La legge del mercato

Crampi Sportivi
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6 min readJan 23, 2018

«La legge è ordine, e una buona legge significa un ordine giusto»Aristotele

Mentre stavo facendo qualche considerazione mentale sull’apertura del mercato calciatori di gennaio, da uno dei tanti notiziari sportivi che scorrono nella giungla dei canali televisivi è giunta una notizia: il Real Madrid vuole acquistare Neymar dal PSG per 400 milioni di euro. Un mio amico ha notato subito l’espressione del mio sguardo tra l’indignato e il preoccupato, quindi si è sentito in dovere di ricordarmi:

«Caro Anthony, non provare nemmeno a scandalizzarti per i 400 milioni di euro. Saresti un moralista. Ricorda che il mercato è regolato dalla legge della domanda dell’offerta».

A questo mio amico, che è stato uno dei più autorevoli operatori del marketing sportivo a livello mondiale, non ho avuto il coraggio di replicare che la legge della domanda e dell’offerta non dovrebbe essere l’unica legge che regola un mercato. Il grande affetto tra noi mi ha impedito di intavolare una conversazione polemica che facilmente avrebbe potuto trascendere nella sgradevolezza (una cosa che fa sempre capolino quando si parla di soldi).

Avrei comunque potuto — e dovuto — ricordargli che un calciatore, visto il suo averlo posizionato nella scala dei valori della legge della domanda e dell’offerta riconducendolo alla stessa stregua di una merce, è anche forza lavoro. E questa ambivalenza, dall’aspetto evidente di un ossimoro, fa del calciatore uno strano soggetto protagonista di uno dei mercati più atipici del mondo(raramente una merce è anche una forza lavoro). Questa ambivalenza/ossimoro pone in crisi d’identità una delle tesi borghesi più comuni: nessuna merce capitalistica ha un vero valore che non sia il suo prezzo e che la deviazione di tale prezzo dall’effettivo valore di una merce è parte costitutiva del gioco della domanda e dell’offerta.

Prima compagni al Liverpool, ora al Barcellona.

Questa crisi d’identità sarebbe stata già una risposta al mio amico, una risposta corroborata dal mio successivo rifiuto a considerare una società di calcio parte di un sistema capitalistico. Ma il mio rifiuto sarebbe stato considerato, dal mio amico, una mera indignazione moralistica. A questo punto, non avrei avuto altra scelta che raccontargli una storia: quella di mister Albert Hall e della sua linea ferroviaria.

Rampollo di una nota famiglia di banchieri londinesi, un bel giorno Mister Hall aveva deciso — per dare un senso alla sua vita — di comprare una porzione di linea ferroviaria che da Londra si perdeva per circa settanta miglia verso un piccolo centro sulla costa. Mister Hall aveva giudicato tale investimento congruo e remunerativo, essendo quella linea ferroviaria frequentata da viaggiatori pendolari che quotidianamente si recavano a Londra per lavoro.

Per un po’ la cosa parve procedere come previsto: i profitti erano nulla di eclatante, ma talmente costanti da poter garantire un avvenire tranquillo sia ai viaggiatori che al proprietario della linea ferroviaria. Una condizione molto importante, visto che una linea ferroviaria si trova nella scomoda situazione di essere sia uno strumento di profitto sia uno strumento di pubblica utilità (sembra quasi l’identikit di una squadra di calcio, non vi pare?). La linea ferroviaria aveva anche un suo tran tran di piccole iniziative imprenditoriali.

Con i proventi della liquidazione dal lavoro del suo defunto marito, la vedova Harris aveva aperto un piccolo chiosco di fiori poco fuori la stazione del piccolo centro sulla costa. L’attività gli rendeva il giusto rispetto alla normale clientela, composta da lavoratori della middle class e della working class. Vendeva garofani e violette, più che rose rosse a stelo lungo, e gli andava bene così. William Turner, invece, da qualche anno aveva rilevato il punto di ristoro della stazione: vendeva da bere, giornali, tramezzini e anche qualche piccolo articolo da regalo. L’attività di Turner non era nulla di particolarmente eclatante, ma la quotidiana attività ferroviaria lo rendeva ottimista per il futuro, che di certo sarebbe stato tranquillo e magari avrebbe risolto qualche problema al figlio Robert, da sempre disoccupato cronico.

La legge della domanda (l’esigenza dei lavoratori pendolari di avere un mezzo di trasporto diretto a Londra) e dell’offerta (l’investimento di mister Hall sulla linea ferroviaria) avevano dato il là ad alcune piccole attività imprenditoriali e procurato posti di lavoro per il funzionamento della linea ferroviaria. Due più due: quattro. Un bel giorno successe qualcosa che a tutti apparve subito una cosa davvero buona. Tre uomini ricchissimi avevano deciso, non si sa per quale motivo, di comprare ogni giorno tutti i biglietti di un vagone ferroviario a testa. O prendevano quel treno o non lo prendevano, volevano che un vagone fosse sempre a loro disposizione. Non c’era una logica razionale: semplicemente volevano la disponibilità un vagone quotidiano e se lo erano preso. D’altronde non c’era una legge, salvo quella della domanda e dell’offerta, a impedirgli di fare una cosa così insensata.

«Sono soldi buttati dalla finestra — aveva detto a sé stesso mister Hall — , ma in fondo, ognuno, con i suoi soldi fa quel che vuole. E la mia linea ferroviaria, grazie a loro, ha nuovi e inaspettati introiti ulteriori».

È vero, c’erano nuovi introiti, ma questi tre vagoni — occupati singolarmente da soli tre uomini — avevano costretto la piccola compagnia ferroviaria a comprare altri tre nuovi vagoni, visto che il numero dei lavoratori pendolari era rimasto sempre lo stesso. La presenza quotidiana di tre uomini ricchi e noti aveva cominciato ad attirare nuovi viaggiatori sulla linea; viaggiatori che speravano, attraverso l’occasione del viaggio, di poter entrare in contatto con le eccentriche persone ricche presenti nel convoglio. Ognuno aveva un affare da proporre, una raccomandazione da chiedere, e altre amenità del genere.

Visto l’aumentare vertiginoso della richiesta di biglietti, Mister Hall fu costretto a comprare e ad aggiungere al convoglio altri due vagoni. William Turner, notando che il giro d’affari del suo punto ristoro era sempre più frequentato, chiese un prestito in banca per allargare il suo locale e investire in nuovi prodotti da vendere. La vedova Harris firmò un contratto vincolante di due anni per avere garantita quotidianamente da un distributore un certo numero di rose rosse a stelo lungo. Il costo eccessivo non le era importato poi tanto, da qualche tempo la clientela della stazione era più variegata e disposta a spendere. Inoltre mister Hall aveva dovuto fare della nuove assunzioni, considerato l’allargamento del suo convoglio.

Tutto andò bene fino al giorno in cui i tre facoltosi uomini decisero che ne avevano abbastanza della linea ferroviaria e dei suoi vagoni. Il misterioso capriccio era stato soddisfatto. E all’improvviso, così come erano venuti così se ne erano andati. Insieme a loro erano scomparsi anche la torva dei questuanti. Sulla linea ferroviaria rimasero quelli di sempre: mister Hall, i viaggiatori pendolari, William Turner e la vedova Harris. Tutti gli investimenti che erano stati fatti a causa del movimento creato dalla presenza dei tre ricchi uomini finirono per non poter essere più giustificati. Fallirono tutti: mister Hall, William Turner, la vedova Harris. I dipendenti della piccola compagnia ferroviaria persero il posto di lavoro, facendo sprofondare nello sconforto le loro famiglie e tutti i loro creditori. Ovviamente i lavoratori pendolari rimasero senza più un mezzo di trasporto per raggiungere Londra.

L’eco di tale disastro giunse fino alla Camera dei Comuni, dove una deputata chiese al governo come era stato possibile lasciare una linea ferroviaria, strumento di pubblica utilità, alla mercé di oscure manovre da doping finanziario. Come era stato possibile, da parte della politica, non tutelare gli interessi degli utenti della linea ferroviaria e gli interessi degli investimenti dei piccoli imprenditori. Il governo, nella persona del ministro dei trasporti, si era impegnato ad indagare sulla questione. Da allora non si è saputo più nulla.

Non so se questa storia sarebbe stata da monito al mio amico, o se farebbe capire qualcosa a Florentino Perez o al fondo sovrano del Qatar. Quel che so che un mercato non è fatto solo dalla domanda e dall’offerta e che una classe dirigente dovrebbe sempre vigilare per ricordarci che esiste il buon senso e il giusto limite. Delle buone leggi dovrebbero imporre ciò.

Ecco, una legge. E non quella della domanda e dell’offerta.

Articolo a cura di Anthony Weatherill, con la collaborazione di Carmelo Pennisi

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