altro che restio nei confronti dello spagnolo.

Sembra esser tornati indietro di dieci anni, quando lo spagnolo comincia a conoscere Lewis Hamilton: già alla seconda gara i due lottano per un podio sulle strade del Bahrain. Alla fine ha la peggio Alonso, che manda palesemente a quel paese squadra e compagno. Forse alla fine l’avventura Honda gli ha fatto più danni che altro.

Haas-Ferrari — 8 Romain Grosjean (FRA), 45 Alexander Rossi (USA) / 50 Charles Leclerc (MON)

Le grandi novità in casa Haas sono due: la collaborazione con Ferrari si fermerà al 2017, perché l’Alfa Romeo è in rampa di lancio. E allora gli americani già a maggio annunciano un accordo con la Honda per il 2018, di cui diventeranno una sorta di team-B dopo due stagioni da affiliati di Maranello.

Se Grosjean viene confermato, il secondo sedile toccherebbe al monegasco Leclerc di casa Ferrari. Ma a Gene Haas il comportamento di Marchionne e soci non è piaciuto, così a metà febbraio lui sorprende tutti: «Leclerc non sarà il nostro secondo pilota. Marchionne dice che avevamo un accordo? Anch’io pensavo di avere una fornitura pluriennale di motori da Maranello, ma evidentemente ci siamo capiti male».

Al suo posto, Haas punta su Alexander Rossi, che nel 2016 ha vinto la 500 miglia di Indianapolis e ha già corso in F1. Oltretutto, è il ritorno in griglia di un pilota americano all’inizio di una stagione di F1 dopo dieci anni.

Renault — 25 Jean-Eric Vergne (FRA), 31 Esteban Ocon (FRA) / 46 Sergei Sirotkin (RUS)

La Renault ha deciso di cambiare completamente line-up dopo un 2016 difficile. Il primo anno di ri-ambientamento alla F1 è servito, ma c’è bisogno di una coppia più affidabile. Se Palmer ha già lasciato prima di Abu Dhabi, Magnussen ha sperato fino all’ultimo di affiancare Esteban Ocon per il 2017.

Un dubbio sciolto solo a metà gennaio, quando arriva la seconda e-mail che interrompe la carriera in F1 del danese, stavolta per sempre. Al suo posto, la Renault si guarda attorno: si vorrebbe un grande campione, ma Räikkönen ha detto basta e Button non è disposto a soffrire come negli ultimi due anni.

A quel punto, la casa di Enstone va full-France e si prende Jean-Eric Vergne dalla Ferrari, ansioso di tornare in griglia dopo due anni fermo. Sicuramente tra talento ed esperienza il miglior mix a disposizione sul mercato.

Manor-Mercedes — 2 Mick Schumacher (GER), 4 Jordan King (GBR) / 88 Rio Haryanto (INS)

Da sempre associamo la Manor (ex Marussia) a poco o nulla. Ok, quattro punti in F1, ma che altro?

Il giorno in cui la storia della Manor cambia per sempre è il 20 gennaio 2017. La squadra deve ancora decidere i suoi piloti in accordo con Mercedes (che fornisce motore) e Williams (che fornisce le sospensioni), ma un primo accordo con Wolff è già arrivato.

Mick Schumacher, figlio di Micheal e classe ’99, correrà con la Manor.

La notizia è talmente grande che copre per qualche momento anche il resto. Schumacher è ancora chiuso nella sua casa sul lago di Ginevra, nonostante si mormori che stia leggermente meglio. Ma il debutto di suo figlio in F1 — a soli quattro anni e mezzo dal suo secondo ritiro — è una notizia di portata biblica: la Mercedes ha deciso di legarlo a lui per i prossimi quattro anni.

Il suo commento è di poche parole: «Sono felice di quest’opportunità. Ringrazio la Manor e la Mercedes per questa straordinaria chance. Non sarò mai come mio padre, ma spero di dare comunque il massimo e far progredire questa scuderia. Il numero 2? Il 3 era preso da Ricciardo e l’1 non è di mio diritto: è un modo per ricordarmi come mio padre sarà sempre il migliore di questo sport».

Passano persino in piano la conferma di Haryanto come collaudatore e la scelta di Jordan King, sviluppatore della Manor finalmente premiato con un posto in F1.

Audi-Wolkswagen — 9 Marcus Ericsson (SWE), 27 Nico Hulkenberg (GER) / 66 Daniel Abt (GER)

L’altra sconvolgimento di marca nella F1 arriva il 31 dicembre 2015. Quando tutti si preparano a brindare, l’Audi fa uscire un video dal suo canale YouTube appena creato. Si vede la storia della casa tedesca Wolkswagen, i successi dell’Audi nel motor racing e poi appare Nico Hulkenberg che sfreccia via su una macchina di serie. Infine la scritta #WeAreAudi.

Spot semplice, ma efficace: è il segnale che l’Audi stavolta fa sul serio. Dopo tante voci, il trasferimento di Stefano Domenicali comincia ad avere un senso: sarà lui il team manager e Hulkenberg — già lasciatosi con l’Aston Martin e che aspettava un posto in Williams — si lega alla Wolkswagen.

Ma com’è possibile? La Wolkswagen viene da un pesante scandalo, che è costato diversi milioni di euro. Qui interviene la Cina, il paese che ha nella casa di Wolfsburg la macchina più comprata dalla popolazione. Un gruppo di Nanchino ha deciso di investire nella Wolkswagen e in particolare in una joint-venture in F1. I cinesi, in cambio, otterranno un loro pilota in griglia sin dal 2018.

L’Audi ha semplicemente prelevato la Sauber. In realtà, la casa elvetica era stata salvata dalla Longbow Finance, che ha chiesto solo una garanzia per lasciare tutto in mano alla Wolkswagen: un contratto per Marcus Ericsson nella stagione 2017. Lo svedese strappa così una quarta stagione in F1 (correndo più GP di Kubica e Pironi, per intenderci).

La Wolkswagen trova un modo per omaggiare anche Peter Sauber: la casa tedesca correrà in GP2 sotto il nome di Sauber, con i vecchi colori usati all’inizia della propria avventura. Sauber torna al muretto, sebbene non in F1.

Come la Honda nel 2015 e la Renault nel 2016, l’Audi-Wolkswagen si prepara a un viaggio lungo: il primo anno sarà un calvario, non c’è dubbio, ma il progetto promette bene e ha lasciato contenti anche diversi tifosi neutrali.

In fondo, i cambiamenti ci sono stati anche fuori dalla pista. Dopo un pour parlèr iniziato sui media, la Apple si è dimostrata veramente interessata alla F1 e ne ha acquisito il 35% dalla CVC, con la promessa di rilevarne un altro 50% nel 2020 se l’attenzione attorno al circus dovesse aumentare grazie all’aiuto della compagnia di Cupertino.

In seguito alle tante critiche per la gestione delle corse, il nuovo grande azionista del circus — conscio degli indici di gradimento verso lo sport e la sua dirigenza — ha imposto (o almeno favorito) un cambio del capo della direzione gara: Charlie Whiting lascia il suo posto dopo vent’anni. In fondo, il suo ruolo in F1 è sempre stato legato prettamente alla presenza di Bernie Ecclestone.

Quando finisco la chiaccherata con Pastor, sono sbigottito. Una F1 così la vedrei non solo con l’occhio dell’appassionato di lunga data, ma anche con una curiosità che negli ultimi anni è andata sbiadendo a causa di una griglia poco movimentata e soprattutto di un’applicazione delle regole poco chiara, nonché di un prodotto che non sembra volersi valorizzare.

«Sì, sarebbe bello», mi dice Pastor.

«Ma come? Mi hai fatto vedere tutto questo e ora vuoi dirmi che mi hai preso in giro per una buona ora?».

«Perdonami, ma come sei saltato dall’estate 2016 direttamente a quella successiva?».

«In effetti, non ricordo molto… non hai caldo anche tu?».

«Forse hai bevuto troppo, amigo. Adios».

E improvvisamente svengo sul bancone.

Quando mi risveglio, la prima immagine che i miei occhi incontrano è quella del soffitto di casa mia. Il caldo che sentivo nel mio viaggio etereo, invece, è sempre lì.

Quel stupendo sogno non era la realtà. Ma quanto sarebbe bello se lo fosse?

Articolo a cura di Gabriele Anello

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