La normalità di Simone Padoin

Crampi Sportivi
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11 min readApr 28, 2016

La Juventus è nuovamente campione d’Italia (per la quinta volta consecutiva) da nemmeno ventiquattro ore. La vittoria della Roma sul Napoli ci ha riconsegnato un verdetto unanime e l’ennesima dimostrazione di forza imperiosa sprigionata dalla stessa Juve che, proprio quest’anno, ha vinto uno scudetto in maniera incredibile, dimostrando di cosa può essere capace un gruppo di giocatori ben motivati, un allenatore preparato e una dirigenza che prende le sue scelte in maniera oculata.

Ci vorrebbe un amico, cantava qualcuno.

Ci vorrebbe la Champions League, sospirano in tanti ma andrebbe comunque bene un amico/nemico, qualche rivale all’altezza dei bianconeri sul territorio italiano, qualcuno in grado di spingere la Juventus a migliorarsi sempre di più prendendo proprio spunto da questo invidiabile capolavoro. Qualcuno che permetta alla Juventus di tenere alta la concentrazione fino alla fine del campionato, di ampliare la rosa per concentrarsi su più obiettivi, compiendo quel passo che le permetterebbe di essere una corazzata europea.

Sarà pure lo scudetto dei record, lo scudetto dell’imbattibile Gianluigi Buffon e dello straordinario exploit di Paulo Dybala, sarà anche “Lo scudetto più bello di questa cinquina, perché sofferto e insperato”, sarà anche la dimostrazione lampante di un campionato in condizioni precarie ma ciò che sicuramente rappresenta per me è una vittoria “normale”. Normale, come i frutti di un progetto. Normale, come le manifestazioni di gioia di quei tifosi che quasi si sono stancati di vincere e magari non festeggiano più (come accaduto nel mio piccolo paesino di 30mila anime, tutte a forte vocazione bianconera).

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Mi sembra un problema circoscritto al mio paese, dunque.

Ed è in questo enorme carosello di complimenti ed elogi, dentro questo torrente di inchiostro gettato a suggellare la vittoria, che la mia attenzione piomba su Simone Padoin. Quello che Padoin rappresenta per l’immaginario collettivo è un giocatore mediocre che milita ancora in una squadra che ha avuto bisogno di lui (ma neanche troppo) in una stagione lontana ormai quattro anni. Simone però, fresco di rinnovo fino alla prossima stagione, ha avuto il tempo di mettere in bacheca cinque Scudetti, tre Supercoppe Italiane e una Coppa Italia, di ritagliarsi un posto nello spogliatoio bianconero e di trasformarsi in una macchietta, un idolo dei tifosi che da un lato lo osannano come se fosse la star della squadra e dall’altro sperano davvero di non doverlo mai vedere titolare.

Quella che ne segue è una analisi su cosa è stato Simone Padoin prima della Juventus, cosa è diventato e cosa ha fatto fino a oggi in bianconero e quello che potrebbe essere in futuro.

Simone Padoin senza la maglia della Juventus

Simone Padoin, nato a Gemona del Friuli, il 18 marzo del 1984, ha mosso i primi passi nella Donatello Calcio di Udine, prima di passare nel settore giovanile dell’Atalanta. A Bergamo ha vinto una Coppa Italia Primavera, trasferendosi poi in comproprietà al Vicenza nel 2003, dove ha trascorso quattro stagioni, giocando con continuità su tutto il versante destro del campo. Nel 2007 è tornato nuovamente all’Atalanta che ne ha riscattato l’intero cartellino. Nella sua seconda avventura a Bergamo, Padoin si è ritagliato un posto da titolare a centrocampo, guadagnando diversi gettoni con l’U-21 italiana (vincendo anche un Europeo U-19) e aggregandosi alla tournèe estiva della Juventus di Zaccheroni, nel 2010, come se fosse un presagio dell’imminente futuro.

Due anni più tardi la Juventus, col benestare di Antonio Conte, deciderà di acquistarlo nella finestra invernale, versando all’Atalanta cinque milioni di euro. A voler essere sinceri, quasi a rovinare questo crescendo di emozioni normali, bisogna ammettere che la firma di Padoin arriva dopo il no di Cellino per Radja Nainggolan.

In questi anni di apprendistato che hanno preceduto il suo arrivo a Torino, Padoin ha dimostrato di poter ricoprire tutti i ruoli del centrocampo, di sapersi riciclare come terzino su entrambe le fasce e di poter trovare spazio sulla linea mediana del centrocampo, davanti alla difesa. Sinistro nella norma, propende ad aggredire il fondo del campo e a scodellare il pallone in area. Questa sua incredibile duttilità e la sua costante abnegazione in allenamento e in partita gli hanno permesso di ricevere elogi da tutti i suoi allenatori, che lo hanno sempre descritto come un ragazzo ligio al dovere e volenteroso, quasi un soldatino.

Mi piace pensare che la Juventus abbia messo gli occhi su di lui molto tempo prima (considerando l’occhio lungo della dirigenza bianconera quando si parla di giovani), con la prova del 2010 come passaggio fondamentale per analizzare il giocatore, per misurargli quel J Factor che contraddistingue i bianconeri. Poco incline al gol, dichiara di ispirarsi a Giuliano Giannichedda, di essere tifoso dell’Udinese e sposa Valentina, una sua compagna delle superiori, nel 2010.
Si è diplomato con 98/100.

Simone Padoin con la maglia della Juventus

Uno dei tormentoni più frequenti nell’era pre-Antonio Conte è stata la spiccata facilità con cui i tifosi juventini riuscivano ad assimilare gli svarioni del calciomercato con la frase “Tizio è certamente buono per la panchina”. Un quantitativo inverosimile di giocatori, che hanno avuto la sfortuna di giocare nella Juventus prima che la stessa iniziasse a macinare punti e avversari, ha dovuto convivere con l’etichetta di giocatore utile per la panchina, per il secondo tempo.

È successo a Milos Krasic durante la sua seconda stagione alla Juventus, per citarne uno, quando tutta la Serie A aveva assimilato il ridottissimo bagaglio di movimenti di cui disponeva il serbo. Ma anche Salihamidzic, Grygera, Nicklas Bendtner, tutti giocatori che sicuramente si giocavano le loro carte durante tutta la settimana, per i tifosi juventini erano semplicemente gregari, carne da cannone. Credo che Padoin non si sia chiesto quale sarebbe stato il suo ruolo all’interno di quella Juventus, a campionato in corso. Quando arriva quella chiamata puoi solo mollare tutto e partire, hai lavorato tanto per meritartela. La tua chiamata alle armi, soldatino.

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Ma era uno normale e lo doveva fare!

Padoin molla il posto da titolare nell’Atalanta (e forse tutti i sogni di gloria) per unirsi alla Juventus, per diventare il gregario di una squadra che nel 2012 sta ponendo il mattoncino iniziale della sua legacy lunga (fino a oggi) cinque anni. In quattro stagioni e mezzo ha disputato 105 partite, per essere più precisi è stato impiegato per 4921' e se la matematica non ci inganna ciò vuol dire 47 minuti di media a partita.

Nel frattempo però vince tanto, è un tesserato della squadra più forte d’Italia e va a Berlino a vivere una finale di Champions League senza esserne protagonista. Per quanto mi risulti difficile, impossibile forse elogiarne il contributo tattico o le gesta in campo (delego questo compito a qualsiasi tifoso juventino innamorato del Pado), mi sembra normale leggerlo in chiave umana, normale, cosa Padoin rappresenta oggi, col quinto scudetto in saccoccia (e anche con il gol segnato da ex all’Atalanta). Arrivato a Torino con Antonio Conte, cosa si saranno detti lui e Max Allegri quando il tecnico livornese si è accomodato per la prima volta nel suo ufficio a Vinovo? E se Padoin gli avesse semplicemente chiesto di testarlo, di tenerlo per una stagione e vedere come vanno le cose?

Le cose sono andate come Simone aveva previsto, con Allegri che nella scorsa stagione ha avuto bisogno del tornante friulano per rimpiazzare Patrice Evra e Kwadwo Asamoah fuori uso.

La sparo forte e poi correggo il tiro: personalmente riesco a scorgere nella carriera di Simone Padoin tutte le domande e le incertezze di ogni singolo uomo nel nostro secolo.
Padoin non è un fenomeno, lo sanno tutti quando firma per la Juventus, lo sa anche lui. È un onesto operaio del pallone, a ventisette anni non può nemmeno definirsi una giovane prospettiva; sicuramente non è Paul Pogba, con le stimmate da campione già al momento dello scippo allo United. Il trasferimento alla Juventus mostra la vera natura della sua vita: anche al top della forma, nella stagione in cui stai esprimento il miglior calcio che le tue doti possono permetterti, non puoi far altro che accontentarti di un posto da gregario nella migliore squadra d’Italia. Non puoi andare oltre, a cosa servirebbe rischiare? Nell’Olimpo del calcio il tuo posto è questo.

Eppure posso solo immaginare la gioia, l’emozione nel vestire la maglia bianconera, nell’essere osannato dallo Stadium: cosa si prova ad allenarsi con alcuni dei giocatori più forti del mondo, condividerne lo spogliatoio e le cene di squadra, poter pensare anche solo per un attimo “Sono un giocatore della Juventus! E sono pure amico di Pogba!”.

Non sono sicuro che Padoin e Pogba siano amici, ma ciò che mi sembra chiaro è che Simone abbia trovato la sua dimensione in una squadra troppo più grande di lui, ritagliandosi il suo angolo di spogliatoio in una realtà che forse non gli appartiene. Se domani mattina mi svegliassi Padoin andrei ad allenarmi col sorriso a 32 denti, ringrazierei il mio Dio per avermi concesso questa incredibile occasione, per aver premiato i miei sforzi e il mio sudore facendomi essere parte di tutto questo. È il jolly amato dai tifosi, sembra quasi di sentire gli sfottò dei compagni nello spogliatoio, seguiti da un abbraccio.

San Padoin sta bene a Torino, perché mai dovrebbe sognare di andare via? Per il rigore nella finale di Doha? È acqua passata!

Rimanere alla Juve mi sembra la scelta di vita più lecita che un uomo possa fare, anche se questo può rappresentare rinunciare alla propria eventuale gloria, per costruire un futuro concreto. Una carriera fatta di tutti quei piccoli privilegi che una società solida come la Juventus può assicurare ai suoi tesserati, quelle peculiarità che appartengono al club campione d’Italia.
Guardiamola in due chiavi diverse: da una parte c’è il Simone Padoin che ha deciso di rimanere a Torino, che magari firma un paio di rinnovi al minimo contrattuale e chiude la sua carriera in bianconero (oggi ha 32 anni), vincendo qualche altro trofeo, mettendo da parte una somma più che dignitosa e ritirandosi in un top club europeo.

Dall’altra parte c’è il Simone Padoin che vuole sfondare, che vuole guadagnarsi l’agognata Nazionale e che dopo due stagioni alla Juventus si trasferisce, per esempio, a Parma, per essere titolare nel Parma di Donadoni che ha sfiorato l’Europa e ora si appresta alla definitiva consacrazione. Poi il Parma fallisce, un anno senza stipendi, una retrocessione e la difficoltà di ricollocarsi altrove, col tuo destino deciso dalle scellerate mosse di uomini senza scrupoli, che hanno banchettato con la tua vita, col tuo stipendio e con la tua famiglia pur di perseguire i loro scopi.
Voi cosa scegliereste?

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Fate attenzione a cosa scegliere, magari prima guardate cosa vuol dire giocare nella Juventus.

Mi vien da pensare che un calciatore debba porsi queste domande.

Forse non si tratta solo di scegliere il miglior stipendio o il ruolo in squadra ma di considerare una serie di fattori che va dalla qualità della vita ai problemi che può comportare un trasloco, ai disagi per la famiglia, per i bambini. A quel futuro che ti sembra così lontano e patetico quando sei giovanissimo, quando giochi il Viareggio. Eppure è la che ti aspetta e considerando come l’età media d’attività dei calciatori si sia esponenzialmente ridotta negli ultimi cinquant’anni, allora un calciatore deve essere davvero fortunato per non sbagliare nessun trasferimento nella sua carriera. Allora trasferirsi, ma perché?

Simone Padoin dopo la Juventus

E alla fine arriverà l’atto finale anche per Pado. Pochi mesi fa è arrivata la firma sul rinnovo, con un contratto che legherà il giocatore alla Juventus per un altro anno, fino al giugno 2017. Al termine della prossima stagione saranno 33 le primavere dell’esterno friulano, magari verranno festeggiate con un altro scudetto in bacheca.

Di che colore splenderà il suo tramonto? Sarà a tinte nerazzurre, con un ritorno alla casa madre bergamasca per respirare un ultima volta l’odore dello spogliatoio di Zingonia? Staccare un paio di salvezze eroiche, spaventarsi a morte come successe quella volta col gol al Livorno, tornare giovane per un’ultima volta. Oppure a Udine, per vestire un altro bianconero e per giocare a pochi chilometri da casa? Continuare a essere quell’hombre vertical, l’esempio di correttezza e testa piantata sulle spalle, con tutti i complimenti ricevuti nei vari camp per giovani calciatori friuliani.

E se si ritirasse alla Juventus? Il lungo, quasi ridicolo applauso dello Stadium, “Cala il sipario sulla carriera calcistica di Simone Padoin, un giocatore che ha saputo accontentarsi dello scarso minutaggio pur di rappresentare un guru per lo spogliatoio bianconero” dirà lo speaker radiofonico. Immediatamente quel calendario 2014/2015 della Juventus, con la foto di Padoin al mese di Aprile, ti sembrerà un po più triste, più nero che bianco. Il super corso di Coverciano e quella voglia di ritornare tra i banchi di scuola, come succedeva al Liceo Scientifico tanti anni fa. Il posto in tribuna al fianco di un ancora più vecchio Pavel Nedved, li chiamano Dirigenti Accompagnatori oggi, in realtà sono quelli a cui la società ha voluto dare un lavoro. E poi dirigente accompagnatore sa proprio di gregario, e non me ne vogliano i diretti interessati.

Simone Padoin smetterà col calcio e magari nessuno si ricorderà di lui. Tutti i pour-parler e gli elogi di un giocatore immolato sull’altare della grinta andranno persi per sempre. Sarà una figurina, un post sulla pagina FB della Juve “Quanti Mi Piace per il nostro Padoin?”. Ancora una volta carne da cannone, lo chiameranno figlio della nostalgia. Se c’è una cosa che mi ha insegnato questo viaggio è che Padoin è una persona incredibilmente normale: avrebbe voluto proseguire gli studi, è appassionato di tennis e sci, ha avuto un’unica fidanzata che poi è stata sua moglie.

Io sono quello che vedete. Mi piacciono la tranquillità e la semplicità. Punto molto sull’impegno, cerco di prefissarmi un obiettivo e di raggiungerlo. Sono cose che mi ha insegnato la mia famiglia ma che ho preso anche dalla gente friulana. Siamo fatti così, ma noto molte somiglianze anche con i bergamaschi, gente abituata a lavorare sodo per raggiungere gli obiettivi. E’ una cosa che ritengo naturale.

https://www.youtube.com/watch?v=nrpX2udjIMs

È interessante riflettere su come debba riciclarsi un giocatore oggi, cosa succede quando le comodità offerte dalla società finiscono, lasciando spazio alla vita vera, che ti si para davanti a 35–40 anni, quando tu hai solamente saputo calciare un pallone per buona parte della tua vita? Niente più lavanderia della società, niente più segreteria che si occupa di fornirti i biglietti aerei, niente più tournée in Qatar e trasferte in giro per l’Europa. Nessun magazziniere, nessun ritiro, nessun allenamento. Tu, la tua famiglia e la tua vita.

Cosa succede in questi casi? Cosa succederà a Simone?

Sarà che ci ho messo un po di tempo per scrivere di lui e che alla fine mi ci sono affezionato. Per inclinazione mi sarebbe piaciuto essere Padoin, anzi dico meglio un giorno da Padoin che cento da Biabiany (poraccio), per dire. Mi piace immaginarlo in ciabatte, alla fine di questo viaggio, guardando da lontano una Serie A che più non gli appartiene, raccontando ai figli di quella volta a Berlino…

Di come Simone Padoin sia riuscito a essere qualcuno nella storia senza mai essere nessuno in particolare. Semplicemente sé stesso, in piedi, pronto a smettere la tuta a un accenno del mister, al servizio della squadra fino all’ultimo minuto.

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