Lacio drom, Tanque Denis

Crampi Sportivi
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3 min readFeb 1, 2016

Se si riduce in maniera brutale il momento dell’addio, nascono essenzialmente due immagini diverse, opposte; si tratta di una riduzione semplicistica certo, ma che mantiene comunque la sua efficacia. Il primo tipo di addio è questo:

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L’altro invece è questo:

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Nel primo esempio, si tratta di un addio potente e che vuole cancellare qualcosa, è Clark Gable che se ne infischia, è Vivien Leigh che resta lì, dopo una storia tormentatissima, lasciata sola a se stessa. Il secondo invece, che mi piace ricordare commosse anche Lady Diana, così per mostrare ancora i meccanismi della cultura di massa, è un addio sofferente, ma sofferente per un altro motivo, perché è un addio che si vorrebbe rimandare, che si vorrebbe addirittura non arrivasse mai, perché dietro c’è una storia personale che rimarrà con chi se ne va e con chi resta, come un ricordo dolce e malinconico.

In quest’ultima giornata di Serie A si è assistito, un po’ in sordina a dire il vero, ma su questo torneremo, ad un addio importante, quello di German Denis, detto El Tanque: dopo 5 anni di onorato servizio presso l’Atalanta, l’attaccante argentino ha salutato il suo pubblico per tornare nella natia Argentina, all’Independiente. Dopo il classico peregrinare di quegli attaccanti che non riescono mai a raggiungere ed entrare veramente in una big, Denis è passato da Cesena, Napoli e Udinese, prima di accasarsi a Bergamo, nel clima tanto diverso da quello della sua terra natale. Eppure, in questi 5 anni, 153 presenze e 56 goal, con tre anni, quelli dal 2011 al 2014, che l’hanno visto tra i migliori marcatori della Serie A.

Arriva per tutti il momento dell’addio, ed anche il tempismo rappresenta un fattore importante, perché un conto è andarsene quando si è ancora sulla cresta dell’onda, un altro è invece farlo quando si sta già scendendo la china. Credo che Denis abbia compreso anche questo, e se ne va così, nel mezzo di una stagione che finora era stata un po’ avara con lui, senza grandi rumori, ma in silenzio appunto, quel silenzio e quella riservatezza che hanno segnato la sua carriera. E la sordina che blocca il boato è anche una caratteristica del suo essere stato simbolo di provincia, di una squadra che nonostante la vicinanza alla capitale “morale ed immorale” (per dirla con Dargen) di Milano, se ne sta chiusa su se stessa, con il suo fortino, quella Bergamo alta, che sembra quasi un Olimpo incontaminato e a se stante. E anche per questo non ci sono stati proclami, perché i tifosi che hanno affollato l’Atleti Azzurri d’Italia sanno che si tratta di un loro tesoro, di un gioiello che sta a loro coccolare e salutare nel migliore dei modi. E anche lui lo sapeva, come sa già che forse, prima o poi, tornerà a Bergamo, e lo dice in una comprensibile commozione, in un italiano ancora un poco sudamericano, con i ringraziamenti anche ai magazzinieri e ai custodi:

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Ironia della sorte, c’è Edy Reja in panchina per la sua ultima apparizione, lo stesso che lo aveva allenato a Napoli, e che lo fa giocare dal primo minuto. Sembrano copioni già scritti, le ultime partite di giocatori importanti che per forza di cose devono segnare (gli ultimi Inzaghi e Del Piero per fare due nomi di peso), e così è stato anche nell’anticipo di quest’ultima giornata, dove l’Atalanta se l’è vista con il Sassuolo. E l’occasione al Tanque è arrivata da un rigore abbastanza discutibile, ma comunque concesso senza pensarci troppo: quale migliore occasione per salutare con un goal? Chissà cosa sarà passato per la testa di Denis in qual momento, se avrà ripensato agli anni trascorsi, ai goal, alle gioie e alle sofferenze. Forse ha pensato troppo Denis, e il tiro che gli è venuto non è granché, rasoterra e abbastanza centrale che Consigli respinge. Ma non può finire così, l’ultimo dono del cavaliere alla sua Dea non può essere questo. E allora Consigli, altro ex dell’Atalanta e quindi compagno di Denis, para ma respinge centrale e l’attaccante, come mosso da un impeto, si avventa felino sul pallone per scagliarlo in rete:

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E il resto è già visto, la corsa indemoniata, il boato sotto la curva e l’abbraccio al raccattapalle. Ed è prevedibile anche il momento della sostituzione, quello che permette al pubblico di omaggiare il suo campione; e gli occhi si fanno lucidi, la fascia da capitano viene tolta per l’ultima volta, la passeggiata verso la panchina che Denis, come vergognandosi, fa velocemente, e poi l’abbraccio finale a Reja, prima della commozione che lo avvolge seduto in panchina.

Un finale scritto sempre uguale, ma sempre diverso.

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