L’estetica della pecetta

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
Published in
3 min readDec 12, 2016

11 dicembre 2016, 16° giornata di Serie A: stadio Atleti Azzurri d’Italia di Bergamo, Atalanta-Udinese. L’account ufficiale della Serie A posta questa foto sui suoi account social:

“L’arbitro Maresca alla verifica personale del kit, ha ritenuto opportuno chiedere all’Udinese di modificarlo nella parte posteriore con l’apposizione di strisce adesive bianche a copertura delle bande verticali nere”. Da questo momento in poi (descritto dal comunicato dell’Udinese) la tapeart entra ufficialmente nel calcio professionistico italiano. E poco c’entra l’arte di arrangiarsi o quella del rammendo: #AtalantaUdinese ha ufficializzato l’ingresso di un movimento artistico urbano che si è celebrato poco meno di un mese fa a Berlino, in una rassegna che ha coinvolto i migliori artisti nell’uso dello scotch, o nastro adesivo per non usare un anglicismo o meglio, per chi scrive, della pecetta.

[embed]https://youtu.be/QgTXEXC1Kg4[/embed]

La pecetta, dicevamo, posta sulle strisce nere sulle maglie dei “primi bianconeri d’Italia” (cit. Udinese) poco c’entra con il concetto di espediente o di rimedio: eleva e anzi sovverte, con la vittoria dell’Udinese, il concetto aristocratico della tecnologia applicata ai kit-gara del calcio professionistico. Vince invece sulla lussuria del dryfit a maglia larga per far traspirare la pelle di chi la indossa, soprattutto a dicembre. Volendo azzardare un’ipotesi di causa-effetto, invece, l’ostinazione della colla della pecetta sui pori della maglia potrebbe aver avuto il merito di aver trattenuto moschicidamente il talento di Fofana, Danilo e compagni, senza farlo traspirare e quindi disperderlo inutilmente sul campo. La loro forza è rimasta lì, appiccicata sulla colla della pecetta verticale che ha coperto per più di novanta minuti le strisce nere verticali della loro maglia.

Come dimostrato in ATA-UDI, in quanto arte urbana la tapeart (guardate le opere di Mark Khaisman) ha il merito di superare il concetto di artigianato e elevare l’ingegno quotidiano che tutti noi applichiamo alla pecetta, ad un’arte: non la mera soluzione ad un problema, ma innovazione estetica e pratica, che su maglie bianconere rielabora lo yin e yang nel giorno del riposo. E lo fa col più candido dei colori che può avere una pecetta, preparando i tifosi più fortunati del ponte iniziato l’8 dicembre, a ciò che li aspetta nel lunedì successivo e agli acquisti natalizi che lo aspettano: tempo fatto di cancelleria, e quindi di pecette colorate, da ufficio, pecette di carta o da pacchi.

Oggetto di uso quotidiano, in molte famiglie imprescindibile ormai per la sopravvivenza di gran parte della specie, capace di supplire a qualsiasi mancanza (anche affettiva), la pecetta/il nastro adesivo/scotch ha 86 anni: l’ingegnere Richard Drew propose un nastro appiccicoso alla sua azienda, la Minnesota Mining and Manufacturing Company (3M), che fino ad allora produceva carta vetrata e e il 31 gennaio 1930 il mondo non sarebbe stato più lo stesso senza un nastro adesivo. “Take this tape back to those Scotch bosses of yours and tell them to put more adhesive on it!”: la leggenda vuole che “scotch” facesse riferimento all’avarizia degli scozzesi e venisse nominato durante un momento di frustrazione in uno dei primi test in cui, quello che sarebbe stato appunto lo scotch, non incollava a sufficienza.

Prima della sedicesima giornata del campionato di calcio di Serie A, la pecetta aveva avuto un ruolo marginale, oggetto in alcuni casi anche volgare, su un campo da calcio: copriva orecchini, chiudeva fasciature su polsi o caviglie, aggiustava reti delle porte bucate. Ma se è vero che una macchina di formula uno è composta principalmente da “excel e fascette” (detto accertato), l’ultima domenica ha dimostrato che il calcio può essere fatto anche di pecette.

[embed]https://youtu.be/zzCOS0KxQxg[/embed]

Articolo a cura di Andrea Cardoni

--

--