L’Islanda del calcio e il mito della Creazione — Intervista a Jón Kalman Stefánsson

Crampi Sportivi
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6 min readJul 3, 2016

Nei libri di Jón Kalman Stefánsson non c’è il calcio. Ci sono: il tempo che passa, i bambini che nascono, la pesca, le notti di tormenta, gli uomini che muoiono in mare, i ragazzi che imparano le poesie a memoria accanto al fuoco, le dita che congelano; e poi distanze incolmabili, interminabili inverni, qualcuno che va in Danimarca e non torna, la musica che rende meno soli, ci sono la cerata dimenticata a casa e un bar da inaugurare, gli amori quando nascono e quando finiscono; c’è il sesso tenero e c’è il sesso brutale, ci sono baci che salvano la vita, le prime parole che vengono pronunciate, le ultime.

Nei libri di Stefánsson c’è l’essere umano; la sua vita, le sue passioni. Non poteva non esserci quella per il calcio, da qualche parte. Qualche giorno fa, quando l’Islanda del pallone ha compiuto l’impresa storica di battere l’Inghilterra, ho contattato lo scrittore: quella passione c’è, eccola.

Negli ultimi anni l’Islanda ha conosciuto un boom del settore turistico. Qualche mese fa, a seguito dello scandalo dei Panama Papers, la popolazione islandese è scesa in piazza per protestare contro il coinvolgimento del premier, dando un esempio di partecipazione attiva. Ora, gli islandesi hanno seguito in massa la propria nazionale di calcio a Euro 2016 e tanto dal campo quanto dagli spalti sembra venire una lezione di forza e insieme di civiltà. L’intera Europa è sorpresa da tutto questo: stiamo letteralmente scoprendo il vostro Paese. Come viene percepita questa enorme attenzione in Islanda?

Sì, noi abbiamo protestato e spinto il Primo Ministro a dimettersi, ma nei Panama Papers c’erano più di seicento nomi di islandesi, che è un numero molto alto considerando che siamo una popolazione poco numerosa. Un nome nella lista è quello del nostro ministro delle Finanze e capo del partito di centrodestra (il Partito dell’Indipendenza, ndr), che in Islanda è sempre il primo partito. Lui non si è dimesso; alla nostra richiesta si è limitato a sorridere. Questo per dire che bisogna cercare di non dipingerci come il Paese ideale…

L’Islandese ha sempre seguito con grande attenzione il modo in cui i media stranieri raccontano il suo Paese — è un’abitudine comune alle popolazioni delle piccole nazioni, ma da noi è ancora più evidente perché non siamo soltanto pochi: siamo anche lontani dagli altri.

“Come fa a piacerti l’Islanda?” era la prima domanda che un tempo il turista o l’ospite straniero si sentiva rivolgere una volta arrivato qui… Ora forse in questo siamo cambiati, visto anche il gran numero di turisti: non possiamo chiederlo a tutti! E anche se i nostri media ci stanno raccontando dell’enorme attenzione che il Paese sta suscitando sui canali di comunicazione esteri, siamo talmente impegnati a seguire ogni passo dell’avventura della nostra nazionale di calcio, che al momento non siamo molto aggiornati sulle altre notizie che ci riguardano…

La nazionale islandese mette assieme talento e organizzazione; è la formazione che più si muove come una “squadra”, come un’unica macchina, e i numeri e le statistiche dei goal e delle azioni parlano chiaramente. Quanto c’è, in questa squadra, del carattere e della storia degli islandesi, o addirittura del paesaggio dell’Islanda? Quanta epica passa dai piedi di questi ragazzi che festeggiano i propri successi con una danza tradizionale?

Devo dire la verità: non siamo mai stati così bravi nell’organizzarci. Per secoli noi islandesi abbiamo vissuto solo di pesca e di allevamento; se in uno dei due settori le cose non andavano bene, ci trovavamo a dover affrontare una carestia. Tutto dipendeva dal clima, dal tempo atmosferico, perciò non avevamo l’abitudine alla pianificazione, dovevamo soltanto seguire il tempo, il suo ritmo, le sue oscillazioni. Così, lentamente, abbiamo più o meno perso la capacità organizzativa, che è diventata come un organo del corpo che non serve più… come l’appendice. E intanto, abbiamo acquisito la capacità di lavorare come pazzi non appena il tempo cambiava, di prendere d’assalto le cose, a cottimo; come un’esplosione. Grandi nel breve termine, molto scarsi nelle distanze lunghe. E questo nel calcio non è positivo; nel calcio, essere organizzati è la chiave del successo. Perciò abbiamo chiamato un allenatore svedese. Qui al Nord definiamo gli svedesi “i tedeschi della Scandinavia”. Loro sono pura organizzazione. Penso che Dio avesse dei consulenti svedesi per creare l’Universo nel verso giusto.

Così, metti insieme la follia islandese e l’organizzazione svedese, e ottieni la nostra meravigliosa nazionale di calcio!

In Italia stiamo leggendo il secondo capitolo — Grande come l’universo — della sua seconda trilogia. La saga familiare attraversa il tempo e lo spazio con un ritmo poetico che ormai riconosciamo. Questo respiro lungo e la narrazione di una collettività fatta di staffette generazionali sembrano sempre tenersi lontani dall’attualità, e invece ogni personaggio ci dice che è proprio oggi che bisogna tornare all’essenza del messaggio, alla radice dell’esistenza, alla ricerca di un senso. L’Europa, vista dal basso, non sa accogliere e salvare; vista dall’alto, sembrerebbe volersi smarcare, per usare un’espressione calcistica, tirarsi indietro. Quello che si vede da dove siete voi, da fuori, è il fallimento di un progetto?

Stiamo vivendo tempi molto duri. I migranti non rappresentano il vero problema. Di fronte alle dimensioni e alla ricchezza dell’Europa, il loro numero non è così spaventoso. Il problema è come ci stiamo confrontando con tutto ciò: questa — a volte triste, a volte terrificante — mancanza di grandezza, di umanità, di compassione nel cercare una soluzione. Risuonano alla mente certe campane, la terribile eco delle campane che suonavano nell’Europa intorno al 1930, quando siamo stati sopraffatti dall’odio, dalla pochezza mentale e dall’opportunismo in uniforma nera e marrone.

L’Europa ha compiuto grandi errori, ma l’Europa unita è l’unica strada da percorrere. Se l’Europa si sgretolerà, dovremo affrontare tempi anche peggiori. Persone come Marine Le Pen, Nigel Farage, Donald Trump, vinceranno in tutti i Paesi. Spetta agli altri, cioè a noi, combattere contro tutto questo. Ogni individuo in Europa deve prendere una posizione; il silenzio, la passività, l’indifferenza, sono stati il viatico all’ascesa di fascismo e nazismo. Non potremo mai dimenticare il passato ma possiamo imparare da esso, e il passato ci indica molto chiaramente cosa dovremmo evitare. La disgregazione dell’Unione Europea è un errore da evitare. A meno che uno non sia un fan di Donald Trump, ovviamente…

Lei è uno sportivo? Un tifoso? Come e dove sta seguendo le partite della nazionale islandese?

Sono interessato allo sport da quando ho memoria, e particolarmente al calcio. Da bambino giocavo sempre a calcio, ma non mi sono allenato molto. Quando ero piccolo, la stagione degli allenamenti era molto breve, andava da maggio a settembre, e io da metà maggio partivo per la campagna, dove era impossibile seguire gli allenamenti. Correvo, tre o quattro volte alla settimana…

Ora guardo tutte le partite dell’Islanda a casa con mio figlio di diciotto anni (che si allena a calcio seriamente) e mia figlia, che ne ha tredici. C’è anche il nostro border collie: ci guarda per tutto il tempo, immobile ed eccitato allo stesso tempo, aspettando lo scoppio di euforia di noi tre quando — e se — l’Islanda segna. Se accade, noi ci mettiamo a urlare e a saltare, e il cane impazzisce di gioia.

Jón Kalman Stefánsson (Reykjavík, 1963), ex professore e bibliotecario, è passato alla narrativa dopo tre raccolte poetiche. I suoi romanzi sono stati nominati più volte al Premio del Consiglio Nordico e pubblicati dalle più importanti case editrici europee. In Italia è pubblicato dalla casa editrice Iperborea.

Luce d’estate ed è subito notte ha ricevuto nel 2005 il Premio Islandese per la Letteratura. Paradiso e inferno, primo volume della sua prima trilogia, è stato definito il miglior romanzo islandese degli ultimi anni.

A giugno 2016 è uscito Grande come l’universo, secondo capitolo della nuova trilogia, la saga inaugurata da I pesci non hanno gambe.

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