La squadra amatoriale più forte al mondo
Il poster in copertina è tratto da un’opera di Osvaldo ‘Oz’ Casanova
Ci sono storie grandiose che il tempo ha oscurato. Nascoste alla memoria perché non conformi allo stato delle cose. Pericolose, forse, perché emblema di ciò che poteva essere e non è stato. A sud ovest di Londra c’è una squadra che reclama il suo posto nella storia del calcio. Una squadra che pochi conoscono, per lo meno da questo lato del mondo. Il suo nome è Corinthian-Casuals e per scriverne non si sa da dove cominciare.
Mentre mi avvicino allo stadio mi rendo conto che qualcosa non va. Dopo aver speso 11 sterline per un treno andata e ritorno dal centro di Londra a Tolworth, mi ritrovo accompagnato da Google Maps di fronte all’ingresso di un club di bocce. Bella fregatura. Intorno più campagna che città, nessuna traccia di campi di calcio, né di tifosi locali. All’improvviso intravedo un ragazzo che, zaino in spalla e telefono in mano, mi viene incontro: si chiama Rafael e viene dal Brasile. Un altro che ha preferito affidarsi alla tecnologia piuttosto che chiedere a qualcuno. Anche lui sta cercando il campo dei Corinthian-Casuals. Addosso porta i colori della sua squadra, il Corinthians Paulista. La squadra che ha conquistato l’edizione 2015 della massima serie brasiliana con 22 punti di vantaggio, sotto la guida di Tite. La vicenda si sta complicando.
I Corinthian-Casuals giocano all’ottavo gradino del calcio inglese, ma su Facebook il club ha più seguito di Chievo, Carpi e Frosinone messi insieme. Dall’altra parte del mondo ci sono infatti milioni di persone che non smetteranno mai di ringraziare i chocolate & pink, dimostrando il loro affetto sia distanza che di persona. Come Rafael. Sono i tifosi del Corinthians di São Paulo e quando vengono a Londra passano a salutare la loro anziana madre, alla quale devono tutto. Per raccontare questa storia bisognerà però partire da molto lontano.
Nel 1882 alcuni membri della Football Association inglese decisero di fondare un club di calcio per contrastare la potenza della selezione scozzese, i cui giocatori provenivano quasi interamente dal Queen’s Park di Glasgow: nacque così il Corinthian FC. Il neonato club vestiva di bianco ed era una squadra formidabile, tanto da distinguersi sin da subito per i meriti sportivi e per i valori dimostrati in campo. Contrari ai calci rigore, gli atleti passavano la palla al portiere invece di tirarli. Se un avversario si infortunava, preferivano giocare in dieci per garantire un confronto equo. La loro fama generò un’espressione ancora comune nel Regno Unito, quella del Corinthian spirit, una sorta di fairplay legato alla competizione amatoriale, mosso non da perbenismo ma dall’amore per il gioco corretto. Il loro ideale, ma al tempo stesso la loro condanna, fu quello di uno sport totalmente amatoriale, praticato da gentiluomini come gioco e non come mestiere.
Contrari a competere con formazioni professionistiche, preferivano girare il mondo per insegnare il beautiful game. Con più di 34 tournée in 41 anni, svolsero il ruolo di missionari del calcio, influenzando in maniera profonda il futuro del pallone in ogni paese che visitavano. Di esempio ne basta uno: nel 1902 i fondatori del Real Madrid, entusiasmati dalla celebre squadra inglese, decisero che il loro club avrebbe indossato la stessa divisa bianca, che li avrebbe poi resi le merengues.
Tuttavia, non dobbiamo immaginare i membri del Corinthian FC come degli Harlem Globetrotters ante litteram, ossia una squadra che girava il mondo con il solo scopo di intrattenere gli spettatori. Essere un club amatoriale al tempo non significava affatto dover rinunciare a competere con i migliori. Tra i successi, la squadra londinese può annoverare vittorie contro selezioni nazionali di Brasile, Olanda, Belgio e Sudafrica. Nel 1894, per ben due volte, l’intera formazione della nazionale inglese fu composta da soli suoi giocatori. E non è un caso se il Manchester United non ha ancora sperimentato sconfitta peggiore di quella rimediata col Corinthian per 11–3 nel 1904.
Ma torniamo a dove eravamo rimasti, ovvero alla storia di un ragazzo brasiliano che, in visita a Londra, si reca a vedere una squadra di ottava categoria nel sobborgo londinese di Kingston-upon-Thames. Non bisogna stupirsi se nel 1910 i suoi avi, un gruppo di operai di origine europea, decisero di fondare una squadra di calcio di e per la classe operaia di São Paulo, ispirandosi a quella squadra inglese che in tournée stava sconfiggendo tutte le migliori compagini brasiliane: l’1 settembre 1910, nel quartiere di Bom Retiro, sotto la luce di un lampione, nacque lo Sport Club Corinthians Paulista.
Ed è proprio la luce dei lampioni, o meglio dell’impianto di illuminazione del campo, a guidare me e Rafael fino alla meta. Il trattamento è dei migliori: grazie alla sua maglia, ci viene concesso lo sconto sul biglietto e veniamo addirittura accompagnati alla scoperta del centro sportivo. Il campo in erba è a dir poco stupendo, da far invidia a quelli della Serie A. La clubhouse, proprio dietro la tribuna principale, è anch’essa una scoperta eccezionale. Un tradizionale pub inglese arredato come un museo del club, pieno di foto d’epoca, trofei, gagliardetti, foto dei tifosi e vecchi articoli di giornale. Famiglie con i figli, tifosi ospiti e locali, anziani di zona e giovani brasiliani con indosso i simboli della propria torcida bevono le birre della casa e aspettano il momento di prendere posto per la partita.
Il campo ha tre piccole tribune. Io e Rafael ci sediamo in quella sul lato lungo del campo, strategica per la vicinanza al bar, assieme alla maggior parte dei tifosi. Attorno a noi si sistemano le famiglie, gli anziani, qualche giornalista e tutti i tifosi che si godono da seduti il loro appuntamento con la non-league. Alla nostra sinistra, dietro una delle porte, i tifosi ospiti: sono venuti da Folkestone, non lontano dalle bianche scogliere di Dover, percorrendo più di 100 chilometri. Ogni tanto tentano di far sentire la propria voce, ma il loro canto viene ripetutamente coperto da quello del settore più caldo dei tifosi di casa. Dalla parte opposta del campo, dietro un enorme striscione che in brasiliano recita grazie per far parte della nostra storia, un gruppo di brasiliani e i tifosi inglesi sostiene la squadra senza fermarsi.
I chocolate & pink perdono per 0–1 contro una squadra che è destinata a lottare per la promozione. Si rifaranno nel giro di qualche ora, quando giocatori e tifosi di entrambe le squadre si riuniranno nella clubhouse per guardare l’Inghilterra fare 6 goal al San Marino e qualificarsi agli Europei. Anche noi, dopo il triplice fischio, ci dirigiamo in quello che è il cuore del centro sportivo: non il campo di calcio, non le tribune, ma il bellissimo pub della squadra di casa. La porta di accesso è fatta in maniera tale da mettere chiunque vi entri di fronte alla storia del club: aprendola, ci si trova faccia a faccia una foto scolorita di Socrates in campo con la maglia marrone e rosa. Sócrates, il “Dottore”, il giocatore che vinse due scudetti con il Corinthians Paulista praticando l’autogestione della rosa, ha giocato — seppur per solo quindici minuti — con la maglia dei Casuals londinesi.
L’occasione fu quella di un’amichevole giocata a São Paulo, quando la formazione brasiliana ospitò quella a cui deve nome e colori. Nessuno dovette giocare con la seconda maglia, perché i londinesi indossavano la chocolate & pink già da decenni, ovvero da quando nel 1939 si fusero con il Casuals FC, assumendone i colori un po’ inusuali. In quella storica partita, vecchie glorie del Corinthians — tra cui Rivelino, nella sua unica apparizione in campo al fianco di Socrates — intrattennero i 15.000 spettatori e sancirono definitivamente il gemellaggio fra le due squadre, separate dall’Oceano Atlantico e da numerose categorie calcistiche.
Seduto di fronte a una pinta di bitter, conosco Stuart, che nel tempo libero si occupa dell’area stampa e media del club. Mi descrive come funzionano le cose nel club, mi parla del suo impegno e quello di molti altri tifosi volontari. Ma soprattutto, mi racconta
dell’eroica spedizione che nel gennaio 2015 ha visto lui, la squadra, la dirigenza, molti tifosi e le rispettive famiglie riportare in Brasile il Corinthian-Casuals FC per un’altra amichevole dopo quella del 1988. Mi descrive il viaggio come un’impresa, mi fa capire cosa possa significare per un club amatoriale organizzare una trasferta oltreoceano.
Il giorno dopo Uruguay-Inghilterra, giocata proprio a São Paulo durante i mondiali 2014, ricevemmo una valanga di foto di brasiliani allo stadio con la maglia del Corinthian-Casuals. Ci rendemmo conto di quanto ancora fosse forte il sentimento che legava i tifosi brasiliani al nostro club, così decidemmo di realizzare la folle idea. D’altronde, l’anniversario da celebrare c’era: cento anni prima, un gruppo di gentleman inglesi vestiti di bianco raggiunse in nave il Brasile per una tournée. Ma, appena arrivati, furono informati dello scoppio della Prima Guerra Mondiale e decisero di tornare per servire la loro patria. Buona parte di loro morì in battaglia.
Stuart e tutta la comunità del Corinthian-Casuals sono partiti per il Brasile a testimoniare quanto ancora sia vivo il legame fra i due club. Nell’epoca della comunicazione facile, grazie all’accesso ai canali social e ai video della squadra, i tifosi brasiliani hanno sviluppato un senso di gratitudine e amicizia ancora più forte verso quelli inglesi, a tal punto da superare quanto già dimostrato nel 1988. Un gratitudine che, appena atterrati, gli inglesi hanno modo di sperimentare sulla propria pelle.
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Appena arrivati all’aeroporto ci ritrovammo sommersi da una folla di tifosi brasiliani festanti. Incredibile! Noi, una squadra che gioca all’ottavo livello del calcio inglese, accolti così in Brasile! Il giorno dopo c’era la mia faccia e quella di tanti altri dei nostri sui principali giornali sportivi. All’allenamento c’erano 4.000 persone a vederci. Allo stadio più di 30.000. Sono state emozioni che segneranno per sempre le nostre vite e quella del club.
In quella partita, una formazione in cui giocavano un decoratore, un commesso e un poliziotto ha mantenuto per 78 minuti il risultato sullo 0–0 contro uno dei club più importanti del Sud America. In quella partita, i tifosi del Corinthian-Casuals hanno capito che, in fondo, nulla nella loro storia era stato sbagliato. Che i sacrifici non erano stati vani. La squadra che ha segnato un’epoca si è condannata a una vita di alti e bassi in non-league in nome del gioco amatoriale, ovvero quello giocato dagli amatori e per gli amatori del calcio, senza essere un mestiere. Quasi ignorata in patria, ha trovato il suo riscatto nell’amore di decine di migliaia di tifosi brasiliani, che a lei devono tutto. Il Corinthian-Casuals FC, la squadra amatoriale più forte che il mondo abbia mai visto.
Obrigado por fazer parte da nossa história.
Articolo a cura di Valerio Curcio