Love me like you do

Crampi Sportivi
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Published in
5 min readJan 24, 2017

Alzino la mano quanti pensano che senza l’infortunio di Kevin Love non avremmo assistito a scene simili.

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Adesso alzino la mano quanti pensano che il prodotto di UCLA possa diventare un Hall of Famer. Sul primo assunto manca la controprova, ma l’idea è che a livello di sliding doors soltanto la squalifica di Green può aver inciso di più durante le scorse Finals (e forse neanche quella). Sulla vicenda HoF vi tolgo subito il dubbio: allo stato attuale delle cose, ha più probabilità di tenere un discorso alla Naismith Memorial Basketball Hall of Fame di Springfield il signor Joe Johnson. A meno che non siate suoi parenti, non il vostro giocatore NBA preferito.

Quindi la domanda da porsi è un’altra. Esiste un universo in cui Kevin Love è la pietra angolare di una squadra in cui l’obiettivo è quello di arrivare alle Finals? No.

Questo però non vuol dire che il ragazzo sia da buttare o che sia in qualche modo sopravvalutato. Nella carriera di Kevin Love niente ha mai portato a considerarlo uno dei primi cinque giocatori della lega. Forse uno dei primi cinque realizzatori per una stagione, ma le lacune difensive unite a un gioco in post non paragonabile a quello di Duncan o Nowitzki, lo collocano almeno fuori dalla top 10 della lega. La fortuna di un giocatore del genere è stata quella di incontrare LeBron James e di avere un allenatore come Tyronn Lue che ne comprende i limiti e ne sa sfruttare i pregi.

Esiste un universo in cui Cleveland è il posto più adatto per il cestista Kevin Love? Si, ci viviamo.

A new life

Per raccontare la situazione attuale del californiano prendiamo in prestito una delle similitudini più riuscite per descriverla. “Love attualmente è come una band riunita che suona le sue più grandi hit: le cose buone ci sono, quelle negative sono nascoste, le note non saranno alte come a Minnie, ma quando c’è un anello a chi interessa?”. Le parole sono firmate Chris Ryan per The Ringer e risultano essere l’unica chiave di lettura per il nuovo KL.

Chi ha in mente il Kevin Love di Minnesota deve resettare e accoglierne una versione che gioca meno possessi, prende meno tiri e ogni tiro pesa incredibilmente di più. Già, perché ormai imbarcarsi in un’avventura che comprende altri due pezzi da 90 della lega equivale ad appiccicarsi una fastidiosa etichetta con scritto “VILLAIN” a caratteri cubitali. Etichetta che accompagna il giocatore a ogni possesso, ogni tiro, specialmente se il suono della retina non fa esplodere il palazzetto. L’idea che Love sia un cattivo suona alquanto strana: un po’ per il nome, un po’ per quel suo aspetto/modo di parlare che fa tanto golden boy californiano.

Eppure tra le “colpe” del ragazzo, archiviata quella di essersi unito alle Forze del Male™ per cannibalizzare la lega, c’è anche quella di essere il violino meno appariscente, il batterista del quale la band può fare a meno e che in certi casi ne giova. Ovviamente Kevin Love non è niente di tutto questo. Se la stoppata di Lebron è il manifesto della stagione 2015–16 e la tripla di Irving è il capitolo finale, quello in cui si scopre che in realtà il principale sospettato non è l’assassino, beh, la palla rubata da Love a Curry è la rivincita di chi sentitosi messo da parte ha stracciato il finale della sceneggiatura per poi riscriverlo e imprimerci il suo nome sopra.

Avere un anello al dito rende la vita di qualsiasi cestista meno ansiosa. Nel gioco di Kevin Love è lapalissiana la ritrovata naturalezza nel gesto: il giocatore è lo stesso, ma il peso da portare è incredibilmente inferiore. Nella metà campo offensiva le parole si tramutano presto in numeri: rispetto all’anno scorso segna 4,7 punti in più a partita, tirando con il 47% da due e con il 38% da tre (su 6,8 tentativi da oltre l’arco a partita il dato è più che positivo).

Da quando si è trasferito in Ohio il numero dei possessi giocati è ovviamente calato, ma non bisogna confondere l’utilità di un giocatore in determinate azioni di gioco più che in altre, con l’inutilità strutturale all’interno del sistema solo perché non è in doppia doppia di media (che poi a oggi si viaggia a 20+10). In post è il giocatore dei Cavs che gioca più possessi (e il 9° della lega), in NBA solo Klay Thompson segna più punti di lui da situazioni di catch and shot e sembrerebbe che la reattività nell’attaccare i close out sia finalmente degna di uno stretch four.

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Love

Kristaps ancora qualche lezione io la prenderei[/caption]

Questi dati ci fanno capire quanto sbagliavamo noi, la stampa americana, i tifosi di Cleveland a etichettare il ragazzo di Santa Monica come un franchise player fallito. Una sorta di Josh Smith con percentuali da 3 migliori, buono solo per far vendere i biglietti ad una squadra ben al di sotto del 50% di vittorie. Coach Lue fortunatamente ha consegnato al mondo la versione 3.0 del prodotto di UCLA. Non un violino, non un franchise player, ma un’arma.

Se hai in squadra LeBron e Irving, le difese avversarie tendono costantemente a collassare in area e allora si aprono spazi per i tiratori, quelli veri. Kevin Love è un tiratore vero, capace di far male in più situazioni e in grado di aprire magnificamente il campo. E come ogni arma valida, richiede qualcuno che sappia maneggiarla per risaltarne le qualità. Quando ciò succede il naturale corso delle cose potrebbe anche fare una piccola deviazione regalandoci 12 minuti di questo tipo.

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Poi interrogato su questa prestazione onestamente difficile da descrivere, lui fa spallucce: “Quando sei nel momento non necessariamente te ne accorgi”. E pensare che un anno fa ci si accorgeva di ogni pallone perso, ogni scelta sbagliata, ogni passo falso.

Love

Qualcosa è cambiato

Kevin Love è un giocatore profondamente diverso da quello dominante visto a Minneapolis e quello timido e rinunciatario dei primi due anni di Cleveland. Nessuno mette in dubbio che sia un problema per lui difendere contro 4 più atletici o più in generale cambiare sistematicamente contro squadre che ti obbligano a farlo (Golden State e Milwaukee tanto per citarne due contro cui i Cavs hanno perso quest’anno).

Chiunque ha dei difetti, ma la differenza sta nell’abnegazione che le persone ci mettono per correggerli. In Love questa voglia di migliorare c’è, continua a esserci giorno dopo giorno, tanto che coach Lue è forse il più grande fan del prodotto di UCLA.

Durante gli scorsi playoff ha provato diverse volte un quintetto con Love da 5 per esagerare il concetto di spacing. Quest’anno durante ogni partita (durante la maggior parte, ma quando lo hanno chiesto a Lue lui ha risposto: “EVERY GAME”) il primo possesso dei Cavs è disegnato per Love. Troppo importante nell’economia della stagione; se la fiducia del ragazzo scende calano drasticamente anche le soluzioni offensive dei campioni NBA.

E se il titolo rimane l’obiettivo, questo non può succedere.

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