Le Finali NBA 2015 come se fossero Tekken 3

Crampi Sportivi
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11 min readJun 19, 2015

E anche questa stagione Nba è ai titoli di coda. I Warriors hanno riportato il titolo nella Baia, Lebron non è riuscito a spezzare la maledizione di Cleveland. Se in questi 130 giorni che ci separano dall’inizio della prossima puntata della lega più bella del mondo soffrirete di saudade, non temete, abbiamo pensato a voi. Come in un Tekken 3 del basket vi permettiamo di scegliere tra i dieci protagonisti di queste Finals, scoprire le loro skills, valutare i loro limiti e la loro personalità, così da rendere un quadro trasversale di queste Finali 2015. Attaccate i joypad e selezionate il vostro personaggio.

GOLDEN STATE WARRIORS

30 Stephen Curry

«Il sorriso non vi inganni, questo è un assassino». Davide Pessina lo disse nella serie contro Houston, dopo l’ennesima tripla dall’angolo (cfr 3:05).

E invece ci eravamo fatti ingannare. Tutti. C’è una bellissima cover della Rivista Ufficiale NBA, numero di dicembre 2014. È la perfetta rappresentazione di Wardell Stephen Curry nell’immaginario comune.

“Basketball is fun”, il giallo e l’azzurro come il mare e il sole della Baia, nella mano — direttamente dal palleggio, of course — un pallone che sorride. Come noi, beati, quando le sue magie ci inebriano gli occhi. La felicità su un campo da basket.

Così credevamo, ma ci eravamo sbagliati. Aveva ragione Pessina. Steph Curry non è un buono, Steph Curry è un replicante di Blade Runner. Ne siamo stati tutti testimoni a Gara 5. Era la partita decisiva, quella in cui gira la serie. Ne ha messi 37. E dopo una tripla, si è distratto. Non si è contenuto, si è fatto scoprire. La telecamera lo ha colto senza il solito sorriso, con un ghigno tremendo. Da killer.

In queste Finali, l’MVP è stato un cobra nel deserto. Ha aspettato il suo momento. E quando è arrivato, ha azzannato la preda. Prendi Gara-1: all’inizio dell’overtime la palla pesa un quintale, non segna nessuno. Lui per due volte attacca, finta diabolico, guadagna il fallo. Due lunette, 4/4. I Warriors allungano e la prima è in tasca.

Poi prendi gara-4. Fine terzo quarto, Cleveland è in rimonta. Il Re, alla guida delle sue armate, segna il -3. Ma quando il nemico è vicino, è tempo di colpire. Tripla del +6 prima del riposo. Poi in fila due assist, jump-shot dalla media, altra bomba. Parziale: 12–2. E pareggio nella serie.

Adesso prendi gara-5. Quella dei 37, di cui 20 nell’ultimo quarto. Ma c’è un momento, nel terzo periodo, in cui i Warriors sono impallati. Nonostante la spinta della Oracle Arena, i Cavs sono ancora attaccati. “Non la vincono”, pensi. Sul pari 63, Curry sbaglia una tripla aperta. E di là segna LeBron. Ahia. Un buono qui si scioglie, s’impaurisce. Ma lui è un cattivo. Si prende l’altra tripla e bang, +1, gira l’inerzia. Solo un killer può rispondere colpo su colpo al Re.

https://www.youtube.com/watch?v=HERZgdRbfOg

E per finire, prendi la sesta. Dieci punti nel primo quarto, per dare un morso. Solo tre tra secondo e terzo periodo. Poi, nel quarto, dodici. Due bombe subito, per respingere l’ultimo assalto disperato. I liberi conclusivi per finire il nemico. Anello.

11 Klay Thompson

Klay Thompson è entrato in queste finali come il più classico “assistente dell’eroe”. L’Al Giordino di Dirk Pitt, il Robin di Batman, l’Orfini di Renzi. La narrazione di questi personaggi passa inevitabilmente nel renderceli simpatici in quanto comprimari, più umani ed umanizzabili dell’eroe, per questo più vicino a noi: fanno cose giuste, fanno cose sbagliate e ad un certo punto della storia rimangono coinvolti in qualcosa di brutto. Per Klay è stata la ginocchiata in testa ricevuta da Ariza, ma caratteristica principale dell’assistente è quella di essere resiliente: concussione superata rapidamente e posto accanto a Curry già da Gara 1.

Ma come è stata la sua serie? Da buon scudiero gli è stato affidato il compito di marcare lo scudiero avversario Irving, così da liberare da compiti di marcatura Steph. Purtroppo l’infortunio di Irving durante la prima partita ci ha privati del secondo duello per interesse. Privato del suo antagonista Kyle ha capito il suo ruolo sussidiario, si è concesso il classico guizzo da “secondo violino” segnando 34 punti in gara 2, dove però gli Warriors hanno perso; ma in generale ha lasciato il palcoscenico al capo e agli altri eroi meno probabili. Ha occupato il campo senza sporcare mai la partita, caratteristica necessaria di uno scudiero, abbassando sì le proprie medie realizzative, ma risultando utile sia in attacco per allargare la difesa dei Cavaliers e far segnare gli altri (questo spiega come mai il suo tabellino punti sia andato progressivamente scemando), sia in difesa dove ha messo anche lui le sue braccia per la causa NoLebron.

https://www.youtube.com/watch?v=M_UWUS4nhhM

9 Andre Iguodala

https://www.youtube.com/watch?v=NUb7FrPqNso

Ed ecco la difesa professorale in gara-1.

Quando non è stato impegnato nel ruolo di miglior difensore della lega, Iguodala ha steso un piccolo manifesto di basket all-around: pesanti tiri da tre, penetrazioni al ferro, assist, tiri dalla media distanza che Mozgov gli concedeva. I 16.3 punti, 5.8 rimbalzi e i 4.0 assist rappresentano la media più bassa per un MVP nelle finali, ma il basket di Iguodala, fatto di scelte giuste e cura del dettaglio, è per certi versi anti-statistico: “è incredibile vedere come in certe notti dia alla squadra proprio quello che gli serve; è un’abilità non così comune in questa lega, dove tutti vogliono le loro statistiche: ‘voglio le mie stats, voglio i miei punti, voglio i miei assist e i miei rimbalzi’ ha dichiarato Luke Walton, assistant-coach dei GSW.

https://www.youtube.com/watch?v=xLaB1EmCfvk

Pare che durante il secondo tempo di gara-6 ripetesse in continuazione la parola “six”, come una specie di mantra interiore, per convincere i compagni che era quello il momento di chiudere la serie.

23 Draymond Green

Nello sport, come nella vita, ci sono delle porte scorrevoli che se prese dalla parte giusta ti cambiano il destino. Quando il giocatore più pagato del roster, e l’unico All Star in maglia Warriors di questo millennio, si è fermato durante l’ultima partita di pre-season, nessuno nella Baia immaginava che quel muscolo stirato avrebbe rappresentato la svolta della stagione. E invece l’inserimento forzato in quintetto di Draymond Green ha cambiato faccia alla squadra, eliminando qualsiasi tocco in post basso e costruendo uno degli attacchi più efficienti della storia esclusivamente sulla pericolosità dal perimetro.

Nel sistema Kerr, Green è diventato rapidamente la pedina fondamentale, il giocatore perfetto da affiancare agli da una parte Splash Brothers e a Bogut dall’altra. Ovvero è determinante per aprire gli spazi per i mortiferi tiratori in giallo grazie alla sua consistenza nel portare i blocchi unita a una intelligenza geometrica nel distribuire il pallone e allo stesso tempo è il perfetto collante difensivo accanto al gigante australiano. Draymond Green appartiene a quella razza, rara quanto preziosa, di quattro mobili, dotati di un affidabile tiro da fuori, di piedi veloci con cui tenere i cambi difensivi e che, in determinate necessità possono anche giocare da cinque, distruggendo le teorie aristoteliche del gioco.

E’ il prototipo del giocatore ipercontemporaneo, un ponte temporale tra antico e moderno, un corpo modellato sulle statistiche avanzate e sulla personalizzazione del sistema, ma con un cuore che batte un ritmo Motown che ci riporta dritti ai BadBoys. E’ lui che ha dato consistenza alla volatilità arabesca della squadra di Kerr, è lui che si prende le responsabilità di litigare con tutti quelli che in campo non vestono la canotta Warrior, di discutere con gli arbitri, di sgomitare con i lunghi avversari a cui spesso rende minimo un paio di pollici. Lui 6.7” a contendere la palla a rimbalzo contro freak atletici cento volte più dinamici di lui.

Steve Kerr lo ha incoronato come the heart and the soul della squadra, lo spalatore di carbone in quella perfetta start-up eco-sostenibile che sono i Warriors campioni del mondo. Ma Green non è solo un manovale specializzato, è il capocantiere in incognito. E’ colui che studia il sistema avversario e trova i punti di rottura. E li sfrutta con precisione chirurgica. Dopo cinque partite di assestamento è esploso in Gara 6, inserendosi come un hacker della difesa dei Cavs, abbassandone i firewall e guidando l’arrembaggio dei suoi. Tripla doppia da 16, 11 e 10 e titolo che torna a San Francisco dopo quarant’anni.

https://www.youtube.com/watch?v=-iRZEOHiYXA

34 Shaun Livingston

Shaun Livingston non è un giocatore, è un miracolo. Il semplice fatto che riesca ancora a camminare è un miracolo. Che riesca ancora a giocare a basket è un miracolo. Che sia nel roster di una squadra Nba, che con quella squadra vinca il titolo. Guardare Livingston giocare, correre, saltare, schiacciare contro i Cavs è uno spettacolo che ha più a vedere con il virtuale che con il reale.

Il 26 Febbraio 2007, mentre giocava con i suoi Clippers contro i Bobcats, Shaun ruba palla, si lancia in contropiede e va dritto al ferro. Quando torna a terra, il parquet lo rifiuta.

https://www.youtube.com/watch?v=MHFs4a-Bb-c

Come dice il best commentator su Youtube, il titolo del video è un gesto di understatement straordinario. Livingston si è appena rotto tutto ciò che è possibile rompersi in un ginocchio, i medici contemplano realisticamente l’amputazione.

In Gara 4, la gara che ha ribaltato la serie grazie all’inserimento in quintetto di Iguodala al posto di Bogut, Livingston dalla panchina ha giocato 25 minuti, segnato sette punti, catturato 8 rimbalzi e smazzato 4 assist. Ma soprattutto ha fatto segnare un plus/minus di +25, il migliore della squadra.

Dall’inferno all’anello. Bentornato Shaun.

CLEVELAND CAVALIERS

23 Lebron James

“Sono il migliore del mondo” Così Lebron ha risposto a un giornalista che gli chiedeva se sentiva la pressione dopo aver perso Gara 5, nonostante i suoi 40 punti, 14 rimbalzi e 10 assist. E’ la sua seconda tripla doppia della serie. Fino a quel punto della serie nessuno al mondo si sognava minimamente di professare il contrario. Anche chi lo odia apertamente non può contestare il fatto che è lui il giocatore che ha definito la sua generazione, che ha cambiato la morfologia fisica del giocatore di pallacanestro. Eppure quel doverlo rimarcare, seppure nel masticamento amaro del post partita, ha come palesato le oscenità di un campione che non riesce più a vincere. Questa contro Golden State è stata la quarta resa in carriera durante le serie finali, il lato oscuro delle cinque Finals consecutive raggiunte a Est.

Anche se entrava in questa serie da underdog, condizione resa ancora più drammatica dall’infortunio di Irving nel supplementare di Gara 1, tutti si attendevano un miracolo cestistico da parte del ragazzone da Akron, il prescelto che doveva portare il Larry O’ Brian per la prima volta nell’Ohio. E questo miracolo atteso cinquant’anni è avvenuto, ma non è bastato. Lebron ha chiuso la serie con 36 punti, 13 rimbalzi e 8 assist di media, il migliore in tutte queste categorie tra tutti i giocatori scesi in campo, ambo le parti. Ha chiuso questa serie con una sconfitta per 4–2. Perché il miglior giocatore al mondo abbia perso ancora, nonostante una prestazione complessiva mai vista nel basket moderno, è l’argomento di discussione totalizzante nel continente a stelle e strisce, su cui si interrogano senza sosta dal professore universitario al commesso di Walmart. Noi un idea ce la siamo fatta.

20 Timofej Mozgov

Timofej Pavlovič Mozgov è nato a Leningrado nel 1986. Questo dato ci suggerisce immediatamente che il ragazzone è il primo che vorresti a fianco durante un assedio. Questa volta però non si tratta dei nazisti, ma dei ben più simpatici Golden State Warriors, che prima delle Finals erano dati per dominatori della serie. Il dominio non c’è stato, ma l’assedio sì; la panchina lunga dei Warriors ha continuato ad assalire il gruppo esiguo dei Cavs che però ha dato una prova di forza e determinazione straordinaria. Sul campo di battaglia tirato a lucido svettava il centro russo che ha spiegato ai meno attenti il concetto di “rim protector”, ovvero: ogni volta che vai al ferro devi superare i miei 216 centimetri che saltano verticalmente con le braccia alzate. Non è stato facile per nessuno arrivare a quel rim. Mozgov è diventato anche il secondo violino della squadra con l’uscita di scena di Irving, formando con Lebron la tipica coppia di protagonisti di un film anni ’80, con il russo disciplinato e un po’ tardo, ma in fondo buono e l’eroe fichissimo (vedi “Danko” del 1988 con Jim Belushi e Arnold Schwarzenegger). Eccoli.

8 Matthew Dellavedova

Per l’americano standard Matthew Dellavedova è un bianco piccolo, non europeo, quindi neanche educato tecnicamente, con il cognome impronunciabile , che tira con una meccanica da giocattolo a molla e solo se ha almeno un lunghissimo secondo di tempo, che porta palla a fatica, anche per superare la metà campo, che non è fico, ma neanche quel non-fico fico. L’americano standard è confuso e, come sempre, ha ragione; “Delly” è tutte queste cose. Però in Finale NBA c’è sempre qualche divinità che sparge un po’ di polvere magica, questa volta ne è caduto un barattolo intero sull’australiano. In Gara 1 Kyrie Irving si rompe il ginocchio e il play titolare dei Cavs diventa lui, uno che non ha neanche partecipato al draft, messo sotto contratto dai Cavs dopo aver disputato la Summer League del 2013. A Delly viene dato un compito, come in Fight Club, in un foglietto di carta piegato, all’uscita degli allenamenti. Il foglietto recita: “attaccati a Stephen Curry e fallo impazzire”. Se c’è una cosa che Dellavedova sa fare è eseguire gli ordini. L’apice delle Finals di Delly è stata la vittoria in Gara 3 con 20 punti (20 punti??!!) 5 rimbalzi e 4 assist, ma i numeri non restituiscono che razza di partita abbia fatto l’australiano. Difensivamente è stato un tormento per il pover Steph; incollato tutti i secondi, soprattutto i più inutili, prima delle rimesse, durante le pause, sempre attaccato a tirarlo, a spingerlo, a fargli blocchi a caso addosso, a frullare le braccia come un pazzo (Dellavedova è pazzo, questo sia chiaro). Aggiungete a questo 20 punti, venti punti, da uno che il ventello nelle mani non ce l’ha neanche il giorno del compleanno al campetto sotto casa. Australiano? Pazzo? Introverso? Mad Max ha un nuovo protagonista.

5 J. R. Smith

Cose che affiderei a J. R. Smith? Nessuna. Cose affidate a J. R. Smith nelle Finali Nba? Tutte, o quasi, molte, troppe, per forza di cose. J. R. Smith è cresciuto tanto in queste ultime stagioni, questo è innegabile, ma la toughness mentale di J. R. rimane quella di un gatto. Entro in campo, metto 3 triple assurde consecutive e poi improvvisamente penso ai cazzi miei, mi faccio distrarre da un colore troppo acceso sugli spalti, vorrei giocare con un campanellino. Una cosa mi ha fatto molto riflettere sulla testa che ha Smith; lui dopo ogni partita, vinta o persa che fosse, per arrivare al campo e per andarsene, usava questo fottuto aggeggio. Vi sembra serio? Vi sembra uno concentrato?

13 Tristan Thompson

Mentre io scrivo questo pezzo, mentre voi lo leggete, mentre le nuvole corrono nel cielo, Tristan, da qualche parte, sta prendendo un rimbalzo. Questo ragazzo è impressionante, le sue scelte di tempo, il suo controllo del corpo nello spazio, la sua energia, ne fanno un rimbalzista pazzesco, un uomo d’area eccellente, sempre a sporcare l’azione avversaria, sempre a sbattersi e a regalare extra possessi. Thompson è stato un altro degli uomini che hanno rinviato la vittoria dei Warriors, uno di quelli che ha tenuto a galla la serie, seppur con tanti limiti tecnici e offensivi. Eccolo che chiude il quarto afferrando l’ennesima palla in campo altrui

4 Iman Shumpert

Shumpert io non lo volevo scrivere, l’ho detto anche agli altri. Shumpert non lo voglio fare perché poi divento cattivo, perché mi tira fuori il veleno Shumpert a me. Intanto tagliati i capelli, Shumpert. Non buttarti in palleggio in area da solo, Shumpert. Fai cose semplici, Shumpert. Non esultare tutte le volte che metti una tripla, Shumpert. Se devi scegliere tra fare una cosa tu e passare la palla a Lebron, passa la palla a Lebron, Shumpert. In realtà Iman è stato una tipologia di giocatore vitale per Cleveland, ma era l’unico e non ha mai dato continuità alle poche cose buone che ha fatto. Tanto impegno in difesa e abbastanza deludente in attacco. Shumpert e J. R. Smith nella stessa squadra, in un momento decisivo della stagione, possono trasformarsi troppo facilmente in due testi medici sullo studio della schizofrenia. Pazzi.

A cura di Gioele Anni, Marco D’Ottavi, Emanuele Atturo, Lorenzo Bottini e Valerio Coletta

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