Ma perché commettiamo così tanti falli? — Italia-Galles raccontata dal divano

Crampi Sportivi
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4 min readFeb 6, 2017

Divano, mano sul cuore e un paio di urletti giusto per darmi la carica. In qualche modo quando gioca l’Italrugby mi sento emotivamente e in parte anche fisicamente coinvolto. Colpa del mio passato, nel quale la palla ovale aveva un ruolo fondamentale, d’altronde praticando uno sport per 12 anni finisci per interiorizzarlo. Come se non bastasse anche mio padre è un ex rugbista, e probabilmente mi ha trasmesso (nolente) questo approccio nevrastenico alle partite di rugby, soprattutto quando si gioca il Sei Nazioni.

Quest’anno si preannuncia un torneo particolare, per via delle modifiche al regolamento e, con il senno di poi, per l’assenza di una chiara favorita all’interno delle sei regine del rugby occidentale. Tant’è che dopo l’impresa della Scozia contro l’Irlanda, e preso atto delle difficoltà dell’Inghilterra nel domare la Francia, devo ammettere che un po’ di speranza per la partita dell’Olimpico c’era.

Italia-Galles è una partita che mi rimanda indietro di dieci anni, quando il rugby in Italia stava vivendo per la prima volta un incremento di interesse da parte di persone che prima di quell’incontro sapevano a mala pena cosa fosse. Mi ricordo che dopo la vittoria a Murrayfield (avevo 11 anni), a scuola tutti volevano discutere con me della loro nuova passione per la palla ovale, di quanto conoscevano bene la nazionale, o di quanto aveva influito su questa vittoria il passato rugbistico del loro prozio di secondo grado. Ero un bambino, e sentivo che far parte del pubblico pagante di quell’Italia-Galles voleva dire essere in qualche modo un tassello all’interno della storia. Fu una partita sensazionale. La meta di Robertson e quella finale di Mauro Bergamasco diedero senso ad un’intera giornata. Eppure sembrava ancora una volta sfuggirci il traguardo delle due vittorie in un singolo torneo. Fortunatamente ad arbitrare la partita c’era il signor Chris White, inglese, che vide l’opportunità di raggirare i gallesi e non se la fece sfuggire. Poca cosa non concedere il tempo per una touche, la gloria resta impressa sulle maglie di quegli eroi.

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L’unico reduce di quell’impresa è capitan Parisse. Al suo seguito, una squadra che aveva ben impressionato nei test match e che era stata sottovalutata fin troppo dai gallesi, succubi di un pack solido e in avanzamento nei primi 20 minuti. Forse loro si aspettavano una squadra più rinunciataria, sicuramente le condizioni meteo non li hanno aiutati, sarà questo o sarà altro alla meta di Gori facile che mi abbiano sentito in tutto il quartiere. Poi quelle mete di mischia che piacciono tanto a tutti i rugbisti che hanno giocato almeno una volta negli 8 avanti. Che spettacolo.

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Tuttavia si sono intravisti troppi errori banali dei nostri, e il buco “che a confronto la caverna di Kimberley sembra un foruncolo” (Munari pt.1) creato nelle certezze dei gallesi viene assottigliato dal piede di Halfpenny. Già, i calci di punizione. È una spada di Damocle che pende sulle nostre teste ogni anno. Certo essendo la squadra meno attrezzata da un punto di vista tecnico dobbiamo in qualche modo arrangiarci, specialmente quando ci si avvicina ai punti d’incontro, ma porca miseria perché commettiamo così tanti falli? Alla fine saranno 16 contro i 5 del Galles (più il giallo per Lovotti), un’infinità per sperare di competere su 80 minuti contro la precisione di Halfpenny e una prima linea che nel secondo tempo ha sovrastato quella italiana.

Peccato perché comunque ad inizio secondo tempo l’Italia sembrava ancora sul pezzo, volenterosa e affatto timorosa di giocare nella metà campo avversaria, forte di un gioco tattico che spesso nel primo tempo l’aveva vista vincitrice e di un Parisse in grado di arpionare qualsiasi oggetto vagamente ellittico fluttuante nel cielo della capitale. La ricezione sbagliata da Padovani (fino ad allora gran partita del trequarti delle Zebre) in un momento molto delicato è tuttavia il segnale di un’inversione di tendenza pesantemente dalla parte degli ospiti. Nel momento in cui “il Galles doveva fare a botte, ma non so se sono disposti a fare a botte, mentre noi siamo qui per fare a botte” (Munari pt.2) è arrivato il giallo di Lovotti, la meta dei dragoni (passaggio al fulmicotone di Sam Davies, con lui al posto di Biggar il gioco del Galles è un’altra cosa) e il quasi doppio break di vantaggio che di fatto taglia le gambe ai nostri.

A parer mio non è stata una brutta Italia, migliorabile certo, ma l’atteggiamento è quello giusto. La difesa nell’ultimo minuto per evitare la quarta meta del Galles (e il conseguente punto di bonus) ne è la riprova. Tra una settimana a Roma arriverà un’Irlanda ferita nell’orgoglio e volenterosa di dimostrare che al netto dell’assenza di Sexton si sente tra le favorite. A noi il compito di studiare l’impeccabile primo tempo della Scozia e replicare. Intanto io prendo appunti scaramantici per i prossimi appuntamenti. Ad esempio il thè l’ho finito più o meno al cinquantesimo e da lì in poi tutto è andato storto. Forse contro l’Irlanda lo metto su più tardi.

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