Le mille vite di ‘PacMan’, l’ineffabile jolly dello sport filippino

Crampi Sportivi
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5 min readSep 8, 2014

“But more,much more than this, I did it my waaaaaay…” Bang! Un colpo sordo di una calibro 38 sdraia per sempre Romy Baligula, trentenne barbiere di San Mateo, interrompendone bruscamente il grazioso (?) esercizio dell’ugola. Nelle Filippine si pu morire anche di karaoke. E’ una roba tremendamente seria, da quelle parti. Si stima che i meno benestanti arrivino a spendere fino al 5% del loro stipendio in serate di karaoke. Tale Roberto Del Rosario (facile chiamarsi così a Manila, dopo 300 anni di dominazione spagnola) aveva inventato nel 1974 il Sing-Along System, che i giapponesi adottarono ribattezzandolo karaoke ed elevandolo ad uno dei loro passatempi d’elezione. Sorte simile era capitata allo yo-yo (‘torna indietro’, letteralmente) che nacque arma filippina e si riciclò giocattolo quando sbarcò negli USA.

La maledizione di Sinatra

I filippini oggi chiamano il karaoke videoke, ed i videoke bars sono diffusissimi praticamente in ciascuna delle 7107 isole dell’arcipelago. Sono comuni quasi quanto le calibro 38 nelle tasche dei Pinoy, come si autodefiniscono i filippini in lingua tagalog. Deduzione elementare: i videoke bars possono facilmente evolversi, nel corso di una serata, in luoghi non esattamente ameni. Nell’ultimo decennio almeno sei allegri canterini sono stati freddati nelle Filippine, tutti mentre si esibivano in “My Way” di Frank Sinatra. Come il povero Romy, i nostri non dovevano essere intonatissimi. L’addetto alla sicurezza che ‘giustiziò ’ Romy dichiarò di non riuscire più a sopportare il modo di cantare del giovane.

Ma perché proprio quella canzone? Più teorie sono state sviluppate nel tentativo di spiegare l’ontologia dei My Way Killings. Il punto, secondo alcuni, è che ‘My Way’ la conoscono tutti, e quindi tutti possono esprimere un giudizio sulla qualità dell’esibizione canora. Altri evidenziano, più filosoficamente, quanto il testo della canzone sia da considerarsi arrogante e violento nel contesto sociale filippino: il cantante urla (spesso sbagliando totalmente la nota) un orgoglio ingiustificato, come se fosse qualcuno quando in realtà non è nessuno. Ci sono moltissimi ‘nessuno’ nelle Filippine. E, soprattutto, c’è una discreta dose di violenza. Due più due, com’è come non è, oggi non potete trovare il capolavoro di Sinatra nell’elenco delle canzoni eseguibili in un videokebar. Per il vostro bene.

La leggenda di PacMan

Ma se vi trovate nelle Filippine e volete proprio gustarvi l’esperienza diretta di una serata di videoke, allora sperate che da qualche parte nel mondo sia in programma un combattimento di Manny Pacquiao, ‘PacMan’ per tutti.

Riduttivo definirlo pugile. Per carità, potrebbe anche bastare: la boxe è il secondo sport nelle Filippine (del primo parleremo tra poco), e Manny è campione mondiale in otto diverse classi di peso. Ma PacMan è molto, molto di più. Attore, cantante, parlamentare. Quando la tv trasmette un suo match, l’attività criminale nell’area metropolitanadi Manila si riduce fin quasi a scomparire. Tutti rapiti dalle sue imprese, compresi borseggiatori e killer di cantanti stonati. Giubilo diffuso, quando l’idolo di casa vince. Anche i tifoni e gli tsunami, frequentissimi nell’area, fanno meno paura se PacMan vince. Gli manca solo un’ultima, definitiva consacrazione: l’oro olimpico, per il quale il governo di Manila ha già pronto un assegno da 140.000 euro da elargire all’eroe nazionale qualora riuscisse nell’impresa. Lo sport Pinoy non ha mai portato a casa un oro olimpico e l’ultima medaglia in assoluto, un argento (sempre nel pugilato), risale ormai ad Atlanta ’96.

Nell’attesa di sapere se i giochi di Rio apriranno ai pugili professionisti, Manny ha deciso di dedicarsi appieno all’altro sport nazionale. Anzi, allo Sport. Qualche settimana fa PacMan è diventato capo allenatore dei KIA Sorentos, una delle dodici franchigie che compongono la PBA, acronimo di Philippine Basketball Association. Non contento, settimana scorsa è stato anche selezionato come undicesima scelta assoluta nel Draft della PBA, rookie più vecchio della storia (36 anni) e giocatore più basso della Lega (169 centimetri). Qualche stoppata la prenderà di sicuro. Ma, a dirla tutta, il nostro idolo non è nemmeno così basso: 5 centimetri abbondanti sopra la media nazionale maschile (le donne sono alte in media 151 cm). Su questo pianeta solo gli indonesiani sfoggiano stature più ridotte.

Un popolo a canestro

http://www.youtube.com/watch?v=ltRIhqCEQ_k

I Filippini hanno elaborato il tutto alla loro maniera: e se il film più visto della storia del cinema filippino non è imperdibile e Sinatra è ormai tristemente noto, la pallacanestro Pinoy regala invece più di un brivido ai baskettari. Non uno, ma tre campionati: il primo riservato ai soli giocatori filippini (Philippino Cup), il secondo aperto ad uno straniero ‘import’ per squadra, senza limiti di altezza (Commissioner Cup) ed un terzo (President Cup) dove l’import non può superare il metro e 95 di altezza, previa accurata ed ufficiale misurazione. Qualcuno aveva anche proposto, una volta, di far valere 3 punti la schiacciata di un giocatore filippino. Imperdibile, a riguardo, il racconto di Federico Buffa pubblicato su Rivista Ufficiale NBA #77, con la scena finale del parquet che a fine partita lascia improvvisamente posto al Sabong, il popolarissimo combattimento tra galli filippino.

Sabong1

La nazionale di basket delle Filippine è stata grande protagonista in questi giorni della kermesse spagnola. Mancava al Mondiale dall’edizione 1978, dopo aver conquistato un bronzo iridato nel 1954. La Gilas Pilipinas, pur raccogliendo scarsi risultati sul parquet, ha attirato simpatie trasversali grazie all’ardore sportivo con i cui i Pinoy difendono la propria bandiera. Forse anche perché la loro bandiera è unica nel suo genere: la banda superiore è intercambiabile, rossa in tempo di guerra, blu in tempo di pace.

Fatta esclusione per Andray Blatche, l’americano naturalizzato che avrebbe dovuto essere Javale McGee e al quale Grantland ha dedicato un pezzo monumentale almeno quanto lui, l’uomo più rappresentativo è stato senza dubbio capitan Jimmy Alapag. Alapag è da 12 anni il playmaker dei pluridecorati Talk ‘N Text Tropang Texters, la squadra della PBA di proprietà di Smart Communications. Nessun problema economico per la franchigia del gigante delle telecomunicazioni: ogni giorno i Pinoy si scambiano 450 milioni di SMS, più di quanto facciano Americani ed Europei messi insieme.

E poi ci troveremo come le star

alpag

Jimmy Alapag, tra qualche mese, sarà di nuovo, come sempre, un osso durissimo per tutti i play della PBA. Anche per il senatore/pugile/allenatore/attore/ pensateaunacosaeluilafa PacMan. Già, è lui che continua a stuzzicare la nostra curiosità. L’uomo che con la sua fantasia e le sue contraddizioni incarna come nessun altro lo spirito contemporaneo di quasi 100 milioni di filippini. Una fabbrica di pesos in carne ed ossa, da anni nei primissimi posti delle classifiche degli sportivi più remunerati al mondo. Un padre esemplare e un marito fedele (e non può essere diversamente, visto che le Filippine sono l’unico Paese al mondo dove non è possibile divorziare). Primo sportivo filippino ad apparire su un francobollo. Un vincente che un giorno si siederà nel posto più in vista del videoke bar più cool di Manila e declamerà, attorniato da giovani Pinoy oranti, che “Yes, I did it my way.” Dovesse pure venirgli voglia di cantare, allora qualche vecchio cestista con le amichevoli fattezze di Alapag si incaricherà di stopparlo, ancora una volta. Per il suo bene.

P.S. Se le avventure di PacMan già vi mancano, Pilipino Anglahiko è un ritornello che può rendervi felici.

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