La seconda occasione

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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6 min readJan 12, 2018

«Un uomo fa quel che deve… nonostante le conseguenze personali, nonostante gli ostacoli e i pericoli e le pressioni. E questo è la base di tutta la moralità umana» — Winston Churchill

Può una persona squalificata per omessa denuncia della compravendita di una partita continuare a fare l’allenatore di una squadra di calcio? A una tale domanda è davvero difficile rispondere, poiché sarebbe davvero bello credere in modo inequivocabile che possa esistere sempre una seconda occasione. Pensate se il noto produttore Harvey Weinstein potesse un giorno, dopo aver pagato il suo debito per le sue molestie sessuali, tornare a fare film. O Mario Chiesa, dopo le noti vicende di Mani Pulite, potesse tornare a far politica e ad occupare posti di controllate pubbliche. Oppure ritrovarsi Luciano Moggi di nuovo re del mercato.

Mettiamo a verifica per un attimo le cose che si sono detti Josè Mourinho e Antonio Conte negli ultimi giorni:

  • 1) l’allenatore portoghese ha dato del clown a Conte. Non è un fatto, è un’opinione personale;
  • 2) Conte ha dato del demente senile a Mourinho. Anche questo non è un fatto, ma un’opinione personale;
  • 3) Mourinho ha detto che lui, contrariamente a quanto è accaduto all’allenatore italiano, non verrà mai squalificato per essere stato coinvolto in vicende di compravendita di una partita. Questo, al momento, è un fatto.

Nel primo botta e risposta tra i due celebri allenatori si era già capito un po’ tutto. Josè Mourinho — che non è certo uno stinco di santo e non è nuovo a surreali dialettiche verbali — , ha fatto uso di un termine certamente non piacevole nei confronti di Antonio Conte (reo, agli occhi dell’allenatore portoghese, di esagitarsi e di esultare in modo un po’ troppo scomposto in panchina), ma comunque sempre mantenendosi nel recinto verbale di uno spirito polemico che potrebbe accendersi in una qualsiasi partita di calcetto tra amici in una sera di metà settimana dopo il lavoro.

Antonio Conte, invece, a scelto la strada dell’improvvido uso di un termine abbastanza serio, che indica una malattia che nel 50% dei casi può portare una malattia degenerativa del sistema neurologico (Alzheimer, la malattia di Pick, ecc). Non è la prima volta che l’allenatore italiano si dimentica dei doveri che impongono ai personaggi di rilevanza pubblica di usare le parole con estrema cautela («Perché è successo a me? — ha commentato una volta a proposito della denuncia ricevuta per il suo coinvolgimento nel calcio scommesse — Mi sono posto tante domande in questi mesi. L’unica cosa che è cambiata nella mia vita negli ultimi tempi è che sono diventato allenatore della Juventus che dopo due settimi posti era diventata simpatica a tutti. Poi d’incanto abbiamo vinto e siamo tornati antipatici». Lascio alla sensibilità di ognuno la reale comprensione della gravità di queste parole dalla forma chiaramente allusiva). Un dovere che Antonio Conte dovrebbe perseguire più di ogni altro, visto che nella vita gli è stata concessa una seconda occasione, non concessa a tutti nella vita.

C’è da dire che lo scontro tra due tra i più egocentrici e permalosi tecnici del panorama calcistico attuale ha davvero raggiunto livelli di sconfinamento della pubblica decenza e del fair play sportivo raramente visti attraverso i media. Credo che i rispettivi uffici stampa avrebbero dovuto fermarli in tempo, ma purtroppo così non è stato. Sottolineo, però, che tra i due contendenti è Antonio Conte a essere sotto il regime della seconda occasione, un privilegio che avrebbe dovuto comportare anche qualche obbligo, come l’umiltà e la morigeratezza. Nella filosofia del marketing spesso si sostiene che raramente c’è una seconda occasione per fare una buona impressione, questo per il fatto che il perdono di uno sbaglio — cosa già ardua quando si parla di rapporti personali — diventa una montagna difficile da scalare davanti a una pubblica opinione.

Ecco perché ritengo che l’allenatore pugliese abbia perso una buona occasione per dimostrare ai tifosi, specie quelli più giovani, cosa sia un reale percorso di redenzione.

Antonio Conte ha dichiarato — definendo Mourinho una persona poco informata — di essere stato assolto dalla giustizia ordinaria italiana. Se si scorre un passo delle motivazioni della sentenza di assoluzione di Antonio Conte e Angelo Alessio (il suo vice-allenatore), si può leggere:

«non ricoprendo l’allenatore di una squadra di calcio professionista il ruolo di pubblico ufficiale […] ne consegue che un allenatore e tanto meno il vice-allenatore di una squadra di calcio, non sono obbligati alla comunicazione dell’eventuale notizia di reato di una frode sportiva all’autorità giudiziaria».

Facendo un’opera di doverosa sintesi e non potendo in questa sede riportare tutte le motivazioni della sentenza, Antonio Conte e Angelo Alessio sono stati assolti per non aver commesso il fatto per quanta riguarda un intervento diretto della compravendita della partita Albinoleffe-Siena, ma non sono stati giudicati (perché l’omissione non è un reato penalmente perseguibile) per quella che il giudice Pier Paolo Belluzzi chiama «un atteggiamento di mera connivenza al più un azione omissiva, individuabile in quel mancato intervento al richiamo di doveri relativi al corretto comportamento sportivo…».

Ne consegue in modo evidente che, nella polemica con Mourinho, l’allenatore del Chelsea ha detto una mezza verità e una mezza bugia. E tutto questo in un regime di seconda occasione. Quindi ritorniamo a quello che veramente interessa a chi ama lo sport, e cioè alle ragioni della giustizia sportiva, per la quale il reato di omissione invece (in base all’art. 7 CGS) è cosa assai grave e doverosamente da perseguire. Per questo Antonio Conte, alla fine di tutto l’iter della giustizia sportiva, è stato squalificato per quattro mesi.

Ritorniamo così al fatto, senza però dimenticare la tragicomica dichiarazione del presidente della Figc, Carlo Tavecchio, in cui espresse «grande soddisfazione dell’assoluzione di Antonio Conte decisa dal tribunale di Cremona. La mia fiducia in lui non è stata mai in discussione». Fiducia nel non avere mai venduto una partita o nel non aver mai commesso omissione sulla compravendita della stessa? Mah… in ogni caso, considero la compravendita di una partita il reato più grave che si possa commettere nello sport, ancora più del doping.

Gli atleti della Germania dell’Est, che usavano dosi massicce di Oral Turinabol (un potente anabolizzante sintetico prodotto dai laboratori della Germania dell’Est), “compravano” sicure migliori prestazioni sportive, ma non compravano sicuri risultati (inoltre questi atleti si allenavano fino a 14 ore al giorno). Non voglio ovviamente giustificare il doping, ma solo porre il giusto accento su quanto sia grave vendere una partita. Non so dirvi, onestamente, se sia stato giusto concedere a Conte una seconda opportunità. Per me vale, nello sport come nella vita, il concetto di “giusto e “sbagliato”.

Lo sport può anche perdonare chi sbaglia, ma ha il dovere di preservare un filo di memoria.

C’è il bisogno di ricordare ai suoi figli caduti in errore che un coerente percorso di redenzione è necessario verso i giovani e i bambini che continuano a guardarli con occhi incantati. Charles Dickens — celebre autore di capolavori come “Oliver Twist” e “David Copperfield” — aveva una sua precisa idea sull’omissione: «In una parola, ero troppo codardo per fare quello che sapevo essere giusto, così come ero stato troppo codardo per evitare di fare quello che sapevo sbagliato».

Un po’ di coraggio, ogni tanto, servirebbe ad ognuno di noi che amiamo il calcio. Per amore del gioco, per amore della vita.

Articolo a cura di Anthony Weatherill

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