L’anno del Dragone

Marco A. Munno
Crampi Sportivi
Published in
8 min readSep 18, 2017

Saggezza popolare e esperienze personali ci hanno insegnato come, spesso, la storia che ci contraddistingue ci sia in qualche modo ritagliata addosso, con una sorta di filo conduttore che leghi gli accadimenti personali e un destino sostanzialmente impossibile da sovvertire completamente. Se si ha la fortuna di nascere privilegiati, quasi benedetti, si susseguono luci, pailletes, podi, soddisfazioni e trionfi; se, invece, si è destinati a essere i gregari dei protagonisti, i personaggi sullo sfondo dell’immagine, il corollario agli illuminati, quasi mai è possibile assurgere dal mesto ruolo di numeri due.

Nella schiera dei perenni underdog sembrava posizionarsi il basket sloveno. Costola della rinomata scuola cestistica slava, quando il progetto di Yugoslavia unita si infranse e vide la prima ripercussione in ambito sportivo, dall’unico team mai ritenuto in grado di poter fronteggiare i maestri USA, fu l’unico sloveno in squadra Zdovc a essere escluso dalla squadra jugoslava proprio prima della loro ultima esibizione sotto la stessa bandiera, la finale vinta di EuroBasket del 1991. Successivamente alla separazione delle selezioni nazionali, se Serbia (e Jugoslavia prima) e Croazia hanno ottenuto podi fra Olimpiadi, Mondiali ed Europei, nonostante la militanza di diversi giocatori di livello NBA così come per le prime due, il miglior risultato è stato quello, beffardo di un quarto posto ad EuroBasket 2009: manco a dirlo, una medaglia di cartone per la Slovenia.

Il miglior giocatore di quella selezione, Smodis, fu costretto causa infortuni a minutaggi limitati.

Stesso fato sembrava aver da sempre abbracciato anche il miglior giocatore che la nazionale avesse mai espresso, il geniale mancino Goran Dragic. Nell’indicare i migliori giocatori europei del ventunesimo secolo, quello in cui i giocatori del Vecchio Continente sono definitivamente andati a recitare ruoli da protagonista nella lega al di lá dell’Oceano, fra un Nowitzki, un Parker o uno dei Gasol a piacere, non si è quasi mai inserito nelle discussioni l’altro ad aver ottenuto un ruolo di uomo-franchigia nella NBA. Quello che, anzi, prima soprannominarono addirittura “Goran Tragic” nella lega USA, per poi vederlo raggiungere il club del 20-50-40, ovvero quei giocatori capaci di realizzare 20 punti di media tirando con almeno il 50% dal campo e il 40% da 3 (affiancandosi ai soli LeBron James, Kevin Durant, Jeff Hornacek, Drazen Petrovic e Dirk Nowiztki). Se invece ci si volesse fermare all’elenco dei playmaker geniali di marca europea, da Parker a Jasikevicius per arrivare a Teodosic o al Chacho Rodriguez, il talento di Goran è sempre stato poco idolatrato fra tutti questi.

Uno partito dal basso nella Lega ma miglioratosi anno dopo anno

Salto ai giorni nostri: EuroBasket 2017 inizia con basse aspettative. Tanti assenti illustri, da campioni nel loro prime quali Teodosic, Batum o il nostro Gallinari a coloro ormai pronti a prenderne il posto nell’elite continentale come Antetokounmpo, Gobert o Jokic; fra i Bogdanovic, Saric, Porzingis e il bimbo prodigio connazionale sloveno Luka Doncic, sono i fratelloni Gasol a settare, come da una decade, gli standard quali uomini copertina.

Per la vittoria finale, alla Spagna capofila e a Serbia e Francia quali credibili candidate, la Slovenia veniva affiancata come outsider così come Russia, Grecia, Croazia e Lettonia.

Nuovamente in seconda linea, ancora una volta non messa in primo piano; ma in questa occasione la dea della vittoria Nike ha pensato diversamente. Per poter sovvertire un destino tanto radicato ha indossato i panni battaglieri di Daenerys Targaryen e per sospingere i suoi prescelti ha invocato l’arma distruttrice:

Questa la versione in cui si è quindi presentato alla manifestazione, conscio che potesse essere la sua ultima occasione, l’anima della sua selezione nazionale Goran Dragic:

Nella fase a gironi Goran è una macchina: lo sloveno ha realizzato 24.4 punti e 5.2 assist ad allacciata di scarpe, firmando anche il suo massimo di punti in Nazionale coi 30 contro la Polonia — in combinazione con il suo protetto Doncic e ai contributi intermittenti, ma di impatto assoluto di Anthony Randolph — ed è riuscito a guidare i biancoverdi a una fase a gironi perfetta, conclusa al primo posto nel proprio raggruppamento, superando insidiose concorrenti quali Francia e Grecia:

Gli ottavi filano via lisci, con l’eliminazione di una non irresistibile Ucraina, ma è dai quarti di finale in cui si può misurare il valore della compagine slovena. E alla truppa biancoverde capita il cliente più scomodo, fra quello riservato alle teste di serie: l’incrocio con la Lettonia.

Le premesse per un grande spettacolo ci sono tutte, perché di fronte si trovano due fra le promesse più scintillanti del futuro della pallacanestro mondiale ed europea: il Wonderkid sloveno Luka Doncic contro l’Unicorno di New York Kristaps Porzingis.

Il loro duello non tradisce: un match spettacolare vede Luka mettere a segno 27 punti e 9 rimbalzi, con Kristaps a rispondere con 34 punti e 6 rimbalzi. Tuttavia, per spostare definitivamente l’ago della bilancia a favore di uno dei due team, gli sloveni hanno a disposizione una carta in più: con cifre che veleggiano verso una tripla doppia di 26 punti, 6 rimbalzi e 8 assist, c’è capitan Goran, il quale suggella la fine di una delle partite più belle degli ultimi 15 anni di palla a spicchi con il lay-up decisivo.

La Slovenia è quindi fra le quattro migliori squadre d’Europa, nel peggior caso replicando il proprio miglior risultato di sempre. E’ difficilissimo infatti pensare a qualcosa di più: di fronte, in semifinale, c’è la squadra che tutti si augurano di evitare, la Spagna.

La Roja, vincente in tre delle ultime quattro edizioni, è nettamente la squadra più attrezzata del torneo: dalla sua parte può schierare i due centri tecnicamente migliori al mondo, con la freschezza punto debole oramai del 37enne Pau Gasol, diventato in questa edizione il miglior realizzatore della storia dell’intero EuroBasket, compensata dall’acume difensivo del fratello Marc.

Al loro fianco, l’ambasciatore universale del Chachismo, quel Rodriguez che pur privato del sodale Llull è perfetto per attivare i fratelli Hernangomez, direttamente nel secondo quintetto quando sarebbero titolari in qualsiasi altra compagine continentale. Si dividono il playmaking con il Wonderkid originale di questo secolo di pallacanestro europea, Ricky Rubio.

Una sfida più che proibitiva. Un Golia che cerca un termine dorato per il suo lungo ciclo facendosi beffe di qualsiasi improvvisato Davide a essersi parato davanti, giocando con sufficienza per gran parte delle gare per poi schiacciare gli avversari in brevi ma irresistibili accelerate. Per superare uno scoglio di questo tipo, non basta una grande prestazione: serve andare oltre i propri limiti, giocare una partita perfetta e sperare che l’orgoglio di tanti mestieranti imbeccati dal trio delle meraviglie sia apprezzato e premiato dalle divinità del gioco.

È sulla sirena di fine primo quarto che Nike decide di dare il proprio segnale, dalle mani del suo messo:

La gara è intensa, con un Luka Doncic esibirsi in una prestazione individuale di quelle che ne definiscono la presenza nella mappa dei più grandi della storia di questo sport. Con comprimari quali il grintosissimo Vidmar, lo specialista Prepelic o l’undersized Dimac che tirano fuori un’estrema resilienza di fronte a ogni graffio di talento dell’imponente armata spagnola. A mettere il fiocco di qualità a una commovente gara impacchettata dalla truppa di Kokoškov (coach serbo, a indicare come debba avere delle doti speciali per guidare una diversa selezione balcanica) pensa invece il Dragone:

Ironia della sorte, al passo finale la Slovenia si ritrova la Serbia, con Tito idealmente in tribuna a sorridere sotto i baffi. L’ultimo ostacolo da superare ha la taglia abnorme, ben 223 centimeri d’altezza, di Marjanovic a guardare le spalle del Mamba bianco, il Kobe Bryant europeo Bogdan Bogdanovic.

Un cerchio che sembra chiudersi sin da quel 1991, con gli eredi “diretti” di quella Jugoslavia, contro i primi ad essere da essa osteggiati ed esclusi.

Primo quarto di studio reciproco, dove i valori cominciano a trasparire sotto la superficie di tensione della finale: la Serbia è completa, schiera giocatori di contorno alle stelle più fisici e più tecnici, gioca meglio. Ma la Slovenia sembra avere un fuoco dentro pronto ad esplodere.

E nel secondo quarto, col via alle danze dato dalla cavalcata di Luka Doncic…

Esondano in tutta la loro violenza le fiamme di Dracarys: Goran Dragic si accende con una prestazione eccezionale. Firma 20 punti nel solo secondo quarto: realizza in penetrazione nonostante le mani addosso…

…e realizza triple a ripetizione nonostante la distanza.

La Slovenia chiude la metà gara in vantaggio, il Dragone alla eccezionale quota di 26 punti.

Il terzo quarto si apre con un’altra tripla di Goran, come messaggio per la truppa serba. Ma non è così facile far fuori chi ha nel destino sempre il numero uno cucito addosso. Un infortunio colpisce Luka Doncic, estromettendo l’altro campione sloveno dalla partita nel modo più vile, sportivamente parlando: non per incapacità di competere, ma per impossibilità di farlo.

Il contraccolpo psicologico è forte, la Serbia ritorna a contatto nel punteggio. In un timeout chiamato per fermare l’emorragia di canestri subiti, Dragic incita i compagni chiedendogli di tenere “your head up”, la testa alta: perché no, non si può mollare in un appuntamento così importante.

La gara si mantiene punto a punto, ma gli ostacoli non sono ancora finiti. A quota 35 punti personali, durante la miglior partita della sua intera carriera a qualsiasi livello, si fa male anche lo stesso Dragone; a pochi minuti dal termine, Goran è costretto anch’egli ad abbandonare il parquet.

Il doppio colpo inferto dalla sorte avrebbe steso chiunque, figurarsi chi ai grandi appuntamenti è un novellino. O meglio: quasi chiunque.

Gli unici a rialzarsi sarebbero stati quelli che, con la forza della disperazione, avrebbero trovato dentro delle energie con cui davvero realizzare il salto con cui lasciarsi alle spalle l’ostacolo, con cui mettersi alle spalle anche i numeri uno designati.

Prepelic inizia a vedere una vasca da bagno al posto del cesto; Randolph — che sembrava giocare le prime gare per fare un favore — trascina e incita i compagni; Blazic, Nikolic, Vidmar e Dimec giocano col talento che non hanno mai posseduto e che Goran Dragic, sbracciandosi dalla panca, idealmente infonde loro.

La Slovenia passa in vantaggio e non si ferma più, è in trance sportiva assoluta, trionfa, chiude imbattuta da campione d’Europa.

Goran Dragic, il suo leader, è nominato MVP della manifestazione nella gara che riscrive per sempre il suo ruolo nella storia.

Non più numero due ma, finalmente, al vertice. Finalmente, da numero uno.

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Marco A. Munno
Crampi Sportivi

Pensa troppo e allora scrive. Soprattutto di pallacanestro.