L’attaccante che non salutava Pinochet

Crampi Sportivi
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2 min readSep 11, 2016

Tratto dal blog di Simone Pierotti, che ringraziamo per averci permesso di ripubblicarlo.

L’11 settembre 1973, con la compiacenza degli Stati Uniti d’America, i golpisti di Augusto Pinochet circondarono e sganciarono le bombe sulla Moneda, il palazzo presidenziale di Santiago del Cile, con dei caccia Hawker Hunter fabbricati nel Regno Unito. Nel corso del golpe morì il presidente della Repubblica, democraticamente eletto tre anni prima, Salvador Allende.

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Santiago del Cile, 21 novembre 1973. A due mesi dal golpe militare che ha portato al potere il generale Augusto Pinochet, la nazionale di calcio si gioca la qualificazione ai Mondiali dell’anno successivo, in programma in Germania Ovest: sulla strada dei sudamericani c’è lo spareggio contro la temibile Unione Sovietica.

Il 26 settembre a Mosca va in scena il match di andata: le due squadre chiudono a reti inviolate grazie all’eccellente prestazione dei centrali difensivi cileni Quintano e Figueroa. Il ritorno è in programma nella capitale cilena: lo stadio nazionale, da luogo dedicato allo sport più popolare del mondo, è diventato in men che non si dica un grande campo di concentramento a cielo aperto. Gli spalti si trasformano in prigioni, gli spogliatoi nel luogo delle fucilazioni, i sotterranei nelle camere di tortura.

L’eco della triste trasformazione dell’Estádio Nacional solca gli oceani e giunge in tutto il mondo: i sovietici si rifiutano di giocare in uno stadio pieno di prigionieri politici, chiedono di far disputare il match di ritorno in campo neutro ed invitano la Fifa ad effettuare delle verifiche all’interno dell’impianto. Gli ispettori del massimo organo calcistico mondiale, però, non ravvisano alcuna irregolarità e concedono l’agibilità all’Estádio Nacional.

L’Urss, frattanto, non si schioda dalla sua posizione: in segno di protesta, non scenderà in campo. La Roja allenata da Luis Álamos viene invitata dalla Federcalcio nazionale a presentarsi comunque allo stadio, con la consapevolezza che i sovietici sono rimasti a Mosca: la vittoria a tavolino per 2–0 qualifica di diritto il Cile ai prossimi Mondiali.

I militari approfittano dell’occasione per radunare sugli spalti migliaia di tifosi che assistono ad una delle più grandi pantomime nella storia dello sport: la nazionale cilena scende in campo contro un avversario fantasma, con un arbitro austriaco che si presta alla messinscena, pronto a dare il fischio d’inizio di un’assurda contesa.

Dopo essere passato tra i piedi di nove diversi giocatori, il pallone finisce a Carlos Caszely, popolare attaccante del Colo Colo e fervido sostenitore di Allende: deciso a calciarlo in fallo laterale per non prestarsi alla farsa sceneggiata dal regime, all’ultimo istante lo passa al capitano Francisco Valdés, figlio di operai e militante di sinistra, l’incaricato di depositare la sfera nella porta sguarnita. Valdés, al rientro negli spogliatoi, si rinchiude in bagno ed inizia a vomitare. Anche Caszely si sente un vigliacco e con lui tutti gli altri giocatori: la paura che serpeggiava prima dell’incontro adesso cede spazio alla vergogna.

di Simone Pierotti

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