Le cose Semplici

Gianmarco Lotti
Crampi Sportivi
Published in
7 min readSep 15, 2017

Vi è mai capitato, giocando a Football Manager, che una carriera vi sembrasse troppo facile? Per esempio: scegliete una società di terza serie, fate qualche acquisto mirato e indovinate una tattica perfetta, centrando una doppia promozione. Arrivate nella massima categoria e continuate a vincere, conquistando l’Europa League o semplicemente sfiorandola, magari con una squadra alla prima partecipazione in Serie A o al ritorno dopo millenni di inferno.

Se vi è capitato, potete ben capire la carriera di Leonardo Semplici, il cui cognome, però, non deve far pensare che siano sempre state rose e fiori per lui. Da quando è alla Spal invece è diventato Re Mida, pur mantenendo intatta — stavolta sì — la semplicità insita nel suo patronimico. La squadra ferrarese è tornata in Serie A dopo 49 anni, bruciando le tappe in B e convincendo già tutti dopo poche partite di campionato. Il merito è di una società attenta, è innegabile, ma anche di un tecnico reduce da un’infinita rincorsa alla posizione che gli compete. Dopo anni passati in provincia a cercare di emergere, il toscano Semplici c’è riuscito, portando la provincia con sé.

Come stare fuori dal tempo

Ora, cadere nel luogo comune è un rischio tangibile sia parlando di Semplici che della Toscana in generale. Già la parola stessa ‘provincia’ ha cambiato la sua accezione nel corso della storia recente: da mera indicazione geografica, è stata trasformata dal calcio nella periferia del pallone, in qualcosa da snobbare prima e da rivalutare poi, con la variabile impazzita dell’ignoranza. Metafore trite e ritrite.

E poi la gavetta, che lo accomuna a Maurizio Sarri. Come se il solo aver fatto esperienza — e esser passato dai ‘campi polverosi’ tanto cari ai radiocronisti d’un tempo — sia garanzia di successo. Se un allenatore è passato dagli schiaffoni della gavetta allora è per forza bravo, come, fatte le dovute proporzioni, se uno è uscito dal liceo con otto a lettere allora per forza è un buon giornalista. E invece no, pure qui suona l’allarme del luogo comune.

Perché Semplici è bravo, ma a prescindere dall’aver allenato il Figline o l’Arezzo (terre di Sarri, e dai). Semplici è bravo anche a prescindere dall’essere semplice, un aggettivo che lo ha ovviamente caratterizzato nel corso della sua non lunghissima storia di tecnico. Siccome è toscano, viene dalla provincia e ha fatto la gavetta, allora è anche uno modesto e che bada alle ‘cose semplici’. Ah-ah, ma che bel gioco di parole, che fantasia, che originalità. E invece no, oppure invece sì: è toscano, ha fatto la gavetta ed è alla mano, ma è soprattutto bravo. Leonardo Semplici è bravo, bra-vo. È uno dei tecnici migliori nel panorama italiano, punto e basta.

In C2 col Figline è stato in vetta per 29 giornate su 34.

La logica tutta juventina dell’associare le capacità di un tecnico al suo palmarès impone un’ulteriore analisi. Perché Leonardo Semplici è uno dei migliori nonostante sia al primo anno in Serie A? Innanzitutto, la bacheca: ha all’attivo otto trofei di squadra (sei promozioni, tutte da primo classificato) e due panchine d’oro/argento, tre se contiamo anche quella che riceverà per la Spal 2016–17. Non sempre è stato tutto roseo: a Pisa e ad Arezzo sembrava essersi un po’ perso, complici le gestioni societarie che avevano obiettivi diversi dai suoi e, probabilmente, il primo vero salto in piazze importanti. Inizialmente si pensava che fosse buono solo per la C2 o per la Serie D, ma i fatti hanno mostrato il contrario.

(Interludio. Provate voi a andare a giocare sul campo dell’Impruneta o del Sangimignano o della Larcianese. Non è mica facile eh? Uno si sfrega gli occhi di fronte alle foto della bellissima Toscana e poi si ritrova un campetto spelacchiato in una zona industriale. Che è anche più brutto, perché con la bellezza di un borgo sullo sfondo in lontananza, bisogna giocare accanto a un soffione boracifero o a uno scatolificio. Altro che purezza, altro che Tarkovskij che fa i film a Bagno Vignoni).

Leonardo “Don Matteo” Semplici.

È uno dei migliori allenatori perché ha una mentalità propositiva, ma non spudoratamente offensiva. Non è di quelli che devono attaccare per forza dal primo al novantesimo minuto. Riesce a far giocare bene le sue squadre, che scendono in campo in maniera accorta e mostrando una buonissima fase d’attacco. È equilibrato e, sempre come Sarri, preferisce il modo in cui arriva il risultato rispetto al risultato in sé. Verrebbe da dire che è l’insegnamento base della scuola toscana di allenatori — e c’è chi l’ha detto — se solo non fosse una falsità, nemmeno esiste questa scuola toscana. Ennesima retorica, lasciamo perdere.

Semplici è bravo anche per il modo in cui si pone: è schietto, sincero, nasconde la cordialità sotto un’espressione spesso accigliata, ma mai cupa (tipico toscano, direbbe qualcuno; come se 19 regioni su 20 fossero popolate da falsi e disonesti). Semplici è uno dei migliori anche perché ha rischiato di non farlo proprio l’allenatore. Lavorava nella ditta di pellami del padre, ha fatto l’agente di commercio, poteva tranquillamente campare con quel lavoro lì. E invece si è messa di mezzo la passione, altro sentimento che ondeggia paurosamente tra il luogo comune e l’epica. L’impressione è che in Semplici la passione, quella maniacale che porta a studiare il calcio e a viverlo e non solo a metterlo in pratica, sia viva e vegeta, lontana da condizionamenti e da interviste preconfezionate da magazine.

Elegante sì, ma c’è un retroscena: pare che Macia alla Fiorentina una volta lo abbia bacchettato per l’abbigliamento.

Altro punto importante, Semplici sa valorizzare i giocatori che ha a disposizione. Fiorentino di nascita ma non di crescita — ha vissuto a Tavarnuzze (Impruneta) nella solita strada di Marco Baroni — , ha coronato il sogno di allenare la Fiorentina negli anni di Vincenzo Montella, quindi osservando da vicino il modulo fluido e il palleggio dell’attuale milanista. Era la Primavera e paradossalmente aveva su di sé più telecamere allora rispetto a oggi, per via di un reality sui giovani viola. In tre anni ha tirato su Bernardeschi, Piccini, Seferovic e altri ancora, alcuni dei quali nel 2017–18 giocano la Champions League con velleità di vittoria. Ha saputo lavorare coi giovani e ha lasciato il timone a Federico Guidi (a proposito, altro toscano da tenere d’occhio: è bravo anche lui) prima di andare fuori dal Granducato.

Era successo una volta sola, nel 1988–89, quando militava in Sardegna nel Sorso come difensore. Quasi trent’anni dopo l’ha preso la Spal, una società seria, interessante e interessata. Sarebbe piaciuta a Nanni Moretti, che in Aprile lodava l’organizzazione dell’Emilia Romagna. E infatti la Spal è organizzatissima, così come il suo allenatore. Niente è lasciato al caso: dalla filosofia prettamente italiana alla possibilità di variare il modulo di gioco in corsa. Semplici è partito con la difesa a quattro, ha vinto la B schierandosi con il 3–5–2 e in più di un’occasione è passato a tre davanti, non in modo fisso ma a seconda dell’evoluzione del match. Forse aver visto Montella molto da vicino lo ha aiutato, anche perché la sua Spal mantiene l’elasticità della Viola del tecnico campano, ma unisce una spiccata aggressività quando deve riconquistare il pallone.

In Serie A ha già alternato il 3–5–2 con il 4–4–2 e ha potuto farlo perché ha giocatori in grado di coprire più ruoli. I terzini sono di spinta ma coprono, vedi il nuovo arrivato Vaisanen; i centrocampisti sanno adattarsi alle diverse fasi di gioco, così capita di vedere Mora e Lazzari svariare su più zone del campo e arrivare perfino a segnare. Può contare anche su una batteria di attaccanti esperti, in A non fa mai male avere Floccari, Borriello e Paloschi. Ha un gruppo solido, segnale di una tradizione positiva che si fa largo nel calcio moderno: niente spese pazze, se si hanno certi giocatori allora si punta a far crescere il collettivo, in special modo attraverso il gioco. E anche qui, il fantasma di Maurizio Sarri.

L’esordio casalingo della Spal, in un Mazza a festa.

Le differenze tra i due sono tangibili, però. Semplici è meno testardo e sa accettare con più sportività il risultato del campo, inoltre adotta tattiche differenti: in definitiva è meno incantevole ma più pratico, non si preoccupa di dominare la partita ma di farlo solo nelle fasi cruciali. Entrambi sono accomunati da una sterminata cultura calcistica, che in Semplici si ritrova nell’approccio alla partita. Sa sempre chi ha di fronte e suonerebbe come un complimento, se non fosse anche questa un’altra frase fatta. Riesce a rendere facile — semplice, ah-ah — ogni partita della sua Spal (ma anche del suo Figline o del Sangimignano). Attenzione, fare le cose semplici non è affatto uguale a essere semplici. Magari una è l’emanazione dell’altra, ma in questo caso c’è distanza: le cose si rendono semplici se c’è un lavoro dietro, una preparazione continua e una forte conoscenza dell’argomento di cui si tratta. In questo caso il calcio, se non si fosse capito.

Da quando è a Ferrara ha iniziato un crescendo che lo ha portato a vincere all’esordio al Mazza al 94' in Serie A contro l’Udinese, dopo un pari all’Olimpico con la Lazio, su un campo dove sette giorni prima era caduta la Juventus. E il bello è che tutto sembra fisiologico: il gol di Rizzo all’Udinese è stato normale, la diretta conseguenza di una partita in cui la Spal ha giocato senza timore reverenziale e ha subito la rimonta solo perché è formata perlopiù da esordienti. I tifosi spallini facciano tutti gli scongiuri possibili, ma se la squadra continua così allora la salvezza è l’obiettivo minimo. Potrebbe essere lecito puntare a spiazzare i pronostici della vigilia e a cercare qualcosa in più, le premesse ci sono.

Per questo è come Football Manager: basta un po’ di intelligenza, basta saper fare bene il proprio lavoro ed ecco qua i risultati. E se poi sembra che la vittoria, la promozione, il trionfo arrivino troppo facilmente allora non bisogna stupirsi, ma, per una volta, lasciarsi andare al luogo comune. Bearsi dell’ingenuità del successo insperato, senza la vergogna dei buoni sentimenti. Continuare a fare le cose semplici, o Semplici. Ah-ah.

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Gianmarco Lotti
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Nel 2010 è stato inserito nella lista dei migliori calciatori nati dopo il 1989 stilata da Don Balón - @calcionews24 @gonews_it