Lettera aperta agli inquilini di via Marconi

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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7 min readJul 10, 2014
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Cari Ennio, Ciro, Ale, Lelio,

Ho molto riflettuto sugli avvenimenti di ieri sera e desidero chiarire alcune cose, col tono più pacato possibile. Il tono che io stesso, lo riconosco, ieri non ho saputo mantenere: sono andato sopra le righe, verso la fine della partita, e appunto per questo ora sento di dover essere ancora io a compiere un gesto distensivo, per evitare che tra noi sopraggiungano gelo e amarezza.

Entrando in casa vostra si capisce subito che siete un gruppo affiatato: ne ho conosciuti tanti, di universitari e post-universitari che giocano a dichiarare casa propria “repubblica indipendente” e cose così — indipendente dalle più basilari norme di igiene, in genere — ma la targa in marmo all’ingresso “Loggia del Grande Brasile d’Italia”, coi vostri nomi cesellati in oro, è davvero una finezza. Ammiro molto la vostra originalità, si vede che sapete divertirvi insieme. Lo testimoniano le foto di voi quattro sempre coi medaglioni d’oro al collo, che non so quali tornei facciate ma sembrate vincere sempre; i coltelli rituali che portate tutti e quattro alla cintola; i “feti” sotto spirito che avete ognuno sul comodino… (A proposito, che roba è? Pezzi di pollo?) ― e poi il vostro modo di parlare quasi in codice, di fare quelle battute che capite solo voi… Tutti sintomi di un bel gruppo unito, di una comunità vera, di una cultura.

Anche l’idea di battere moneta, ve l’ho detto, secondo me è geniale; è solo un peccato che i mercati vi costringano a un tasso di cambio così sfavorevole, perché due Corona a 10 euro sono carucce. Del resto, a casa vostra le regole le fate voi — ci mancherebbe — e le regole sono regole, come il dazio di 4 euro per mettere la bici in cortile. Se ieri sera non avessi voluto rispettare le vostre regole, infatti, avrei ben potuto restare a casa. Se avessi voluto risparmiare, avrei potuto vedere la partita al bar. Invece, lo confesso, mi sono autoinvitato senza ritegno: a casa mi sentivo solo, facevo brutti pensieri, così ho telefonato ad Ale e gli ho detto dai, per la semifinale sono da voi. Lui ci ha pure provato, a mettere in mezzo qualche scusa improvvisata per farmi cambiare idea. Prima ha detto che se mi fossi presentato mi avrebbe lasciato sotto la pioggia, a languire come lo stronzo che sono; poi invece ha detto che mi avrebbe fatto leccare il vomito del suo cane ― e lì si è contraddetto, perché per farlo avrebbe pur dovuto lasciarmi entrare. Così ho capito che stava accampando pretesti, e vi son piombato a casa.

Col senno di poi, capisco la titubanza di Ale: davanti alle partite della propria squadra ognuno ha le sue abitudini, le sue piccole superstizioni, ed è possibile che le abitudini di uno risultino sgradite a un altro. Voi tifate Brasile da sempre, mi ha detto Ale, e in più avevate puntato un bel po’ di soldi sulla vittoria contro la Germania, quindi capisco che ieri foste piuttosto nervosi. Non avrei dovuto permettermi di scherzare coi vostri sentimenti, quando avete voluto ricreare in sala la stessa disposizione che vi ha fatto vincere i mondiali del 2002. A ripensarci, è una forma di scaramanzia molto bella e nostalgica, la vostra, molto brasiliana. La finestra era aperta, alla finale del 2002, e avete aperto la finestra, anche se secondo me nel 2002, se avevate la finestra aperta, non faceva il freddo di ieri. Sul divano, nel 2002, c’erano Ciro, Ennio e Lelio, mentre Ale aveva la sedia; io, di conseguenza, mi son dovuto sedere sul pavimento, e mi avrebbe fatto comodo un cuscino, ma evidentemente non c’erano cuscini sul pavimento, nel 2002. È incredibile quanti dettagli riusciate a ricordare, di quella partita, è proprio vero che i tifosi del Brasile vivono il calcio in maniera diversa. All’ottavo minuto mi avete chiesto di indossare quel vestitino estivo che puzzava di naftalina da bruciar le narici, perché sempre nel 2002 la nonna di Lelio aveva portato le pizze al decimo, di minuto, e io dovevo impersonarla. Che sarebbe stata magari una scena divertente, e un modo toccante di ricordare la buonanima della nonna di Lelio, non fosse che così mi son perso il gol di Müller, e quando son rientrato un attimo dopo mi sono arrivati un posacenere di vetro nei denti e una doccia di birra. Ecco, alla nonna, secondo me, almeno il posacenere non l’avevate tirato. E poi potevate usare la vostra, di birra, non la mia, con quello che costa. Comunque, lo ripeto: mi ero autoinvitato, quindi, scusate il linguaggio, son problemi miei.

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Di lì, però, le cose sono andate un po’ degenerando, a mio modo di vedere: il Brasile è andato in confusione dopo il primo gol, e anche voi avete reagito in maniera abbastanza scomposta. Ciro, te sembravi invasato: ti eri identificato così tanto con la narrazione del match che ripetevi dal divano i gesti dei giocatori in campo. Ragazzi, ma ve ne siete accorti? Una cosa così io non l’ho mai vista fare a nessuno, che non stesse giocando con la Wii. A nessuno, per settanta minuti di partita. Quando Julio Cesar doveva parare, Ciro si buttava a gambe all’aria. Si buttava su di me. Quando Bernard doveva correre, Ciro batteva i piedi veloce. Batteva i piedi sulla mia schiena. Nel secondo tempo, quando David Luiz ha tirato un calcione feroce a Müller, per fortuna lo ha mancato. Ciro non ha mancato me. De Jong ha fatto un’entrata a gamba tesa, piantando i tacchetti nel petto dell’avversario. Ciro mi ha piantato i tacchetti nel petto a gamba tesa, anche se quell’entrata De Jong l’ha fatta quattro anni fa ed è un giocatore dell’Olanda, non del Brasile.

Meno male che Julio Cesar su qualche tiro non si è neppure buttato, ha solo imprecato contro mia madre.

Anche voialtri, comunque, Ennio, Lelio e Ale, nel giro dei tre minuti tra il secondo e il quarto gol della Germania, vi siete messi parecchio in agitazione. Non ho fatto in tempo a vedervi uscire dalla stanza, che siete rientrati con scotch e lamette. Legato alla sedia, devo dire, ho apprezzato il fatto di non avere più il culo sul pavimento, però ragazzi, oh, che modi sono? Cioè, ditelo da subito, che volete farmi i capelli come Ronaldo nel 2002, col triangolo di pelo in testa, e io ve lo lascio fare, anzi, lo apprezzo, che vogliate truccarmi come il vostro eroe. È un onore, no?, diventare il portafortuna del gruppo; è un modo per dimostrare che mi accettate tra di voi. Così invece mi son preso paura, mi son mosso, e mi avete mozzato la punta dell’orecchio senza alcun bisogno, anche perché Ronaldo l’orecchio ce l’ha intero.

Fin qui, comunque, mi ero comportato bene. È stato all’ultimo minuto, che ho fatto una gaffe di cui mi sarei dovuto scusare subito. Ho detto una cazzata: ho detto che a Oscar il gol l’avevano lasciato fare i tedeschi, per evitare al Brasile l’umiliazione totale del cappotto. In quel momento, mi è sembrato sinceramente così — ma eravate così catatonici, da quando avevate perso ogni speranza di rimonta, che devo essere caduto nella tentazione di infierire. Ho peccato di hubris, come si dice. Senonché, sentirmi dire una castroneria del genere vi ha risvegliati e sono volati un po’ di insulti, un po’ di spintoni, un po’ di posaceneri. Comprensibile la vostra frustrazione per la partita, ingiustificabile la mia. Pertanto, ci tenevo a dire che chiedo scusa e ritiro tutto: Oscar è un grande giocatore, e il suo gol è stato il più bello di tutta la partita, se non di tutto il mondiale.

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Ma arriviamo al dunque: vorrei chiedervi ragguagli su quanto successo dopo la nostra piccola scaramuccia. Ho provato fin qui a ricostruire i miei ricordi della serata, e arrivano appunto alle spinte. Poi ci sono io che mi sveglio in questa specie di seminterrato buio e gocciolante, qualche ora fa, ma non ho proprio idea di dove si trovi o come io ci sia finito. Così ho pensato di scrivervi questa lettera, perché chissà, magari sono vostri, i passi che sento ogni tanto nel corridoio qui fuori; magari è stato uno di voi, a lasciarmi vicino alla branda quel pezzo di pane con la muffa. Ecco, se siete voi magari fatevi vivi, così mi spiegate cos’è successo ― e se anche sarà qualcun altro, a raccogliere questo foglio sotto la porta, spero vorrà chiarirmi un po’ la situazione. Anche perché, come dicevo più sopra, soffrivo già la solitudine a casa, ieri pomeriggio, e figuratevi adesso in questo tugurio. È stato proprio per combattere la solitudine, credo, che ho finito per scrivere così tanto.

E a proposito di modi per risollevarsi il morale: è oggi che gioca l’Argentina, no? (Qui sotto, sempre al buio, ho un po’ perso la cognizione del tempo.) Perché stavo pensando che sarà sicuramente uno sfizio, per voi, riparare alla tristezza di ieri sera assistendo alla disfatta degli odiosi biancocelesti! Contro l’Olanda non hanno speranze, e poi cosa credono, di arrivare loro in finale al Maracanã, quando non c’è arrivato il mitico Brasile? Forse dovrebbero impararla anche gli argentini, qualcosa sulla hubris…!

Insomma, non vi va di tirarmi fuori, così anche questa semifinale la guardiamo tutti insieme?

Articolo di Fortunato Insolenza

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