La rincorsa di Novak Djokovic

Crampi Sportivi
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3 min readNov 24, 2015

Non sembra fermarsi mai. Continua a correre da una parte all’altra e appena si stringe il raggio dell’azione entra con un passo leggero dentro al campo. Contrattacco lungo linea, campo aperto e punto concluso. Sarebbe semplice sintetizzare il tennis praticato da Novak Djokovic come una macchina atletica perfetta, dotata di una grande intelligenza tattica e una forza mentale non indifferente, eppure nei dettagli si può raccontare la genesi di un giocatore che continua a correre pur essendo, re indiscusso del tennis mondiale.

Dalla fine il principio

Nello spogliatoio di Londra si sono guardati, una volta terminata la doccia. Roger e Novak per la partita numero 44 di nuovo insieme sul campo ma soprattutto nel silenzio dello spogliatoio, laddove non c’è pubblico a tifare o punteggio da mantenere. I muscoli si devono sciogliere e i nervi forse non sono più tesi. Ha vinto il Serbo, ancora lui. Sempre sul più bello davanti al mito acclamata dal pubblico, dai media ma soprattutto dall’impero divino, quello che fa sembrare il salto di Michael Jordan non solo l’eterno gesto atletico del basket, ma un vero e proprio modo di interpretare la vita.

Roger Federer perde, ancora una finale, l’ennesima contro il Serbo, eppure è come se non perdesse mai. A 34 anni sta bene, si fa crescere la barba e lascia lo spogliatoio sapendo che ci sarà un altro anno davanti e probabilmente altre sfide, sicuramente staranno insieme fino a quando Novak avrà gambe per correre, testa per pensare ma soprattutto vita agonistica da spendere. Un filo leggero, intangibile spesso a rischio rottura ma che una volta terminato ci farà capire l’inizio della rincorsa del tennista Serbo al mito, sapendo che sarà tutta una questione di numeri. Maledetti numeri.

«Poiché il mito ruba al linguaggio, perché non rubare al mito?»

82 partite vinte, 6 perse, 11 titoli stagionali, 3 slam, 6 masters 1000 e l’ATP world tour finals. I numeri fanno impressione, soprattutto pensando che se Wawrinka non avesse giocato la partita migliore della sua carriera in finale a Parigi, Djokovic avrebbe vinto tutto, quasi tutto. Gli slam sono diventati 10 per un totale di 59 titoli in carriera, numeri importanti che non rendono ancora la dimensione del mito che il Serbo sta inseguendo, corsa dopo corsa da un campo all’altro per tutto il mondo, proprio contro chi il mito lo è già e spesso, molto spesso ultimamente, ti capita di battere, su ogni superficie in ogni modo possibile.

Nell’immaginario comune, nei dibattiti in rete e in tutti gli articoli di settore, il linguaggio di Novak Djokovic con l’approccio divertito alla vita — vedi imitazioni, battute, pubblicità — funzionava decisamente di più, quando Novak Djokovic ancora perdeva, mentre i due litiganti (Nadal e Federer) si scontravano in una delle più grandi rivalità nella storia dello sport contemporaneo. Djokovic in quel momento rappresentava pienamente ciò che non faceva parte dell’oligarchia tennistica e quindi chi voleva l’outsider pronto per la presa del potere doveva mettersi tranquillo che in fondo quel giorno non sarebbe mai arrivato.

Poi venne la dieta, il linguaggio si incupì e outsider Djokovic è rimasto ancora adesso, pur essendo a capo di una vera e propria dittatura non riconosciuto da critica, pubblico e colleghi. Djokovic vince sempre nonostante appaia l’agonista capace dell’impresa sportiva, ogni volta, anche quando ormai l’impresa non dovrebbe far più notizia. Rubiamo il mito, perchè il linguaggio non funziona più.

«Anche l’idea è nutrimento»

Contro nessuno ma contro tutti. Al momento l’ascesa estenuante e inesauribile di Novak Djokovic all’interno del mito, non vede nessun tipo di freno nei suoi avversari ma piuttosto nell’idea che chiunque possa andare contro di lui ha solo un grande obbiettivo, fermarlo. Ed è proprio l’idea percepita dallo stesso giocatore nei momenti decisivi delle partite più difficili a fare da motore aggiunto per questa grande scalata, fatta di numeri, solamente di numeri. Continuando così, Novak Djokovic potrebbe nell’arco di tre stagioni diventare il più vincente tennista nella storia di questo sport, sempre con il pericolo di fallire ma con la stessa fame di chi già in principio ha capito il finale, senza aver la possibilità narrativa di raccontarcelo, perchè non c’è protagonista buono in questa storia, solamente il mito, sperando di diventarlo da narratore.

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