La perla marocchina di Madrid

Crampi Sportivi
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4 min readMay 27, 2016

Domani sera, sul verde manto di San Siro, Atlético e Real si giocheranno la finale della Champions League in un evento dalla copertura globale che bloccherà ancora una volta la vita della capitale spagnola. Dio, il Destino o chissà chi rimetterà davanti le stesse formazioni che si giocarono la finale del 2014 a Lisbona.

La Décima venne vinta in maniera rotonda, con il Real capace di dilagare soltanto dopo il salvifico gol di Sergio Ramos, con tutti che erano pronti a esaltare il Genio del Cholo e a inondare di peana ridondanti la vostra bacheca di Facebook per un genio tattico capace di scoprire un MAGICO SEGRETO DA NON DIRE A NESSUNO CHE NON CREDERETE MAI, CLIKKATE QUA E SCOPRIRETE (spoiler inside, il catenaccio).

Nella possibilità non troppo remota che questo possa di nuovo succedere, possiamo facilmente desumere quale sarà il tema tattico della sfida: il Real che proverà a impostare la partita, l’Atletico ad attenderlo come Forrest Gump e la scatola di cioccolatini da scartare con una magia dei tanti campioni in campo. Un tema da under 2.5: non per bocciare la classe dei tanti talenti in campo, ma solo per evidenziare la tensione dell’evento. Il risultato in bilico tra 0–0, 0–1 e via discorrendo è stato infatti una delle costanti delle ultime sfide, con l’Atletico abile a sfruttare le ripartenze e a concretizzare gli spazi che il Real gli offre in maniera sistematica a ogni sfida.

Real Madrid 3 — Atletico Madrid 6

C’è stato però un tempo in cui tatticismi e attese sono state soltanto una parentesi e dove si è creata una falla che vorremmo tanto rivedere sabato prossimo, in modo tale da riempirci di birre e credere di star assistendo a una trama fittizia. Il 12 novembre del 1950 Real Madrid e Atletico giocano al Nuevo Estadio Chamartin, che verrà in seguito rinominato con il nome di Santiago Bernabeu (il nome odierno dell’impianto). A guidare i Colchoneros campioni in carica è un argentino: si chiama Helenio Herrera e da lì a pochi anni vincerà tutto con l’Inter. Alla prima stagione sulla panchina dell’altra squadra, il tecnico ha già portato a casa la Primera Division nel 1949–1950, la prima dopo la vittoria del 1941 e la terza in totale.

La potenza della “delantera di cristal” si scatena quel pomeriggio che resterà storico. Il vantaggio dopo appena quattro minuti lo segna Carlsson, l’elegante ala svedese venuta dal Reims e simbolo della nazionale svedese che ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra del 1948.

Elegante, mica bellissimo oh

Dopo 15 minuti è già 3–0 e il Chamartìn mormora sgomento prima che Pahiño accorci le distanze. Al 25’ Perez Paya segna il gol che chiuderebbe la partita: la sua particolarità sta nel fatto che dopo aver vinto la Liga con i Colchoneros, diventerà un giocatore del Real, nonché uno degli elementi fondamentali delle prime due Coppe dei Campioni vinte dai Blancos.

La gara sarebbe finita, se non fosse che il Real ha un moto d’orgoglio e accorcia fino al 3–4. Nel finale “l’attacco di cristallo” completa l’opera con Escudero prima e Benbarek poi a chiudere la partita. È forse il momento più alto della carriera del marocchino, arrivato nell’ottica di razzismo, indifferenza e rassegnazione che accompagna la vita quotidiana del Nuevo Estado franchista. In Francia, dove allo Stade Francais è venerato come un Dio, quando lo vendono arrivano a scrivere di vendere la Tour Eiffel, ma non Benbarek. Andrà via da Madrid a 37 anni, dopo 114 partite e 56 gol.

Quando si spengono le luci sarà la gloria a ipnotizzare il flusso dei ricordi, quella stabilizzata dalle parole di Escudero: «Benbarek era un artista, ma si nascondeva nelle partite dure e con le entrate pericolose. In quelle batteva i falli laterali». Arrivato a 31 anni suonati, s’inventò una seconda giovinezza, arrivando a giocare fino a 40 anni a Marsiglia. Evidentemente il suo coprirsi e non voler apparire, anche in un’epoca dove si poteva più facilmente prendersi una pausa dal mondo, non fu così efficace.

https://www.youtube.com/watch?v=nS90kXapqk4

Nonostante la sua carriera si sia prevalentemente svolta in Europa, Benbarek non ha mai dimenticato i suoi legami con il paese d’origine. A Casablanca è nato e a Casablanca ha esalato l’ultimo respiro nel 1992, sei anni prima che la FIFA gli riconoscesse la massima onorificenza possibile, l’Order of Merit. E pensare che Larbi Benbarek è stato persino il primo ct del Marocco indipendente, guidato nel 1957, quando ormai la sua carriera da calciatore si era chiusa. Ancora oggi qualcuno lo inserisce tra i giocatori fondamentali della storia dell’Atlético Madrid.

Quando sabato vi metterete comodi e aspetterete emozioni che tarderanno ad arrivare, pensate a quanta potenza poteva avere il cristallo e come potesse essere imponente l’incontro con la Perla Nera. La prima, quella marocchina.

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