Livio andava forte
Livio si era presentato in classe come il Tommaso Paladini di Ovosodo: solo, non aveva i dreadlocks né era entrato dalla finestra con gli anfibi sporchi di fango. Era riccio come un Telespalla e aveva un cane di nome Simba; il suo sorrisone, quello dei birbanti che la sanno lunga, era reso più caldo da un apparecchio che avrebbe tolto nel giro di pochi mesi, pronto a proiettarsi nel vivo dell’adolescenza.
A parte il discreto numero di sghignazzate in prima fila, Livio aveva subito preso un paio di 9 in greco e latino, provocando l’invidia di un’intera IV ginnasio che non capiva come, a quella tranquillità, potessero corrispondere risultati così brillanti (compresi, come è ovvio, i 9 di routine in fisica e matematica). Dopo qualche mese Livio aveva deciso di sacrificare le lingue morte per stabilizzarsi sul 7; dopo i 6- con cui iniziò il secondo quadrimestre ci comunicò, magno cum gaudio, che sarebbe andato allo scientifico. Non è che Livio non studiasse: proprio non ne aveva il tempo. In quell’occasione, tutti capimmo due cose:
1) Livio correva in bici (a ginnastica era, in effetti, “quello con le gambe depilate”);
2) Livio andava forte.
E fu solo perché scelse la vita che non diventò professionista: si ritirò con grandi numeri in MTB (e un quarto posto all’europeo, perché un tipo gli indicò la strada sbagliata) e dopo una vittoria, ai regionali su strada, con cui eguagliò l’impresa che suo padre aveva compiuto anni prima.
Comunque, con Livio eravamo in contatto: nella prima casa bolognese, con Antonio ed Enrico, c’era anche lui. E mentre io leggevo invano di Antigono Gonata e labiovelari, Livio mi faceva capire che noialtri, dall’esterno, non avevamo idea di nulla, che si trattasse di doping, farmacie o del tipo di vita che chi corre è costretto ad affrontare. Seguimmo i successi di Petacchi, Bettini e McEwen, mentre Livio chiariva che tifare per Di Luca, alla decima, significava non avere il senso della realtà. Su Basso un pensierino lo potevamo fare, ma con parsimonia. C’era un dettaglio, però: Savoldelli, che aveva finalmente finito di costruire la casa insieme al padre, si era deciso a tornare ed era del tutto intenzionato a vincere come l’ultima volta, appena tre anni prima. Il suo trionfo, davanti a quel Simoni che dal post-Cunego avevo iniziato a odiare, fu un’apoteosi; a luglio, da operaio della Discovery, Paolo da Clusone si prese addirittura una tappa al Tour.
Oggi, con tutto il rispetto per Jungels e Dillier, riesco solo a pensare che i discesisti quest’anno non verranno premiati. E che Livio, che odiava Riccò e fingeva di tollerare i miei pessimi commenti su Hončar (per tutti “Gonciar”), giusto da qualche settimana è diventato papà.