Ma a un dio senza fiato non credere mai

Crampi Sportivi
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4 min readNov 17, 2016

“La palla è una sola, e quindi è necessario che ce l’abbia tu”. Con queste poche parole Johan Cruijff, messia in terra del calcio totale, trovò il modo di annunciare al mondo la sua idea archetipica di calcio moderno; idea in apparenza banale, ma dalla quale sono poi stati concepiti per partenogenesi il più grande Barcellona di tutti i tempi, Guardiola ed il suo tiqui taka, Xavi, Iniesta, Messi, la Spagna pluriiridata dei cicli Aragones-Del Bosque, e l’istrionico Jurgen Klopp (giusto per citare frutti più recenti e famosi del suo Verbo).

Tuttavia, anche nell’Italia misoneista, contropiedista e prona all’ideologia del risultato — citofonare De Boer per maggiori informazioni — stanno emergendo più spesso allenatori capaci di trasmettere alle proprie squadre una vocazione europea votata al pressing, al possesso palla, al bel calcio e al controllo del gioco attraverso il gioco. Uno di questi allenatori è Ivan Juric, tecnico del Genoa, alla sua prima esperienza in A e già artefice della storica promozione del Crotone dalla B alla massima serie.

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Il suo Genoa è un concentrato di intensità e coralità, portato naturalmente a pressare in avanti tenendo lo sguardo sempre dritto verso la porta avversaria. Vietato arretrare, anche quando la palla ce l’hanno gli avversari; perché questo, semmai, è piuttosto un buon motivo per rilanciare immediatamente la propria azione e spingersi alla riconquista del pallone. Si chiama gegenpressing (tradotto “riaggressione”) e la sua attuazione in fase di non possesso ci dice molto sull’identità della squadra genoana, che appena perso il controllo della sfera, tenta di riconquistarla nell’arco di pochi secondi, oltre i quali la pressione tende a sgonfiarsi.

Il buon esito della transizione negativa è però dovuto principalmente all’ottima organizzazione di gioco, impostata su un 3–4–3 di gasperiniana memoria rivoluzionato però dai “ritocchi” visionari del nuovo tecnico, che al rigido rispetto del modulo predilige la corretta esecuzione in campo dei principi del suo credo tattico. Uno di questi è la ricerca dei duelli uno contro uno a centrocampo che, grazie al polimorfismo di Izzo, Laxalt e Rigoni, consente di sterilizzare la manovra avversaria non lasciando mai gli uomini chiave liberi di ricevere e costruire. Le esternalità positive di tale accorgimento tattico, unitamente al pressing alto, sono notevoli: i centrali difensivi si trovano spesso a giocare in condizione di superiorità numerica contro gli attaccanti, per gli avversari produrre gioco significa tentare quasi esclusivamente di pescare gli esterni con lanci lunghi destinati però a perdersi fuori, e, contro le squadre meno dotate tecnicamente, avere il completo dominio della partita. (come accaduto contro il Bologna).

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In questo modo sono arrivati il pareggio contro il Napoli e la vittoria contro il Milan (foto: savonacampuspress.it)[/caption]

Pensare che la forza di questo Genoa sia semplicemente la combinazione di rigore tattico e generosità in mezzo al campo sarebbe però un grave errore. Il grifone infatti è una delle poche squadre in Europa in grado di imporsi ovunque con il suo gioco senza palla prima ancora che con la sua capacità di palleggio, che tuttavia è apprezzabilissima. Contro il Milan, ad esempio, gli uomini di Juric hanno dimostrato di saper uscire elegantemente anche dalle situazioni più complicate tenendo sempre palla a terra e, affidandosi alle proficue combinazioni tra il jolly Rigoni e l’esterno di turno Edenilson, riuscivano a ribaltare repentinamente il fronte con triangolazioni e mortifere giocate in verticale.

La verticalizzazione, appunto. Il fisiologico sviluppo del Gegenpressing e, al tempo stesso, massima espressione del gioco concreto e veloce che il “pirata di Spalato” ama sciorinare. Ma il Genoa, in attesa ancora di scoprire il talento di Ocampos, si fregia anche le giroscopiche aperture che favoriscono le folate offensive dell’inesauribile Laxalt, sempre pronto sulla sinistra a sfruttare il lato debole avversario quando la manovra rossoblu si sviluppa invece sulla destra, con Rigoni a fare ufficiosamente terzo d’attacco, ma anche interno di centrocampo, trequartista o falsa ala.

Dissimulare i ruoli per sopperire alla mancanza di risorse è un esperimento vinto da Juric anche con Armando Izzo, che compie movimenti più da terzino che da difensore centrale puro: grazie alle sue esplosività fisica e capacità di spinta è infatti l’uomo chiamato a rompere la linea difensiva per accorciare sull’attaccante e tentare di rubargli, insieme al pallone, il tempo della giocata (il tutto mentre gli altri due compagni di reparto tengono a bada l’altra punta e l’incursione degli esterni è coperta dagli esterni di centrocampo).

Assistere ad una partita del Genoa equivale — con le dovute proporzioni — ad assistere ad una partita di basket, tanta è l’intensità profusa sino allo scadere dai diavoli rossoblu, che hanno addirittura realizzato il 46% delle reti in campionato nell’ultimo quarto d’ora del match (6 su 13) a fronte dei due soli subiti nello stesso periodo. Un modo per dire che quando la pericolosità altrui cala, la squadra di Juric raddoppia la sua incisività sotto porta grazie alla capacità di giocare stretti e sfruttare il campo in larghezza, favorita anche dall’imprevedibilità di movimenti offensivi mutuati direttamente dall’NBA. Stiamo parlando del triangolo offensivo di Phil Jackson, da tecnico undici volte vincitore del campionato statunitense e pigmalione dei Chicago Bulls di Michael Jordan e dei Lakers di Kobe Bryant. Triangolo che funziona più o meno così.

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