La solitudine di Edin Džeko

Crampi Sportivi
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3 min readDec 22, 2015

Il calcio ha una fenomenologia assai strana: a differenza di quella dello spirito razionalmente indagata ed esplicata da Hegel, nel calcio “non si sa mai”. Tanti, tantissimi fattori insistono contemporaneamente e così, ed è anche qui risiede il suo fascino, è impossibile dare mai una parola definitiva, una previsione assoluta e via dicendo. Non sfugge a questa concezione l’esito di una partita e non sfugge ovviamente la rendita di un giocatore. Grandi campioni si rivelano bidoni, e basti ricordare ai tifosi laziali il nome di Mendieta per far andare di traverso pandoro, panettone e panforte. Ci sono poi delle vie di mezzo e ci sono poi assolute sorprese. Il calcio è questo.

Quando ad agosto la Roma annuncia l’ingaggio di Edin Dzeko la piazza è, giustamente, in fermento. Si tratta di uno dei migliori attaccanti, anzi meglio definirlo con un termine di qualche anno fa, centravanti, d’Europa che, nonostante gli acciacchi e le sfortune, ha sempre dimostrato il suo valore: prestante e forte di testa, buon tiratore da fuori e sempre rapido nei contropiedi. Primo gol della stagione da incorniciare: Roma e Juve si giocano i tre punti e l’attaccante bosniaco svettando su Chiellini e schiacciando con forza segna la sua prima rete:

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Un gol che potremo definire simbolico.

Superato anche il confronto anche con l’altro grande attaccante arrivato in estate a Torino, Mandzukic. Ad ottobre viene riscattato, segna nel derby contro la Lazio, su rigore, e poi anora contro il Bologna, ancora su rigore. Qualcosa non va, vuoi per il periodo della squadra giallorossa, vuoi per gli altri fattori di cui si parlava sopra, Dzeko non è a suo agio, non si muove bene ma, soprattutto, non segna.

Domenica, in un clima surriscaldatissimo che vedeva soprattuto Garcia, novello San Lorenzo, sulla graticola, si è giocata una di quelle partite che spesso per il loro contraccolpo decidono una stagione: Roma e Genoa si sono sfidate, entrambe con il fiato corto. La Roma l’ha spuntata salvando così ancora per un po’ Garcia, ma Dzeko è uscito male dal match, con un sonante cartellino rosso arrivato dopo reiterate proteste:

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Una delle immagini che hanno segnato più la mia generazione è stata sicuramente quella di Zidane che, dopo la testata a Materazzi, scende il tunnel dello stadio di Berlino, a capo chino, accanto alla coppa del mondo che forse aspettava lui per essere alzata. I fatti sono sicuramente differenti tra loro, ma l’immagine è la stessa: quella di un’impotenza.

“Dzeko non è un caso, anche Batistuta partì in sordina alla Roma e chiuse l’anno con più di 20 gol”, questo ha detto garcia nel post-partita, ma il primo cartellino rosso di tutta la sua carriera, in 378 presenze e con soli 40 cartellini gialli, segna sicuramente qualcosa di più, è il segno di un nervosismo impossibile da schiacciare e di un turbamento insostenibile per sé e per la squadra. Sono i numeri, uno dei pochi elemnti razionali del nostro mondo, a parlare: due gol su rigore, uno su azione, neanche un assist: molto poco per chi doveva concorrere con i capi della classe per il titolo di capocannoniere. Al di là del momento sicuramente non facile per la squadra giallorossa, il gigante di Sarajevo resta pallidamente improduttivo, lui, finalizzatore puro, non accompagnato dalla squadra: Gervinho e Salah sono delle seconde punte che amano puntare la porta, i terzini non sempre riforniscono Dzeko e l’unico che sembra aiutarlo è Pjanic. Ma si tratta, senza dubbio, di una delusione.

“Li incontri dove la gente viaggia, e va a telefonare, col dopobarba che sa di pioggia” cantavano i Pooh riferendosi ai loro “Uomini Soli”. Ma anche con Dzeko sembra di avvertire una solitudine ancestrale, un’afasia verso il resto della squadra che non può che tarpare le sue ali ed impedirgli di muoversi al meglio. Dove stia la responsabilità certo non lo si può dire, ma che questo non sia il Dzeko che tutti si aspettavano, questo sì.

Matteo Moca

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