La scoordinazione dei numeri 9

Crampi Sportivi
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6 min readMar 8, 2016

L’intesa di squadra, la forza, la precisione, l’eleganza, la geometria. Ah, quanto è bello il calcio quando è coordinazione, assunto difficile da negare anche per chi proprio non lo regge.
Il passo felpato, il dribbling ubriacante non fine a sé stesso, il pallone che scorre senza sosta come su un biliardo e si insacca in rete all’angolino. Il calcio estetico, quello fatto di armonia, va oltre il concetto di religione laica, in grado di “condurre alla più alta delle esaltazioni” (Durkheim), è un opera d’arte in movimento, una sinfonia d’archi perfettamente amalgamati. Tanto abbacinante e sbalorditivo che risulta fin troppo distante dal tifoso. Come se fosse un’intelligenza superiore di cui si ha forte soggezione.Bisogna tornare sulla Terra ogni tanto e come dice l’amico Emil Durkheim, “la fede è innanzitutto calore, vita, entusiasmo, esaltazione di tutta l’attività mentale, trasporto dell’individuo al di là di se stesso”. Una religione laica come il calcio dà la possibilità di scelta.

Pillola Rossa: imperfezione frequente ma stretto contatto con il mondo vero.
Pillola Blu: perfezione continua ma distanza dalla realtà.

Diciamolo senza peli sulla lingua, più si è imperfetti, meno si è belli, e più il successo ha un sapore speciale. E’ anche per questo che molte volte i profeti della religione calcio sono attaccanti scoordinati, brutti e per nulla eleganti, un po’ come eravamo tutti alle prime conquiste, un po’ come sono loro in tutte le circostanze in cui si trovano davanti alla porta, pronti far esplodere la curva.

L’attaccante scoordinato pensa e vive in un mondo parallelo, disarmonico e idiosincratico.
Il caso è il suo punto di forza, l’umiltà è la sua arma segreta. Si sa arrangiare e sa reinventare. Dall’alto della propria oggettività è consapevole di essere brutto e trasforma questa debolezza in un punto di forza. I tempi di gioco sono tutti suoi, sta ai compagni di squadra adattarsi a lui e non viceversa, perché scoordinati si nasce e si fa davvero fatica a smettere di esserlo. Gli avversari ci capiscono davvero poco, mai un movimento uguale all’altro, mai un tocco prevedibile. Così come quando si dice che le squadre brutte fanno giocare male anche i rivali, anche l’attaccante scoordinato nella sua perfetta imperfezione crea serissimi problemi alla difesa della squadra avversaria.

La scoordinazione del numero 9 presenta sfumature complesse, interpretazioni che vanno oltre la nuda e cruda gravità newtoniana . Per studiare ogni suo aspetto è necessario suddividerla in macro categorie di diversamente coordinati.

Scoordinazione da stazza

La più classica delle scoordinazioni.
Come non chiediamo ai pullman a due piani di insinuarsi negli stretti vicoli di città, così non possiamo pretendere che questi armadi a due ante possano sembrare leggiadri e allo stesso tempi risultare efficaci tra le difese avversarie.
Non è un caso che quando questi giganti vengono schierati, gli allenatori, così come tutti gli altri addetti ai lavori, si aspettino da loro essenzialmente quel sempre più vituperato “lavoro sporco” tanto brutto alla vista, quanto utile alla squadra.
Raramente il numero nove di stazza è un goleador e seppur arrancando, con il testone ciondolante e le spalle mai nella posizione corretta, risulta un importante assist-man, tra spizzate e filtranti per gli inserimenti da dietro dei compagni. La cosa che balza agli occhi di tutti è l’assoluta lentezza dei movimenti e l’enorme fatica nel governare quel baricentro altissimo che per osmosi si ripercuote anche nello spettatore.

In un calcio in cui trasuda la necessità di schierare il modaiolo centravanti “atipico”, forte fisicamente ma rapido e duttile, la figura della boa, alta, rozza, con il suo incedere pesante, i gomiti larghi e le gambe chilometriche che a fatica stanno nei calzoncini, diventa una specie in via d’estinzione.

Non vogliamo scomodare i nobilissimi Nordahl o Charles di turno ma nemmeno gli eredi dei vari Carsten Jancker o Jan Koller riescono ormai a trovare spazio negli 11 titolari. Oltre al mostro di lentezza Nikola Zigic, l’ultimo vero portabandiera rimasto degli scoordinati di stazza è l’ultratrentenne Peter Crouch le cui movenze sono simili a quelle di un burattino costruito con viti arrugginite e gli scarti del peggiore dei legni.

Scoordinazione da foga

A scuola c’erano quelli intelligenti che non si applicavano e quelli che si impegnavano con tutta la loro volontà ma non riuscivano proprio ad arrivarci. Lo scoordinato da foga fa parte del secondo gruppo. L’impressione è proprio quella di essere rimasti tra i corridoi delle elementari, quando si costruivano rudimentali palloni con carta e scotch e si facevano le porte utilizzando i cestini di plastica per i riufiuti.
Grande corsa, grande sacrificio, grande entusiasmo, grande foga, coordinazione zero.
Osservare un giocatore affetto da scoordinazione da foga è un esperienza randomica. Ogni pallone in un modo o nell’altro deve essere suo ed ecco il perché della sciagurata pressione su chiunque ne sia in possesso, dal portiere avversario al raccattapalle.

Croce e delizia dell’allenatore. La scoordinazione da foga non si riflette solamente sull’aspetto puramente estetico e tecnico del giocatore ma va spesso ad intaccare anche l’aspetto tattico della squadra stessa. Grande abnegazione senza dubbio, ma il singolo scoordinato può portare ad una squadra scoordinata con gente che corre come se fosse sugli altopiani kenioti ma completamente a vuoto.

Corsa tanta, fin troppa, gol pochini. Arriva sempre poco lucido sotto porta, spendendo il doppio dell’energia necessaria con quell’inutile mulinare di braccia che non porta ad alcun aumento di velocità. Quando segna però la scoordinazione da foga può finalmente esplodere e dare il meglio di sé.

Scoordinazione da rapina

Uno dei più grandi misteri dell’umanità. Nell’era in cui l’evoluzione sta superando il futuro e la scienza sta scoprendo cose impensabili, risolvere questo enigma potrebbe richiedere ancora svariati anni.
Dei semplici normodotati che sembrano passati di lì per caso, che con il calcio a prima vista hanno decisamente poco a che fare, in un modo o nell’altro riescono sempre a buttarla dentro.
Da un Müller (Gerd) ad un altro (Thomas), uno dei giustizieri della Juve nella notte psicodrammatica di ieri all’Allianz, passando per un piacentino che anche in bianconero due o tre reti importanti le ha fatte.

Sono loro i simboli della scoordinazione di rapina. Tre generazioni a confronto, tre ere calcistiche differenti, un solo comun denominatore: quell’insolito feticismo nel segnare reti brutte, caotiche, all’apparenza casuali. Feticismo che si trasforma in sadismo perché più il gol è brutto più taglia le gambe agli avversari, e di gambe questi ne hanno tagliate a centinaia nelle loro carriere.

Spesso avulsi dal gioco, ciondolanti come non mai quasi controproducenti. Inventori dei finti gol casuali, delle reti segnate con parti anatomiche fino ad allora oscure al mondo del calcio, dei tiri con più rimbalzelli possibili prima di insaccarsi alle spalle del portiere.
Non si capisce se prima siano stati inventati i ferri da stiro o i piedi degli scoordinati da rapina, ma quando i fatti dicono che stiamo parlando di indiscussi goleador bisogna solo inchinarsi e buttare nell’immondizia qualsiasi briciolo di logica calcistica.

Scoordinazione per scelta

Ci sono scelte di vita che non portano ai risultati sperati nell’immediato, ma che se seguite fino in fondo rischiano di farti raggiungere la gloria eterna. Sebastian Abreu ha scelto una vita scoordinata. Rientra negli scoordinati da stazza ma è anche molto di più.
Giocatore anarchico come pochi, non è mai stato un piacere per gli occhi; vuoi per la stazza, vuoi per quei capelli quasi infiniti, vuoi per quello stile naïf d’intendere il calcio.
Un numero 9 che avrebbe preferito giocare in tutte le restanti 10 posizioni del campo, pur di non giocare in attacco.

Lo chiamano Loco, si fa chiamare Loco, tanto che il soprannome, diventato presto il suo epiteto guerriero, viene stampato affianco al cognome nelle maglie da gara ufficiali.
Sceglie di essere scoordinato con il mondo del calcio, fatto di soldatini. Veste 19 maglie diverse in giro per il mondo. Indossa la numero 13 perché è superiore alle superstizioni.

Mancino, despota del rigore con lo scavetto, il cucchiaio dell’italico regno, la cavadinha per il Loco. Imparata dall’allora compagno di squadra Djalminha, diventa il suo marchio di fabbrica. Un gesto che se effettuato da uno così, con una stazza del genere, con dei capelli così, non è esteticamente paragonabile al migliore dei Kandinsky.
Nel quarto di finale del Mondiale 2006, è proprio l’insolita cavadinha a battere il Ghana e a consentire all’Uruguay di raggiungere le semifinali dopo 54 anni. Un gesto scoordinato, frutto di una scelta scoordinata, con il quale ha però raggiunto la gloria eterna.

Pillola Rossa o Pillola Blu? A voi la scelta.
Noi sappiamo già da che parte stare.

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